Marshal Bitencourt Street 11
All’inizio del secolo scorso, Angelo Frega, mio nonno, appena arrivato a Rio de Janeiro da San Basile, in provincia di Cosenza, nel sud Italia, aprì una fabbrica di scarpe.
I primi tempi non furono facili per lui e la sua famiglia, perché poco tempo dopo l’emigrazione e l’arrivo in Brasile scoppiò la Prima Guerra Mondiale. Angelo fu costretto a tornare a San Basile con tutta la famiglia, rispondendo alla chiamata del Governo Italiano, che, quando il paese entrò in guerra, chiese ai suoi cittadini emigrati di rientrare.
Questa chiamata all’epoca era conosciuta come “Italia chiama Italia” e molti italiani rientrarono da tutto il mondo, sotto la minaccia della perdita di cittadinanza, secondo quanto il Governo italiano aveva proclamato entrando in guerra. Soprattutto quelli, come Angelo, a cui un giorno sarebbe piaciuto godersi la pensione al dolce sole della Calabria.
Angelo Frega riprese i suoi piani dopo la guerra, quando tornò a Rio de Janeiro, secondo quanto aveva stabilito: “meglio lasciare la famiglia a San Basile, vicino a parenti e amici. Andrò più veloce da solo, secondo i miei piani, a Rio de Janeiro e la famiglia potrà venire più tardi, quando tutto sarà stato organizzato!”
“Costruiremo i nuovi impianti e produrremo scarpe con macchine moderne, in un capannone vicino alla nostra vecchia casa a Rio.”
“Perché non in Via Maresciallo Bitencourt, 11? C’è un ottimo capannone che possiamo trasformare velocemente nella fabbrica di cui abbiamo bisogno! Inoltre Francesco Pugliese, giovane nipote, è la persona giusta, che chiunque vorrebbe avere a fianco per riuscire a fare quello che vuole.”
Ma tutto questo non era abbastanza! Servivano anche dei compagni di San Basile che sapessero fare scarpe di qualità e anche insegnare ad alcuni bravi ragazzi di Rio, che erano stati selezionati per lavorare in fabbrica.
“Quando i nostri amici arriveranno, ai funzionari dell’immigrazione che chiedono dove abiteranno a Rio, dovranno solo dire: “Maresciallo Bitencourt, 11”. In fin dei conti sembra un indirizzo importante!”
Durante i primi anni la fabbrica fu avviata e la famiglia potè tornare in Brasile, lasciando San Basile dopo aver atteso per lunghi anni questa buona notizia.
Antonio, mio padre, era allora un bambino di 7 anni, nato poco prima che la famiglia tornasse da Rio a San Basile, nel 1914. Era il piccolo Antonio o “o Chicandó”, come lo chiamava mia nonna Teresa. Quando arrivò in Brasile parlava solo l’Albanese che aveva imparato nella piccola San Basile, fondata da immigrati albanesi nel XV secolo.
Da un’infanzia trascorsa felicemente a San Basile, nonostante l’assenza di mio nonno Angelo, Antonio portò con sé per tutta la vita un po’ di accento e la nostalgia del Monte Pollino e delle montagne calabresi.
La casa di Rio de Janeiro doveva essere abbastanza grande da ospitare tutta la famiglia, ma anche da accogliere i compagni provenienti da San Basile per lavorare e aiutare nella fabbrica di scarpe.
“Costruiamo un annesso sul retro della casa, per ospitare i nostri amici calabresi finché non potranno reggersi sulle proprie gambe e trovare un posto dove stare a Rio de Janeiro.”
Fu lì, nei sobborghi di Rio de Janeiro, che nacque la rinomata “Ambasciata della Calabria”, in cui vissero diversi immigrati di San Basile durante i loro primi giorni in Brasile.
“Se la casa è piena, Francesco può aiutare con la sua, dal momento che sua moglie Maria è rimasta al sicuro in Calabria durante questo primo periodo di Francesco in Brasile. In fin dei conti, il lavoro in fabbrica è duro, ma la vita a Rio de Janeiro è buona e gioiosa…”
Angelo Frega non si sentiva bene quella mattina del 4 luglio 1929, ma doveva andare in centro a Rio per risolvere alcune questioni della fabbrica di scarpe. Ci stava mettendo troppo tempo a tornare a casa e, purtroppo, un amico portò la triste notizia che Angelo era morto di una malattia improvvisa, mentre camminava in una strada nel centro di Rio.
Antonio, mio padre, aveva allora 15 anni e rimase scioccato: per tutta la vita si è portato dietro la paura di una morte in pubblico, come era successo a suo padre Angelo.
“Bene e ora? Come risolvere il problema di mantenere la famiglia dopo la morte di Angelo, con il figlio maggiore di appena 18 anni e tutti ancora studenti?”
“Facciamo così”, propose Francesco,“ Angelo era il mio socio e negli ultimi anni abbiamo condiviso la gestione della fabbrica che lui ha creato. Ora che non c’è più, la dirigerò da solo e ogni mese darò la sua quota alla sua famiglia, fino a quando i ragazzi saranno cresciuti e avranno deciso cosa vogliono fare o essere nella vita, e le sue figlie saranno sistemate.”
“Tu, Teresa, puoi aiutare a mantenere viva l’Ambasciata Calabrese, per aiutare i compagni di San Basile, anche se vengono a Rio per fare altri lavori. Dopotutto, la situazione nella nostra Italia non è facile e alcuni dicono che nei prossimi tempi potrebbe anche peggiorare.”
È andata così. Dopo la morte di Angelo Francesco è diventato il protettore della famiglia Frega. Permettendo ai ragazzi di finire la scuola e di diventare dei professionisti (tra cui un avvocato) e alle ragazze di sposarsi con bravi ragazzi.
Giovanni Frega (João Fraga), il mio zio più vecchio, in seguito per tutta la vita è stato “Ambasciatore della Calabria”, soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando diversi amici della seconda generazione di immigrati di San Basile hanno dovuto lasciare l’Italia alla ricerca di tempi e opportunità migliori. Alcuni per lavorare nella fabbrica di scarpe, altri per avviare un’attività, o semplicemente per lavorare in Brasile.
Negli anni ’60, dopo diversi anni alla guida della fabbrica, i concorrenti diventarono troppo grandi per andare avanti. Francesco decise di chiudere, chiese a sua moglie Maria, che lo aveva aspettato per molti anni, di raggiungerlo in Brasile, e decise di andare in pensione. Qualche tempo dopo l’arrivo di Maria, decisero di tornare a San Basile.
Sapevamo che quella era l’ultima volta che vedevamo Francesco e l’addio nel porto di Rio de Janeiro, mentre lo guardavamo camminare sul ponte di imbarco della nave, fu triste e pieno di lacrime, come sempre accade nelle famiglie italiane.
Alcuni anni più tardi, senza più mio padre e i miei zii, morti nel frattempo, ho potuto visitare San Basile e vedere la foto di Francesco Pugliese sulla sua tomba, guidato da uno dei compagni di San Basile che era stato ospitato nella vecchia “Ambasciata di Calabria” a Rio de Janeiro.