Skip to content
logo-antenati

Portail Ancêtres

Les archives pour la recherche généalogique
Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo
DIREZIONE GENERALE ARCHIVI
  • Le Portail
    • Mode d’emploi
    • Demandes de certificats
    • FAQ
    • Historique du projet
    • Dernières archives publiées
    • Index de noms ont été publiés
    • Participez au projet
  • Explorez les Archives
  • Outils
    • Guide de recherche
    • La recherche généalogique
    • Sources dans les archives de l’État
    • Glossaire
    • Dictionnaires historico-géographiques pré-unitaires
    • Publications numériques
    • Matériaux et apports
  • Histoires de familles
    • Lisez les histoires de familles
    • Racontez votre histoire
    • Archive audiovisuelle de la Mémoire des Abruzzes
    • Des vies filmées par la National Family Film Archive
    • Superoptimistes – Archive régionale du film de famille
    • Cinescatti – Laboratoire 80
    • Société Humanitaire – Cinémathèque de la Sardaigne
    • Fonds Filmographique Torri
  • Nouveautés
  •  
  • Français
    • Italiano
    • English
    • Español
    • Português
HomeStorie di famiglia

Archives : Storie

Ritratto di Giacomo Schirone del 1922

Il racconto riguarda una figura di famiglia: Giacomo Schirone, uno dei due fratelli del nonno paterno, dunque zio di mio padre, che si chiamava come lui. Nato nel 1900 (ma i documenti indicano la data del 21 gennaio 1901) fu sempre socialista; perseguitato dal fascismo, esule in Francia, combattente in Spagna, antifascista nel dopoguerra e fino alla fine. Come filosofia di vita, fu anticlericale e razionalista.

Non è stato facile rimettere a posto tutti i tasselli di una vita pienamente vissuta in modo attivo e partecipe degli eventi azionali e internazionali, dagli anni giovanili fino alla fine. Tanti i dettagli d’archivio, gli appunti personali, i manoscritti, le tracce della sua ricca attività politica e culturale che, insieme, restituiscono corpo e voce a Giacomo, dignitosa figura di sarto barese, fine e accurato. Internazionalista per le idealità di tutta la vita, compagno di Nenni, combattente in Spagna (unico barese – documentato – che abbia partecipato alla Guerra Civile), punto di riferimento dei giovani di Bari, Milano, Marsiglia.

Cultore di eleganza anche da partigiano.

È una ricerca che vuol superare l’esposizione di una biografia affettiva per diventare memoria collettiva e far luce su una vicenda personale e fittamente intrecciata con la Storia del Novecento. Un esempio di vita, coerente e avventurosa.

Giacomo Schirone con Tommaso Fiore e Vincenzo Pinto sede ANPI

Nonostante lo scarso livello di scolarità, Giacomo coltiva una curiosità intellettuale dapprima verso il pensiero socialista, fino a scelte politiche che misero più volte a repentaglio la sua vita e l’incolumità di chi gli era accanto. Da qui la decisione di partire (era la notte di ferragosto del 1923) clandestino, verso la Francia. Da Marsiglia poi la sua militanza lo porta alla scelta del combattente in Spagna, nelle Brigate Internazionali di Carlo Rosselli, al fianco di Nenni e Di Vittorio.

Aderisce alla nascita del Partito d’Azione; sempre in prima linea, lo troviamo sia al 1° Congresso dei Comitati di Liberazione Nazionale che nella ricostituzione della Camera del Lavoro (entrambi svoltisi a Bari nel gennaio 1944).

È presente nel tragico corteo del 28 luglio del ‘43 a Bari (strage di via Niccolò dell’Arca); massone per affinità con il pensiero razionale e di fratellanza; anticlericale fino alla fine: attraverso Giacomo veniamo a conoscere anche la vita degli esuli, nonché il pensiero di un grande razionalista spagnolo, Francisco Ferrer, che Giacomo poi divulgherà nella vita culturale barese del dopoguerra.

La sua vicenda, politica e umana, viene raccontata anche attraverso le parole di chi lo ha conosciuto, compresi giornalisti che ne tracciarono un appassionato profilo all’indomani della scomparsa (16 settembre 1980).

Amedeo Ferrari e famiglia in occasione del suo 90° compleanno nel 2017

Alla morte di mio padre Amedeo Ferrari, all’età di 95 anni, da un cassetto è venuta fuori una foto dove lui era circondato da figli, nipoti e pronipoti e d’un tratto ho realizzato che con la sua scomparsa nessuno avrebbe più raccontato le vecchie storie di famiglia che sarebbero state presto dimenticate. Ho cercato di raccogliere informazioni sulla storia della famiglia, originaria di un piccolo paese dell’Abruzzo montano di nome Borrello e ora sparsa in varie città italiane, e di metterle per iscritto per poterle tramandare ai figli e ai nipoti.

Il materiale documentale e fotografico disponibile  era veramente scarso e le prime difficoltà si sono subito palesate nel costruire un albero genealogico attendibile: i dati erano discordanti tra loro a seconda della fonte orale di provenienza, inoltre molte caselle dell’albero restavano vuote.

Emidio Mariani

È a questo punto che mi sono imbattuto nel Portale Antenati e, utilizzando i vari registri, i singoli certificati di nascita, matrimonio e morte, quasi tutti i dati mancanti al mio albero genealogico sono diventati chiari e soprattutto disponibili. Da ogni singolo nominativo è stato possibile risalire ai genitori, al coniuge, ai figli e così via per tutto il periodo dell’800.

Senza la consultazione del Portale Antenati non avrei mai saputo che il mio bisnonno Emidio Mariani in realtà si chiamava Emilio Albino Mariani e grazie a questa precisazione è stato possibile consultare i relativi certificati e notare che egli si era sposato tre volte dopo essere rimasto vedovo.

A differenza di mio nonno Vincenzo Ferrari, emigrato in America e deceduto nel crollo di una miniera di ferro in Pennsylvania, del mio bisnonno materno Alfonso Evangelista non ero riuscito a trovare traccia tra gli emigranti pur essendo certo che egli avesse trascorso molti anni in Argentina.

Giuseppe Alfonso Evangelista con la moglie Carmela e i figli Salvina e Antonio, 1928

Dal Portale Antenati ho appreso che il nome esatto era Giuseppe Alfonso Evangelista e nella lista dei Passeggeri, che si imbarcarono da Napoli per Buenos Aires, il suo nominativo si trovava alla lettera G come Giuseppe Alfonso Evangelista. Se non avessi saputo, tramite il Portale Antenati, del secondo nome non l’avrei mai trovato.

