Un Gabusi del Cinquecento: all’origine, le pertiche
Il cognome Gabusi conserva nelle sue radici un legame stretto con la terra. Il nome latino della verza invernale, capuceus, si abbrevia in capus, si trasforma in campus, varia in gambus, si abbrevia in gabus.
Gabusia indicava all’inizio dell’età moderna, il luogo in cui sorge una cascina a nord di Pontevico (Brescia). È chiaro il riferimento al campo coltivato, all’ortaglia, tanto che ancora oggi, in dialetto bresciano il Gabüs è il cavolo cappuccio.
Quale il significato della trasformazione di un ortaggio in un cognome? Potrebbe essere un’allusione, a nostro giudizio, alle condizioni modeste e alle umili origini di una famiglia. Chiunque abbia praticato ortocoltura o abbia osservato uno dei tanti orti domestici del nostro territorio sa che la verza invernale è l’ultima verdura a restare a dimora. Raccolta quella, nessun ortaggio resta più da consumare fino alla primavera. Si può anche intuire che all’origine Gabüs, Gabusi o Gabusio fosse un soprannome di contrada e magari un’allusione ironica a un carattere caparbio e testardo, viste le caratteristiche dell’ortaggio, resistente alle intemperie invernali.
Una traccia significativa del cognome compare in una sentenza del fondo Ufficio del Territorio, conservato presso l’Archivio di Stato di Brescia. È l’anno 1577 quando il Capitano di Brescia, magistrato della Serenissima decide, in sentenza, il contenzioso fiscale fra Giovita Gabusio e il Comune di Flero:
23 Gennario 1577
Professava il Comun di Flero, che Giovita Gabusio de Prato di Valle Trompia fosse tenuto al pagamento del Colonato, e Testa nel Comun medesimo ove esso abitava, e però fu disputata la causa avanti il Capitano di Brescia, venne deciso, che mostrando esso Giovita, che contribuisca dette Gravezze nella valle suddetta, non abbia ad esser tenuto pagar cosa alcuna al Comun medesimo suddetto (S. Rossetti – T. Sinistri – A. Superfluo, Blasonario bresciano, appunti, Montichiari, Zanetti Editore, 1990, p. 17).
Proviene, Giovita, non dalla Valle Trompia, come erroneamente indicato nel documento, ma dalla Valle Sabbia, dove si trova il Comune di Prato, oggi Belprato di Livemmo.
Il documento è posteriore di alcuni anni alla battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571), che decide le sorti della Repubblica di Venezia contro l’Impero ottomano e a cui partecipano mille bresciani. È uno sforzo enorme quello a cui la provincia viene sottoposta, non solo per il numero di uomini necessario, ma anche per le ingenti risorse finanziarie. Dalla Valle delle pertiche partono diversi cittadini alla volta di Lepanto: da Levrange, Lavenone, Nozza, Casto, Bagolino. Osserva un commentatore che la Valle Sabbia offrì all’impresa armi, denaro, ferro, e paghe militari: villaggi e borgate del piano arruolarono a decine e centinaia i loro giovani nel reggimento bresciano.
Lascia una traccia importante questo breve scritto, non solo perché attesta la pervasività dell’amministrazione dei tributi della Serenissima, in un momento peraltro particolare, ma anche perché attesta l’origine di un cognome nella Valle delle pertiche e la sua comparsa a Flero già nel Cinquecento.
Ancora prima della sentenza del 1577, altri Gabusi sono citati negli atti della Parrocchia di S. Andrea di Barbaine. Leggiamo così che, nel 1503, Comino e Turrino Gabusi di Belprato sono i delegati del loro Comune per stilare l’inventario dei beni appartenenti a quattro chiese della zona.
La Valle delle pertiche, al tempo della dominazione veneziana, è terra prospera e autonoma. È ricca di pascoli, boschi e giacimenti di ferro sfruttati sin dai tempi più remoti. Significativo notare la dedica a San Marco della chiesa di Livemmo, chiaro segno di quella dominazione della Serenissima che, secondo molti commentatori, è la fortuna delle famiglie del paese e dei dintorni perché permette lo sviluppo dei più svariati commerci e, di conseguenza, l’apertura di questa piccola valle, racchiusa fra il Mella e il Chiese, al mondo sterminato dominato da Venezia .
È interessante, oggi, osservare come il cognome Gabusi si concentri in luoghi ben definiti della provincia, e in particolare come esso sia costantemente presente con più nuclei familiari in tutta l’area della valle del Chiese, sino alla provincia di Mantova, lungo una chiara direttrice nord-sud.
Seguendo il corso del fiume, troviamo infatti tale cognome nell’area delle Pertiche, a Gavardo, a Ciliverghe e Mazzano, a Montichiari, a Medole nel Mantovano.
Un altro nucleo significativo del cognome si rintraccia infine ancora più a sud, fra Parma e Bologna.
Non ci si deve stupire, perché la traiettoria dalla montagna alla pianura lungo il corso del fiume Chiese affonda le radici nell’antichità. Proprio dalla pianura bresciana e mantovana fra il Mella e il Chiese i mitici pastori della poesia virgiliana, discorrendo delle loro alterne fortune, guardavano la sera scendere dai monti che appaiono all’orizzonte. Nos patriae finis et dulcia linquimus arva. È il destino scritto nelle terre di montagna, quello di muoversi verso la pianura, perché, raggiunta l’agiatezza, si cerca di acquisire terre meno impervie. Perché lo richiede il ciclo delle stagioni e l’allevamento degli armenti. Perché si è attanagliati dalle fatiche e dalla miseria: muoversi per il mondo, lasciare la vita dura della montagna, raggiungere città e paesi dove l’industria ha portato benessere. Sempre da questa valle troviamo che molti Gabusi ad inizio del secolo scorso salirono sui transatlantici che salpavano per il Nord America e per l’Argentina.
