Travels of hope of the Ferrari family of Borrello
Alla morte di mio padre Amedeo Ferrari, all’età di 95 anni, da un cassetto è venuta fuori una foto dove lui era circondato da figli, nipoti e pronipoti e d’un tratto ho realizzato che con la sua scomparsa nessuno avrebbe più raccontato le vecchie storie di famiglia che sarebbero state presto dimenticate. Ho cercato di raccogliere informazioni sulla storia della famiglia, originaria di un piccolo paese dell’Abruzzo montano di nome Borrello e ora sparsa in varie città italiane, e di metterle per iscritto per poterle tramandare ai figli e ai nipoti.
Il materiale documentale e fotografico disponibile era veramente scarso e le prime difficoltà si sono subito palesate nel costruire un albero genealogico attendibile: i dati erano discordanti tra loro a seconda della fonte orale di provenienza, inoltre molte caselle dell’albero restavano vuote.
È a questo punto che mi sono imbattuto nel Portale Antenati e, utilizzando i vari registri, i singoli certificati di nascita, matrimonio e morte, quasi tutti i dati mancanti al mio albero genealogico sono diventati chiari e soprattutto disponibili. Da ogni singolo nominativo è stato possibile risalire ai genitori, al coniuge, ai figli e così via per tutto il periodo dell’800.
Senza la consultazione del Portale Antenati non avrei mai saputo che il mio bisnonno Emidio Mariani in realtà si chiamava Emilio Albino Mariani e grazie a questa precisazione è stato possibile consultare i relativi certificati e notare che egli si era sposato tre volte dopo essere rimasto vedovo.
A differenza di mio nonno Vincenzo Ferrari, emigrato in America e deceduto nel crollo di una miniera di ferro in Pennsylvania, del mio bisnonno materno Alfonso Evangelista non ero riuscito a trovare traccia tra gli emigranti pur essendo certo che egli avesse trascorso molti anni in Argentina.
Dal Portale Antenati ho appreso che il nome esatto era Giuseppe Alfonso Evangelista e nella lista dei Passeggeri, che si imbarcarono da Napoli per Buenos Aires, il suo nominativo si trovava alla lettera G come Giuseppe Alfonso Evangelista. Se non avessi saputo, tramite il Portale Antenati, del secondo nome non l’avrei mai trovato.
Per far conoscere le storie più significative della famiglia narro la vicenda dello zio Arturo, di indole mite, il quale compì un singolare viaggio della speranza. Nel 1938, a 19 anni, fu chiamato al servizio di leva in qualità di fabbro per ferrare i muli del reparto artiglieria.
All’epoca la leva durava 24 mesi, ma allo scadere del secondo anno, nell’estate del 1940, l’Italia entrò in guerra e Arturo fu inviato a combattere in Jugoslavia, per circa tre anni. Il 10 settembre 1943, dopo l’armistizio di Cassibile, venne catturato dai soldati tedeschi e deportato in Germania al campo di concentramento di Buchenwald nel settore Stalag 5, non distante da Berlino.
Finalmente nel 1945 l’Armata Rossa arrivò anche a Buchenwald e i Sovietici liberarono tutti i prigionieri trasferendoli in Polonia e dopo altri sei mesi arrivarono a Innsbruck dove furono definitivamente liberati.
Arturo con l’ennesimo treno percorse la linea ferroviaria che corre lungo la costa adriatica e finalmente trovò un passaggio su una vecchia Balilla lungo la strada della valle del fiume Sangro attraverso una distruzione che non aveva mai pensato potesse raggiungere quelle contrade tanto isolate. I ponti sul fiume erano stati distrutti e l’auto dovette avanzare lungo la sterrata che si arrampicava sui monti ma alla fine anche questa risultò interrotta a circa sette chilometri da Borrello.
Era tardo pomeriggio, Arturo sperava che la sua famiglia fosse stata risparmiata e a passo svelto, quasi di corsa si avviò verso il paese, era l’imbrunire quando raggiunse la località chiamata Piano del Verde, rallentò l’andatura e trasse un respiro di sollievo, i campi dei suoi familiari erano stati seminati: alcuni di loro erano ancora in vita e tra poco li avrebbe riabbracciati. Una follia durata sette anni.