Per far conoscere le storie più significative della famiglia narro la vicenda dello zio Arturo, di indole mite, il quale compì un singolare viaggio della speranza. Nel 1938, a 19 anni, fu chiamato al servizio di leva in qualità di fabbro per ferrare i muli del reparto artiglieria.

All’epoca la leva durava 24 mesi, ma allo scadere del secondo anno, nell’estate del 1940, l’Italia entrò in guerra e Arturo fu inviato a combattere in Jugoslavia, per circa tre anni. Il 10 settembre 1943, dopo l’armistizio di Cassibile, venne catturato dai soldati tedeschi e deportato in Germania al campo di concentramento di Buchenwald nel settore Stalag 5, non distante da Berlino.

Vincenzo Ferrari, foto da inviare alla famiglia in Italia, con il vestito preso a nolo dal fotografo polacco Krajeskj, Pittsburgh, Pennsylvania

Finalmente nel 1945 l’Armata Rossa arrivò anche a Buchenwald e i Sovietici liberarono tutti i prigionieri trasferendoli in Polonia e dopo altri sei mesi arrivarono a Innsbruck dove furono definitivamente liberati.

Arturo Ferrari durante il servizio militare di leva, 1939

Arturo con l’ennesimo treno percorse la linea ferroviaria che corre lungo la costa adriatica e finalmente trovò un passaggio su una vecchia Balilla lungo la strada della valle del fiume Sangro attraverso una distruzione che non aveva mai pensato potesse raggiungere quelle contrade tanto isolate. I ponti sul fiume erano stati distrutti e l’auto dovette avanzare lungo la sterrata che si arrampicava sui monti ma alla fine anche questa risultò interrotta a circa sette chilometri da Borrello.

Era tardo pomeriggio, Arturo sperava che la sua famiglia fosse stata risparmiata e a passo svelto, quasi di corsa si avviò verso il paese, era l’imbrunire quando raggiunse la località chiamata Piano del Verde, rallentò l’andatura e trasse un respiro di sollievo, i campi dei suoi familiari erano stati seminati: alcuni di loro erano ancora in vita e tra poco li avrebbe riabbracciati. Una follia durata sette anni.

Ritratto nuziale di Maria Barnaba e Agostino Scotto di Marco

Il padre di Anna Maria, Agostino Scotto di Marco, detto il “Comandante”, capitano di corvetta presso la marina militare, come si evince dalle pubblicazioni rintracciate sul portale Antenati dell’Archivio di Stato di Brindisi,  era la terza volta nella sua carriera che aveva come destinazione Brindisi. Aveva conosciuto parecchia gente del posto e gli era fraterno amico il figlio del Notaio Foscarini che, in ogni suo ritorno, lo cercava subito per trascorrere le ore libere dal servizio con lui mettendolo a giorno delle ultime novità: matrimoni, nascite, morti. Aveva un bel fisico asciutto ed era sempre vestito in maniera impeccabile sia in divisa che in borghese. Era un giovane Capitano di Corvetta molto ricercato dalle signore specialmente per il gioco del bridge al Circolo della Marina, tanto che, spesse volte, la sera doveva rifare la barba, che era nerissima e folta, per essere perfetto al tavolo da gioco.

Pubblicazione di matrimonio del 14 dicembre 1933

Una sera dei primi mesi del ’33, i due amici passeggiavano per il lungomare Regina Margherita di Brindisi quando il Comandante notò due signore che procedevano in senso opposto e si meravigliò, data la serata gelida e ventosa, del loro procedere lento dovuto probabilmente all’andatura della signora anziana. Era questa una persona che dimostrava una settantina d’anni; con un lungo vestito nero che sfiorava il selciato, calzava sulla fronte un cappello sempre nero di velluto. Il Comandante notò lo sfavillio di due brillanti  alle orecchie mentre, nell’insieme, la figura della signora era piuttosto dimessa. Non altrettanto quella della giovane figlia che apparve subito di una bellezza folgorante. Vestiva un cappotto di sartoria bordò e affondava il viso nel collo di astrakan per ripararsi dal vento.

La signora anziana era la signora Eleonora vedova del Dottore Barnaba, la ragazza l’ultima figlia della signora che molto colpì il Comandante tanto che chiese al Foscarini di informarsi perché forse potrebbe andare bene per lui. Nell’ultima destinazione precedente, a Messina, “aveva cercato moglie” e quasi concluso con una signorina di buona famiglia di quella città. Poi non se ne era fatto più niente ma Agostino, valutando la sua età, era entrato nell’ordine di idee di “mettere su famiglia”. Ora perché non a Brindisi? Conosceva, era conosciuto e stimato, quindi si poteva tentare.

Un mesetto dopo quella sera ventosa, di pomeriggio, ci fu la richiesta formale “per essere ricevuto, insieme al suo amico Foscarini, in casa Barnaba e chiedere in sposa la figlia Maria.” La signora Eleonora si riservò un pò di tempo per pensarci e, intanto, scrisse una lunga lettera, e non la solita cartolina postale settimanale, allo zio Angiolino, suo fratello prete, Cameriere Segreto di Sua Santità, per chiedere informazioni sul Comandante Agostino Scotto di Marco.

Maria Barnaba in costume tradizionale procidano

Seguì il fidanzamento e solo qualche stralcio qua e là è stato trovato per ricostruire quei mesi di vita di Maria e Agostino che pure dovettero essere ricchi di emozioni. Certamente, la giovane Maria fu affascinata dalle imprese del comandante, giri del mondo, imbarchi e scuole di Guerra anche fuori del Mediterraneo, campagne idrografiche e poi la grande guerra del 15–18 combattuta giovanissimo, la rovinosa caduta con il “Caproni” nel cielo di Restinco con relativa frattura della colonna vertebrale e degenza ospedaliera di un anno nell’Hotel Internazionale di Brindisi adibito ad ospedale per i casi più gravi.

A proposito di quel periodo, la madre di Anna Maria, Maria Barnaba, le raccontava un aneddoto capitato il quell’estate del ’33 in cui scoprì che Agostino aveva quasi quarant’anni e pensò che quasi quindici anni di differenza fra un uomo e una donna non erano importanti rispetto alla possibilità di vivere finalmente una vita libera di città in città lungo la penisola! Così iniziarono i preparativi per il matrimonio nella tarda estate del ’33 .

Ritratto nuziale insieme alla cugina Elena

Le sarte di Bologna prepararono il corredo personale e l’abito da sposa. Il corredo da casa fu rinfrescato e ammirato da Elvira, la sorella di Agostino, che  portò un costume tradizionale da procidana che la sposa Maria avrebbe indossato alla prima festa dei Misteri nell’isola in coincidenza con la Settimana Santa. Nel filo dei ricordi in un piccolo album di fotografie che porta la dicitura “Matrimonio di Agostino e Maria” rigorosamente in bianco e nero, posavano i  genitori di Anna Maria in quel lontano 28 Dicembre 1933. Lo sposo, in grande uniforme, con sciarpa, sciabola e cordelline, sfoggiava le numerose medaglie accumulate nella carriera. Spiccava la medaglia di bronzo, la Croce di guerra, quella dell’Ordine Mauriziano e tante altre che erediterà il suo figlio maggiore. Era bello il papà di Anna Maria!