E così emigra in Argentina Gabusi Caterina, sbarcata a Buenos Aires nel 1890. Così Gabusi Celeste, 24 anni di Belprato di Livemmo sbarca a Buenos Aires nel 1949. E ancora Gabusi Francesco, muratore di Sabbio Chiese, sbarca a New York nel novembre 1903. Lo accompagna sullo stesso piroscafo un omonimo compaesano, Gabusi Gianmaria, che raggiunge lo stesso giorno la grande città del Nord America. Altri ancora, Gabusi Giuseppe, nato a Brescia, e Gabusi Pietro, nato a Pavia, raggiungono Buenos Aires negli anni Venti del Novecento. La rotta migratoria transoceanica porta uomini e donne con la loro storia, la loro origine, ad incontrare altri luoghi e altri popoli del mondo.
Un cassetto, archivio contadino
Dice Nuto Revelli, nell’introduzione al Mondo dei vinti, che ogni famiglia contadina ha sempre un archivio in cui si conservano le stesse cose. Sono gli atti relativi alle case e alla terra, venduti e comprati, ereditati, spesso contesi, alle tasse pagate, a una pratica mai fatta per una pensione mai ottenuta, per cui, però, si era certi di aver diritto.
Immancabile, continua Revelli, è il segno della guerra. L’immagine di un caduto, il diploma di un reduce delle due guerre del Novecento, sono tracce immancabili rinchiuse nelle case contadine.
Le due guerre sono state, per le generazioni nate fra la fine dell’Ottocento e i primi due decenni del Novecento, di impatto violento con il mondo. Sono state il motore di un primo sradicamento di uomini cresciuti in un universo rurale chiuso verso l’esterno. Ricostruire l’epopea di ognuno di questi uomini – seguire le tracce lasciate nei registri di leva, della mobilitazione del ’15-’18 e del ’40-’45, dell’espatrio quando si prendono le vie della Svizzera della Germania o delle Americhe per lavorare, significa seguire la traiettoria complessa di uomini che per la prima volta si spostano nel nostro paese e nel mondo, con l’incertezza di poter far ritorno ai propri affetti. Sono piccole odissee popolari, ognuna diversa perché soggettiva ma ognuna uguale all’altra, perché collettiva. Masse intere di uomini e donne vivono lo stesso dramma, la stessa epopea. Cambia la psicologia collettiva, cambia il mondo, la società diventa di massa.
Restano per la prima volta, in questi eventi, le tracce tangibili dei ceti popolari, destinati, prima di allora a scomparire nella polvere della storia, senza un nome, senza un segno che di sé lasciasse memoria. Perché quest’ultima – la memoria di sé ai posteri – era un privilegio dei possidenti. L’invenzione della fotografia e la sua diffusione nelle contrade contadine, ad opera di fotografi ambulanti, cambia per sempre il mondo dei ricordi e dei racconti familiari, cambia il modo di fare e leggere la storia dei ceti popolari.
Abbiamo provato a ricostruire la vita di uno di questi uomini travolto dalle guerre del Novecento, attraverso i documenti della burocrazia militare, dell’anagrafe e dei registri parrocchiali.
È un Gabusi di Flero, si chiama Angelo Alessandro ed è nato nell’aprile del 1888. Delle origini antiche di questo nome si è già detto. Racconteremo ora la sua storia, annotata negli archivi che citavamo e ancor di più nel poco e prezioso materiale raccolto e conservato, per tre generazioni, nell’archivio di famiglia: un cassetto dove alla rinfusa si conservano un piccolo corpus fotografico di immagini di piccolo formato, alcuni documenti notarili, un diploma del Ministero della guerra, una cartolina del patronato, e un articolo del «Giornale di Brescia». È scritta tutta qui la vita di Angelo, muratore, zappatore nel settantasettesimo reggimento fanteria, manovale alla Sant’Eustachio e all’Om.
Un Gabusi nel Novecento: storia di Angelo
NOTA BIBLIOGRAFICA
Per la sezione All’origine: le pertiche abbiamo consultato:
E. Caffarelli – C. Marcato, I cognomi d’Italia: dizionario storico ed etimologico, Torino, UTET, 2008.
A. Gnaga, Vocabolario topografico – toponomastico della provincia di Brescia, Ateneo di Brescia, 1936.
P. Guerrini, Miscellanea bresciana di studi, appunti e documenti con la bibliografia giubilare dell’autore, Brescia, Pavoniana, 1954 (Memorie storiche della diocesi di Brescia, 21).
D. Mutti, Le cascine bresciane, il mistero del nome, Brescia, Edizioni di Storia Bresciana, 1991.
C Pasera, Combattenti bresciani alla guerra di Cipro e alla battaglia di Lepanto 1570-1573, Brescia, Commentari dell’Ateneo 1954.
S. Rossetti – T. Sinistri – A. Superfluo, Blasonario bresciano, appunti, Montichiari, Zanetti Editore, 1990.
N. Revelli, Il mondo dei vinti, Torino, Einaudi, 2005.
G. Sanga, Dialetto e Folklore, ricerca a Cigole. Trascrizioni musicali di Giorgio Ferrari, Milano, Silvana, 1979.
R. Seymur Comvay, Dov’era il podere di Virgilio?, in «Atene e Roma», n.s., VII (1926), 3, pp. 170-186.
Per la ricerca del cognome Gabusi fra i migranti oltreoceano, è stato consultato il sito del Centro internazionale studi sull’emigrazione italiana http://www.ciseionline.it.
Per il toponimo Prato – Belprato abbiamo consultato il sistema informativo della Comunità montana di Valle Trompia.