Maria era la classica sposa degli anni trenta: quante ragazze sfoggiarono una cuffietta di fiori d’arancio in quegli anni, quanti abiti morbidi nella scollatura e nella silhouette, aveva visto Anna Maria nelle foto d’epoca. Splendido il fascio di rose bianche che Maria reggeva in mano. Il fotografo aveva posizionato, inoltre, una corbeille fiorita ai suoi piedi vicino ad una delle sedie del salotto buono. C’era la sua futura cuginetta Elena che reggeva la nuvola di velo da sposa. Anna Maria ricordava bene questa mite cugina che aveva seguito le orme della zia Elvira che adorava. Era molto riservata Elena e quel nome lo porterà la sorellina di Anna Maria che si spegnerà neonata nel ’38.

Gli invitati all’Hotel Internazionale di Brindisi

Anche nella foto scattata all’Hotel Internazionale è presente la piccola damigella davanti alla zia, dopo la cerimonia: è tanto simile alla sua zietta che ne sembra la figlia! Sfilano in questa foto a partire dalla sinistra della foto il giovane Foscarini, il marito di una cugina di sua madre e famiglia con i due figli piccoli che Anna Maria ricorda già vecchi. Le tre amiche care, una cugina di Mesagne, la zia Elvira, la cugina Elena, la nonna Eleonora, gli sposi, la signora Maria Merolla, le cugine Palmina e Fausta d’Erchia di Monopoli, l’Arciprete zio Florindo, il dottor Merolla. I coniugi Merolla, erano grandi amici della famiglia dello sposo, dai quali passavano l’intera estate a Procida per “passare le acque ischitane”. Napoletani veraci, pare conducessero una vita molto brillante nella loro città. La signora, appare qui in foto, carica di gioielli; porta appuntate sull’abito di velluto ben due spille e diventerà molto amica di Maria che sentirà come una seconda mamma.

Anna Maria Scotto di Marco all’età di 18 mesi

Dall’album dei ricordi, spunta quella della « Puparella« : è Anna Maria Scotto di Marco, la loro figlia e soprattutto mia madre.

Queste foto sono nitide, raccontano di vita, di avvenimenti, di persone che sono passate mentre le suppellettili, gli oggetti, mobili sopravvivono. Di loro rimane solo il ricordo, ma per quanto ancora?

Un attimo rispetto all’eternità, rispetto a questi quattro miliardi e mezzo di anni, da quando quel Sole continua a sorgere perfettamente ad Est nell’Equinozio di Autunno, un attimo del “Tempo dell’Uomo.”

Il territorio di Prato alla metà del 1500.

Periodo Pratese tra la prima metà del 1500 alla prima metà del 1700
I libri dei battesimi cinquecenteschi di S. Pietro a Iolo fanno supporre che il ceppo primigenio dei Bettazzi, fosse collocato nella località Casale da cui si espanse nel territorio delimitato in rosso. Nelle prime generazioni, i nomi ricorrenti erano Bartolomeo e Bernardo in due linee separate, ma ambedue convergenti a Casale. Il mio capostipite è Bartolomeo Bettazzi nato intorno al 1530. Il figlio Alessandro, che ebbe Domenico lo troviamo a Vergaio . Antonio figlio di Domenico si trasferì a Montemurlo e sposò Maria Cirri, Il loro figlio Bartolomeo sopravvisse alla epidemia di peste del 1620. Giovanni, figlio di Bartolomeo sposa Margareta Filippi di S. Giusto Piazzanese. La famiglia nel 1683 è presente a Galciana e dal 1700 a S. Maria in Capezzana. Giovanni probabilmente non era contadino avendo affittato “una casa con villa” come riportato dallo stato delle anime del 1698. Intorno al 1700 i Bettazzi del contado furono ammessi alla cittadinanza Pratese e quindi potevano aspirare a cariche pubbliche. Luigi, figlio di Giovanni si trasferì, intorno al 1720 in S. Giusto in Piazzanese. Pellegrino di Luigi, forse al seguito di qualche nobile, si trasferì a Siena tra il 1740 ed il 1760.

Periodo senese dalla prima metà del 1700 al 1850
Pellegrino è il primo Bettazzi che sicuramente è vissuto in Siena dal 1764 come attesta la registrazione del battesimo della figlia M. Francesca. Lo stesso documento riporta la cittadinanza Pratese di Pellegrino permettendomi di risalire al periodo pratese. Pellegrino aveva un congiunto, probabilmente coetaneo, di nome Bernardo che rinchiuse Teresa, figlia naturale, nel convento della Madonna in Siena facendole prendere i voti religiosi. Nel 1767 la professione dichiarata di Pellegrino era servitore e cuoco ma successivamente diventa carajolo (fabbricante di carri). La moglie, Giovanna Masi è indicata come incannatrice di seta e filatrice a rocca. La prima residenza senese fu nella pieve di S. Giovanni Battista, successivamente in S. Martino. Nel 1790 scoppia la Rivoluzione Francese ed in seguito le guerre napoleoniche. In questo periodo la famiglia doveva aver raggiunto uno stato di benessere poiché nei primi anni del 1800 acquistò una casa in Via Costa dell’Abbadia. Giovanni di Pellegrino segue la professione del padre, sposa Maria Annunziata Baldesi di professione calzettaia. La famiglia Baldesi doveva appartenere all’alta borghesia senese poichè i nobili Orazio e Ferdinando Ballati Nerli, Flavio Chigi e Ansano Zondadari furono padrini di battesimo del padre e degli zii. Pirro, ultimo nato della coppia, prosegue la professione di carrozzaio, sposa Caterina Bruni, tessitrice di panni.

Da Siena a Livorno
Giovanni figlio di Pirro, Inizia a fare il carajolo, poi entra nelle Ferrovie come manovale successivamente manutentore ed infine impiegato e pensionato. Si sposa, con la senese Adele Vannini di professione tessitrice. Probabilmente per lavoro a Livorno, tra il 1886 ed il 1888, Giovanni si innamora ed è ricambiato dalla livornese Maria Luisa Berzolese (Versolesi). Maria Luisa aveva sposato, in gioventù, Egisto di professione vetturino. Le cose non dovevano andare bene se Egisto emigrò in Francia dal 1885 al 1887.

Gli anni del periodo di Bagni di Lucca

Da Livorno a Roma e la nascita dei Vessi
Nel 1888 Giovanni e Maria Luisa sono a Roma. Nel 1889 nasce Guido, che non possono riconoscere essendo conviventi, per cui gli impongono il cognome di Vessi e lo adottano. Nel 1892, sempre a Roma hanno un altro figlio Armando. Nel 1893 viene inaugurata la stazione ferroviaria di Bagni di Lucca dove Giovanni si trasferirà con la nuova famiglia e presterà servizio per diversi anni (foto 2). A Livorno Egisto ha una compagna da cui nasce una figlia. Volendo emigrare, con la compagna e la figlia, deve riconoscerla. I rapporti tra i Maria Luisa ed Egisto devono essere stati civili poiché Maria Luisa riconosce come sua la figlia di Egisto e gliela affida. Nel 1894 Egisto è in Brasile, alle immigrazione dichiarò di essere celibe ma muore pochi anni dopo. Essendo celibe non viene comunicata la morte al Consolato italiano per cui Maria Luisa non seppe mai di essere diventata vedova. Nel 1906 la famiglia è a Roma dove Guido fa il servizio di leva. Richiamato nella guerra 1915-1918 lavora nelle retrovie nel genio automobilistico. Nel 1909 Guido sposa Marianna Di Pietropoaolo che muore nel 1913. Poco prima della fine della I guerra mondiale Guido sposa Zaira de Dominicis. Nei primi anni ‘20 Guido apre una officina di riparazione di motori diesel. Successivamente amplia la propria attività in altri settori. Guido e Zaira non avendo figli si prendono cura di Lidia, nipote di Zaira, rimasta orfana. Lidia avrà un figlio Guido che gestirà un chiosco di fiori sul lungotevere, verrà assassinato ed il corpo gettato nel Tevere. Ignoti gli esecutori ed il movente. Nel 1943 Guido Vessi si innamora, e poi sposerà la fidentina Bice Mambriani che abitava nella “porta accanto”. Guido e Bice sono i miei genitori.

Ringraziamenti
Gli archivi online del Portale Antenati del Ministro cultura
Elena Bertelli, Ezio Papa – Stato Civile Comune di Livorno
Don Aldo Lettieri, Daniela Liberatori – Archivio arcivescovile di Siena
Orlando Papei – Il palio.org
Filippo Pozzi – Stato civile Comune di Siena
Claudio Bartalozzi – Archivio storico comune di Siena
Virginia Barni – Archivio di Stato di Prato
Monica Cecchi – Archivio vescovile di Prato
Don Claudio Ticconi – Parrocchia S Matteo in Nave di Lucca
Carlotta Lenzi – Archivio Vescovile di Pistoia

Il bisnonno Vittore Bonaventura, a destra

Tante foto in bianco e nero, un cognome non comunissimo nella mia area di residenza e un programma scolastico del 1872-73 del mio trisavolo alimentarono la mia curiosità nello scoprire quali fossero le origini della mia famiglia. Cominciai dai registri dell’archivio comunale di San Vittore del Lazio (FR), paese d’origine di mio nonno. Il mio bisnonno Vittore nato nel 1883 a San Vittore del Lazio, dopo aver prestato servizio nella prima guerra mondiale ed essersi sposato con Giuseppina Coia di Cerasuolo, emigrò in Scozia dove aprì una serie di locali ancora oggi esistenti tra Glasgow e Millport, per poi tornare in Italia con mio nonno e i fratelli (tutti nati in Scozia) nel ’43, nel corso della guerra.

Suo padre (mio trisavolo) Bernardo Bonaventura, nato sempre a San Vittore del Lazio nel 1846, era un insegnante di scuola elementare di cui conservo ancora il succitato programma scolastico del 1872-73; si sposò molto tardi, a 45 anni, con Giuseppa Giampaoli, sanvittorese nata da Domenico Antonio Giampaoli (della cui provenienza non sono riuscito a trovare ulteriori notizie) e Carolina Verona (famiglia attestata a San Vittore dal XVIII secolo e con una serie di membri esercitanti la professione di “dottori fisici”, tra cui in ordine Tommaso Verona nato nel 1837, il padre Giovan Angelo nel 1827 e il nonno Luca).

La bisnonna Giuseppina Coia

Il mio quadrisavolo si chiamava Vittore e nacque nel 1809, sposando nel 1829 Laura Saroli sempre di San Vittore. Dai processetti matrimoniali presenti sul portale Antenati ho potuto constatare la sua professione: possidente terriero. Ciò si incrocia con quanto tramandato dalle storie di famiglia, secondo cui Vittore avrebbe rifornito le scuderie del Re Ferdinando II di cavalli.

Dai registri battesimali di San Vittore del Lazio emergeva poi il nome del padre di Vittore, Francesco Bonaventura, nato nel 1785 e sposato con Lucia Ferraro, di una famiglia napoletana. Il padre di Francesco era un notaio e, a ben vedere, fu il primo a nascere a San Vittore del Lazio. Difatti dai registri di battesimo, Andrea Vittore Bonaventura, nato nel 1761, si dice figlio di Romualdo Bonaventura da Gaeta (LT). Andrea Vittore, rispetto quanto emerso poi dai processetti matrimoniali presenti sul portale Antenati, sposò Maria Giuseppa Vittiglio di Cassino (al tempo ancora nominata San Germano), città dove si trasferì con il fratello Benedetto “pittore” ed esercitò la professione di notaio. Sempre dai processetti di Antenati è emersa recentemente anche la data della sua morte: 11 settembre 1801, sepolto nel cimitero di Sant’Antonio da Padova a Cassino.

Programma scolastico 1872-1873 con la firma di Bernardo Bonaventura

Del padre Romoaldo ancora poche informazioni sono emerse: nei processetti matrimoniali di Antenati era allegato il suo atto di morte del 14 agosto 1787 nella chiesa dell’Annunziata di Cassino. Qui viene ripetuta e confermata la sua provenienza gaetana e l’approssimativa età di morte, 55 anni; pertanto la nascita di Romoaldo andrà posta intorno al 1732. Sappiamo ancora poco sulla sua professione e sulle motivazioni che lo spinsero a spostarsi nel Basso Lazio, sebbene indizi possano derivare dalla qualifica di “Magnificus” ripetuta in tutti i documenti che lo riguardano. Spero di poter proseguire e approfondire la ricerca presso gli archivi gaetani per ottenere ulteriori risposte.

Ringrazio il portale Antenati per avermi dato la possibilità di precisare la mia ricerca e condividere la storia dei dei miei studi, nella speranza che possa risultare proficuo e di incoraggiamento per altri che vogliano ripetere lo stesso percorso.

Antonio Minopoli in divisa militare
Foglio militare di Antonio Minopoli

Fino ad oggi sapevo ben poco sull’esperienza di mio nonno Antonio durante la Seconda Guerra Mondiale. La curiosità di saperne di più sulla sua storia l’ho sempre avuta, ma soltanto adesso che sono vicino ai 40 anni ho sentito il bisogno di mettermi sulle sue tracce per saperne qualcosa di più.

Grazie al foglio matricolare inviatomi dall’ex archivio militare di Napoli, posso leggere i fatti realmente accaduti sulla sua vita militare. Nonno Antonio, classe 1916, nasce a Soccavo, in Via Contieri n. 11, questa è la casa dove cresce con i suoi genitori, papà Giovanni, mamma Anna, ed il fratello Vincenzo e la sorella Maria. Nonno Antonio sposa nonna Lucia e da coniugato si trasferisce prima in affitto in Via Paolo Grimaldi e poi definitivamente con tutta la famiglia nella casa da lui costruita in Via Verdolino.  Il 09 Aprile 1940 viene incorporato al 48° Reggimento Fanteria “Bari” che raggiungerà sempre nella città pugliese il 07 Maggio 1940 per poi diventare la 47° Divisione Bari. Dopo un periodo di addestramento s’imbarca per l’Albania il 28 Ottobre 1940 dal porto di Taranto ed il 02 Novembre 1940 sbarca a Valona in Albania.

Uno dei più sanguinosi sacrifici dell’esercito italiano nel corso della Seconda Guerra Mondiale si compie proprio in Albania, sulla quota 731 di Monastero, si trova a circa 20 chilometri a nord di Kleisoura. La quota 731 dopo una furiosa lotta viene conquistata dall’Italia, ma la reazione nemica si manifesta in modo talmente violenta che risulta impossibile mantenerla e deve essere abbandonata, soprattutto a causa del quasi totale annientamento degli occupanti italiani: nonno Antonio fu ferito gravemente ad un occhio da una scheggia di una bomba o granata il 13 Marzo 1940 sul fronte greco. Fu subito portato all’ospedale da campo di Berati, città che si trova lungo il confine in Albania. All’ospedale ci rimase circa un mese fino a quando non fu imbarcato dal porto di Valona per far rientro in Italia a Taranto con la nave ospedale Gradisca.

Antonio Minopoli e la sua famiglia

La lesione non lasciava nessuna forma di garanzia per la sua salute, il 31 Agosto 1941 il comando militare lo colloca in congedo assoluto e gli assegna la 7° Categoria di invalidità (alterazione organica ed irreparabile di un occhio, che ne riduce l’acutezza visiva fra 1/50 e 3/50 della normale).

Nonno finalmente non lascerà più la sua casa in Via Verdolino a Soccavo, e dal matrimonio con la sua Lucia sono nati otto meravigliosi figli: Giovanni, Vincenzo, Anna, Mario, Ciro, Assunta, Luigi ed infine mia mamma Pasqualina.

Incontro con zio Vincenzo Minopoli, 6 novembre 2021

L’incontro con Zio Vincenzo

Durante la mia attività di ricerca vengo a scoprire che il fratello di mio nonno Antonio, Zio Vincenzo, più piccolo di 8 anni è ancora in vita!

Per me tale notizia è una bomba, in quanto solo immaginare di vederlo mi sembrava quasi poter pensare di parlare con mio nonno.

Ho dovuto attendere molto, c’è stata la pandemia legata al Covid, ma alla fine ce l’ho fatta, il giorno 6 novembre del 2021 sono riuscito a incontrare Zio Vincenzo.

Grazie all’aiuto di mia Zia Anna, che mi ha fatto da gancio, un sabato mattina piovoso sono sceso a Napoli e ci siamo recati a casa del fratello di mio Nonno Antonio: l’incontro è stato breve ma ha superato ogni aspettativa.

Zio Vincenzo è una persona fantastica, a 97 anni è quasi completamente autonomo, si aiuta con un bastone per camminare, si prepara da mangiare da solo, ultimamente esce un po’ di meno per ovvi motivi ma parlare con lui è stata un’esperienza magnifica perché ho avuto il piacere di apprezzare la sua memoria di ferro.

Zio Vincenzo, mi accenna che durante la Seconda Guerra Mondiale, ha prestato servizio a Roma a Castel Gandolfo in una fureria militare, mi racconta nel dettaglio un bombardamento improvviso avvenuto una mattina da parte dell’aviazione tedesca per colpire il sito militare italiano dei castelli.

Di nonno Antonio mi dice solo che era un bravo fratello, un buono e che fu ferito gravemente in guerra portandone i segni per il resto della sua vita.

Bisnonno Giovanni Minopoli

Poi i racconti si spostano all’improvviso sul loro papà, il mio bisnonno Giovanni, mi fa vedere una sua foto e le medaglie, mi racconta che anche lui è stato un sopravvissuto della “Grande Guerra”, la Prima Guerra Mondiale. Mi disse che il mio Bisnonno, in quel dramma visse diverse sventure, su tutte, l’assenza di cibo e acqua, ma in particolare si trovò anche nella tragica decisione in cui ci si imbatteva per sopravvivere e cioè nel dover sparare a un soldato nemico pur consapevole che sotto quella divisa c’era un uomo come te.

Mi racconta inoltre che lui porta il nome Vincenzo, in onore del fratello del padre Giovanni, che da eroe perse la vita in combattimento e fu addirittura premiato al valor militare. La famiglia era orgogliosa di questo figlio caduto in guerra, purtroppo Zio Vincenzo mi disse che di questa vicenda sapeva ben poco e gli avrebbe fatto piacere conoscere la vera storia.

Ci salutiamo con la promessa di rivederci presto e che mi sarei messo subito alla ricerca di informazioni su questo “Vincenzo” per regalargli più dettagli possibili.

Dopo mille ricerche, telefonate, e-mail, a distanza di mesi, ricevo con mia immensa gioia le informazioni che cercavo sul mio antenato direttamente dal Ministero della Difesa:

“Minopoli Vincenzo, di Antonio, nato a Soccavo (NA), il 4 gennaio 1886 – Soldato effettivo del 133° Reggimento Fanteria – è deceduto il 2 luglio 1916, a seguito di ferite riportate in combattimento, nell’Ospedaletto da campo 110… Ii Soldato Vincenzo MINOPOLI risulta sepolto nel loculo n. 7884 dello stesso Sacrario Militare di ASIAGO con i dati anagrafici errati (cognome “Minaggi” anziché “MINOPOLI”). Per quanto precede, questo Commissariato Generale ha dato mandato alla Direzione del Sacrario Militare di Asiago di provvedere alla correzione del dato anagrafico errato, nei tempi imposti dal relativo iter amministrativo.”

Inoltre, cercando in altri archivi ho trovato le motivazioni per cui gli è stata riconosciuta la medaglia al valore.

Pazzesco! Sono riuscito a conoscere, la sua data di nascita, la battaglia ove eroicamente perse la vita, il cimitero ove tutt’oggi è sepolto e soprattutto a seguito della mia segnalazione verrà rettificata la lapide con il suo cognome corretto, Minopoli.

Il tutto iniziato da una chiacchierata con Zio Vincenzo e dal suo forte desiderio di avvicinarsi anche lui alla sua storia e origini.

Purtroppo, non ho fatto in tempo a tornare con queste meravigliose informazioni da Zio Vincenzo, per aggiornarlo su chi era questo suo Zio eroico da cui ha ereditato il nome. Con enorme dolore egli ci ha lasciati nel mese di Febbraio 2022.

Quell’incontro rimarrà per me un momento magnifico di congiunzione diretta con le mie radici e con la storia della mia famiglia.

Famiglia Capellato negli anni ’40

Mi chiamo Allan Pietri, sono brasiliano, e sono il pronipote di Mario Zanotello e Amélia Capellato, genitori di mia nonna materna.
Mia bisnonna Amélia era la figlia minore di Angelo Capellato e Carolina Bassan. Angelo e i suoi figli dedicarono gran parte della loro vita ai trasporti pubblici di Valinhos, ho pensato allora di scrivere alcune righe sulla loro storia, iniziando da quando vivevano in Italia, dove il loro cognome era ancora Cappello, fino a quando hanno realizzato il loro sogno di andare in Brasile.

I Cappello in Italia

Era un venerdì, il 17 settembre 1869, quando alle nove di sera nacque un bambino, secondogenito di Domenico Cappello e Teresa Lazzarin; il piccolo venne battezzato due giorni dopo con il nome di Angelo nella chiesa di Santa Maria Assunta di Solesino. La famiglia Cappello, soprannominata Pasotto, proveniva da Solesino/Stanghella, in provincia di Padova; il capofamiglia Domenico era carrettiere e sua moglie contadina, sposati a Solesino nel febbraio 1867, ebbero il primo figlio nel 1868, che per complicanze durante il parto morì pochi minuti dopo la nascita, e poiché non fu possibile battezzarlo e dargli un nome, non venne registrato nel libro dei battesimi ma solo in quello dei defunti, nacquero in seguito: Angelo nel 1869, Pietro nel 1871, Amabile nel 1873, morta dopo 20 giorni dalla nascita. La famiglia era di origini molto umili, probabilmente era per questo che cambiava spesso paese, a seconda di dove riusciva a trovare nuove opportunità di lavoro, e in una di queste occasioni, nel 1874, si trasferì a Ponso, sempre in provincia di Padova, dove rimase per 6 anni.
A Ponso ebbero i figli Giulia (1874), nata morta, Maria Luigia (1875), e Amalia (1878).
Nell’inverno del 1881, Domenico morì improvvisamente, per una malattia cardiaca, a soli 36 anni; sua moglie Teresa, essendo incinta, tornò allora con i figli nel paese d’origine dove diede alla luce Teresa (1881), l’ultima figlia della coppia, che tutti chiamavano Domenica in onore del padre defunto. Purtroppo le tragedie non erano finite per la famiglia Cappello, nel 1884, muore Amalia, a Stanghella, a soli 5 anni per difterite. Dei loro figli, solo 4 arrivarono all’età adulta: Angelo, Pietro, Maria Luigia e Teresa.
Poco sappiamo delle vicende avvenute nei sette anni successivi a questi eventi. Nel luglio del 1891, il loro figlio secondogenito Angelo sposa Carolina Bassan, originaria di Stanghella; i due giovani si conobbero probabilmente a Solesino o Stanghella e due anni dopo, nel maggio 1893, nacque il loro primo figlio Vittorio a Stanghella.

Una nuova vita in Brasile

Fu nel 1895 che Angelo prese la decisione che avrebbe cambiato per sempre la loro vita, quella di emigrare in Brasile. L’11 maggio 1895 giunsero in Brasile a bordo della nave San Gottardo: Angelo 25 anni e capofamiglia, Carolina 23 anni sua moglie, Vittorio 2 anni suo figlio e  Luigia 28 anni sua cognata. Si stabilirono a Campinas, nell’entroterra di San Paolo, per lavorare nelle fattorie come coloni; lì la coppia ebbe tre figli, Antonio nel 1897, João nel 1899 e Domingos nel 1901 ed in seguito la famiglia si trasferì a Valinhos.

Valinhos

Uno dei primi veicoli dell’impresa Capellato, anni ’20

Valinhos è una città dell’entroterra di San Paolo, situata vicino a Campinas, della quale fece parte fino al 1896, quando fu dichiarata distretto di pace ed infine comune nel 1953. Conosciuta oggi a livello nazionale come « la capitale del fico viola”, per la produzione nazionale di questo frutto, la città è nota anche per la festa del fico che si tiene ogni anno e per essere la città natale del compositore e sambista italo brasiliano Adoniran Barbosa.
Fu nella città di Valinhos che la famiglia risiedette dal 1903, e fu lì che nacquero i loro ultimi 3 figli: Natale nel 1903, Emma nel 1905 e Amélia nel 1913. Si pensa che fu a Valinhos, nel corso del primo decennio del ‘900, che il cognome di Angelo cambiò da Cappello a Capellato; la famiglia ad oggi non conosce il vero motivo del cambiamento, ma ritiene che sia stato un errore nella trascrizione dei documenti. Da quel momento in poi Angelo cominciò ad essere conosciuto e chiamato da tutti Angelo Capellato, cognome mantenuto da tutti i discendenti fino al giorno d’oggi e presente anche con le varianti Capelatto e Capelato. Angelo cominciò a lavorare in città come contadino e lattaio e con i risparmi, sempre in quel periodo, acquistò un appezzamento di terreno, dove avviò la sua prima attività, una fabbrica di ceramica.

Jardineiras della ditta Capelato negli anni ’50

Negli anni ’20 acquistò un camion, iniziò a trasportare i contadini e i loro attrezzi da Valinhos a Campinas, e viceversa, e nello stesso decennio acquistò una Jardineira, (le Jardineiras, costruite col motore di un camion, furono i primi modelli di “autobus” a circolare in Brasile); dopo quest’ultimo acquisto fondò la « Empresa de Ônibus Capelato », azienda pioniera nel trasporto pubblico a Valinhos.
L’inizio fu difficile; secondo i resoconti della famiglia, infatti, a causa della guerra, negli anni ’40 questi veicoli erano alimentati a gasogeno, un prodotto ottenuto dalla combustione di legna bruciata, ma in seguito con molto sforzo e l’aiuto dei figli l’azienda crebbe, all’inizio con un solo veicolo, poi con due, fino ad arrivare a 10. Il tragitto delle jardineiras era la vecchia strada di Campinas e i Valinhenses che dovevano studiare, andare in ospedale, oppure recarsi al lavoro a Campinas, facevano il percorso con questi veicoli; ancora oggi molti si ricordano delle vecchie jardineiras Capelato. Col tempo, e l’arrivo in Brasile di veri e propri autobus, la Capelato ha sostituito la sua flotta con dei veri autobus, effettuando diverse linee attraverso le città e i quartieri di Valinhos, Campinas, Louveira, Vinhedo, Joaquim Egidio e Souzas.

Gli ultimi anni

Dipinto di Angelo Capellato degli anni ’40

Angelo era un uomo severo ma giusto, molto affettuoso con i suoi nipoti. Si raccontava che quando li vedeva, prendeva sempre una monetina dalla tasca e la dava a loro perché si comprassero delle caramelle. Aveva dei baffi lunghissimi, di cui era molto orgoglioso e che erano la sua particolarità, non permettendo a nessuno di tagliarglieli. Vedovo dal 1938, negli ultimi anni della sua vita, era usuale trovarlo seduto sulla sedia a dondolo, nel cortile sul retro della sua casa. Morì il 7 dicembre 1951, nella sua casa in Avenida Independência a Valinhos.

L’attività

Per molti anni i Capellato trasportarono i Valinhenses, facendo parte della loro storia e della città; ancora oggi i loro nipoti e pronipoti con le rispettive aziende di trasporto continuano l’attività iniziata da Angelo. A Valinhos, c’è una via intitolata « Rua Angelo Capellato » e anche altre vie che portano i nomi di figli, nipoti e pronipoti in onore al lavoro svolto da Angelo e dai suoi discendenti.

Ringraziamenti

Vorrei ringraziare i miei familiari brasiliani e italiani, per le storie raccontate nel corso degli anni e per le foto, la mia amica Elena, gli amici della APHV (Associação de Preservação Historica de Valinhos), gli amici Ulisses Lo Porto e il professore Gersio Pellegatti, il sito familysearch, gli amici del gruppo “Amici della genealogia”, il sito tuttogenealogia.it e il Portale Antenati per l’opportunità di poter scrivere questo testo sulla mia ricerca e anche per il meraviglioso progetto, grazie al quale sono riuscito a trovare anche l’atto di nascita di Luigi Lazzarin, nonno materno di Angelo, nato nel lontanissimo 1813, ed infine i miei più sentiti ringraziamenti a tutti coloro che mi hanno aiutato nelle mie ricerche.

Ritratto di Raffaele Soldano in età giovanile

E’ importante precisare che al momento della ricerca di mio nonno non avevo nessun tipo di informazione, nemmeno il suo nome, solo la presunzione che fosse italiano e nient’altro, con i miei genitori non ho legami per più di 20 anni, per i quali l’odissea è stata un lancio di una moneta. Il 16 giugno 2021 ho iniziato il percorso verso l’ignoto, mobilitato da una strana sensazione come scrivere un messaggio in una bottiglia e lanciarlo in mare sperando che un giorno lontano qualcuno si metterà in contatto. Il primo passo è stato richiedere l’atto di nascita di mio padre Leopoldo. Il 23 giugno ricevo il primo segno, il nome di mio nonno era RAFAEL.

Il 6 luglio mi sono svegliato presto e ho iniziato a indagare su come ottenere quell’informazione, e navigando su internet ho consultato il sito www.cognomix.it e ho scoperto che il cognome Soldano era registrato a Salerno, Sant’Angelo a Fasanella, Baronissi e Battipaglia. Casualmente ho iniziato a cercare Sant’Angelo a Fasanella nel sito antenati.cultura.gov.it  e miracolosamente ho trovato il certificato di nascita, il terzo segno.

Ritratto di Raffaele Soldano in età anziana

Con questa motivazione, il 24 giugno ho richiesto il certificato di matrimonio dei miei nonni, Rafael e Rosa, il 5 luglio ho ricevuto il secondo segno, Rafael è decisamente italiano nato in provincia di Salerno. L’emozione mi ha scosso, mio ​​nonno, le mie radici erano già definite, ora dovevo reperire il certificato di nascita di Rafael.

È stato un momento magico, molto emozionante, mobilitato da tanti segni, ho cominciato ad assorbire informazioni su Sant’Angelo, ho immaginato l’infanzia di mio nonno. Sant’Angelo a Fasanella è un paese magico, ogni volta mi sono sentito parte di quel luogo da sogno. Mi chiedevo, ci saranno dei parenti stretti? Con la meraviglia della tecnologia, perché senza questo strumento tutta questa storia sarebbe stata impossibile, ho individuato in paese un gruppo che promuove attività culturali e turistiche sulle reti, ho lasciato un messaggio il 7 luglio 2021.

Il giorno successivo appare il quarto segno, ricevo questo messaggio totalmente inaspettato:

“Salve buongiorno. Grazie per avermi contattato Le farò avere notizie, ho parlato con la mia mamma ed in realtà saremmo proprio noi ,vostri parenti perché la mia nonna di chiamava Soldano Barbara Marianna le lascio il recapito della mia mamma e cercheremo di metterci in contatto, io mi chiamo Luigi Marino, sono anche su Facebook. Mia mamma si chiama Livia Scala e questo è il suo numero. Tuo nonno alla fine era il fratello di mia nonna”.

Non potevo credere a quello che stava succedendo, improvvisamente sono apparsi nella mia vita, mio nonno, i miei cugini, i miei nipoti, l’emozione mi ha travolto, il destino o la casualità, era un sogno diventato realtà. In 22 giorni ho ritrovato la mia famiglia, le mie radici e la mia vita si è riempita di colori e di magia.

Ritratto recente di Livia Scala

Conoscere mia cugina Livia, ha creato il ponte con i miei antenati e con la mia bella famiglia italiana suscitando forti emozioni.

Senza tempo da perdere, e con l’emozione alle stelle, abbiamo iniziato con Livia a mettere insieme uno straordinario albero genealogico, pensando che da un giorno all’altro la vita mi desse l’opportunità di ritrovarli.

E in quella magica ricerca sono comparsi i miei zii Mena, María, Ninno, Ciccio, Raffaele e Antonio, i miei cugini Livia, Mary, Luigi, María Cristina, Roberta, Letizia, Simona, Raffaele, Michele, Franca, Emiliana, Virginia, Verónica , Vicky , Roberta, i miei nipoti Luigi, Carmencita, Giuseppe (Pepito).

Tutti mi hanno accolto con un amore come se il tempo non fosse passato, non so spiegare a parole cosa provo per ciascuno di loro, chiedo solo a Dio di permettermi di viaggiare molto presto per sciogliermi in un abbraccio infinito.

I discendenti della famiglia Soldano puntano su Sant’Angelo a Fasanella, luogo che dal 1700 ospitò gran parte delle generazioni.

« La famiglia è come i rami di un albero, alcuni prendono direzioni diverse, ma le radici sono sempre le stesse ». Come gli alberi ancorati alle loro radici, sostenuti e nutriti, sono nutrito dalla mia storia, dal mio paese Sant’Angelo a Fasanella, dai miei antenati. Da lì cresco, da lì vengo, prendo e apprezzo tutto ciò che ho. Riconosco la mia origine, sento la mia terra, senza evitare ciò che mi terrorizza. Dimenticare e negare non è altro che tagliare le proprie radici con la forza che danno. Se li taglio, chi sono? Da dove vengo? dove sto andando? Cerco di sentirli per trovare dove sono io, per coltivare i rami, quelli che oggi sbocciano.

Dopo 50 anni ho ritrovato la mia origine, la mia città, e la dico così, anche se non la conosco personalmente, perché mi sento come se fossi cresciuto lì, perché sento di avere legami sentimentali per tutta la vita, con persone che mi danno amore e che hanno cambiato la mia vita per sempre. La magia della ricerca delle radici ha a che fare con la storia passata, ma soprattutto con il legame con il presente e il futuro. È vero che il passato ci dà identità, ma non definisce chi siamo oggi.

Non siamo il nostro passato ma quello che abbiamo fatto e stiamo facendo per migliorarlo, andare avanti e ricostruirci. Questo atteggiamento è ciò che ci definisce, quello che mostra chi siamo veramente e quello che ci accompagnerà per tutta la vita. Solo il nostro presente può definirci, è nel momento presente che le nostre azioni ei nostri pensieri determinano chi siamo. Siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo, senza memoria non esistiamo e senza responsabilità potremmo non meritare di esistere.

CONCLUSIONE

Grazie al portale Antenati ho potuto scoprire mio nonno, i miei antenati e incontrare la mia famiglia, senza di te questo viaggio non sarebbe stato possibile, ti porto per sempre nel mio cuore.

I figli del bisnonno Cesare di Padergnone. Al centro Stefano Sommadossi

Mi chiamo Gianfranco Sommadossi e vivo a Vicenza. Sono nato a Bassano del Grappa, «la città dei signori e delle torri »* , nel 1935 e nel Borgo Angarano, nella zona destra del Brenta, al di là del Ponte Vecchio anche detto Ponte degli Alpini.

Fu una domanda dei figli di mio fratello “ Ma noi chi siamo?”. Sinceramente non me lo chiesi mai, ho conosciuto il nonno e la nonna paterni, trentini. Conoscevo il nonno materno bresciano. La nonna materna era veronese, non la conobbi. Il papà aveva due fratelli e una sorella. La mamma era figlia unica. Fino ad allora non mi ero interessato e quella domanda fece aprire un cassettino della memoria.

«Finché viviamo, dobbiamo continuare ad apprendere. Non accadrà mai che sapremo troppo, ma che non sapremo mai abbastanza. Nulla può darci più gioia del conoscere chi siamo, chi eravamo, chi saremo; e a nessun altro piacere potremo comparare quello che proviamo mentre apprendiamo…»** .

Via dedicata ai Somadòs a Ranzo, frazione di Vallelaghi (TN)

Quella domanda a cui non avevo saputo dare risposta aveva toccato il mio amor proprio e stuzzicata la curiosità. Ero in pensione perché non dedicarmi a una ricerca sugli antenati e grazie a documenti conservati dai miei genitori incominciai a scavare nel passato. La scoperta che ha scombussolato le mie certezze, fu un’annotazione di mio padre in un vecchio libro dove aveva scritto che il nostro cognome Sommadossi è l’italianizzazione di un soprannome trentino Somados, ma non aveva annotato il cognome da cui derivava.

Anche Lui la notizia l’avrà sentita da qualcuno in famiglia, ma tutto era finito nel dimenticatoio. Tra i libri di mio padre trovai un’annotazione il titolo era un testo di Dante Olivieri “I Cognomi della Venezia Euganea“ , forse anche papà si chiedeva perché questo soprannome ci è stato assegnato e cercava una risposta, che ho trovato grazie a Ettore Parisi, oggi conosciuto come “Archivio della memoria della valle dei laghi” in Trentino.

Per conoscere la genealogia dei Sommadossi prima del 1825 devo ringraziare Ettore questo prezioso ricercatore genealogico di Ranzo la cui mamma era una Sommadossi. Le sue indicazioni, le sue ricerche la sua disponibilità mi hanno spinto ad approfondire sui cognomi sui soprannomi di quegli avi a cui appartengo anche io e risalire le undici generazioni che mancavano alla mia genealogia. Il primo quarto si era fermato nel 1500 in una contrada delle Giudicarie esteriori. In quel borgo antico chiamato Ranzo passaggio obbligato tra il Banale la Valle dell’Adige e il Sarca, dove c’è una via dedicata ai Somados. I Gendroni: ecco chi sono i Sommadossi. I Gendroni appaiono nella storia della famiglia nel XIV secolo. Il loro nome è scritto nei registri parrocchiali della pieve di Ranzo. Nell’atto di matrimonio tra Pietro ed Elena oltre al cognome Gendroni, Ettore Parisi trova scritto detto el Somados.

Nessuno avrebbe pensato che questo soprannome diventava con il tempo il cognome di una numerosa progenie. Anzi produrrà anch’esso tanti soprannomi. Pietro Gendroni detto il Somados potremmo definirlo il capostipite dei Sommadossi, nel 1564 nella chiesa di Ranzo aveva sposato Elena anche lei una Gendroni. Avranno tre figli. Domenica 1565 Simone nel 1568 e Maria Domenica nel 1570. Simone continuerà la discendenza dei Somados, delle figlie Maria e Domenica non si anno notizie.

Quando Ettore Parisi mi confermò che le sue ricerche sui Sommadossi lo avevano condotto nel 1500 e che il precursore si chiamava Domenico Gendroni o cercato di inoltrarmi più in la nel tempo. I registri parrocchiali si fermavano al (1530 circa) la consultazione di documenti storici, accenni a campagne militari che citassero i Gendronl non mi dettero alcuna informazione utile. Dei Gendroni prima del 1500 buio totale. Le radici della mia famiglia iniziavano nel XIV secolo. Grazie a Ettore avevo aperto la strada per dare quella risposta che non conoscevo ricostruendo il primo quarto. Ma la soddisfazione della scoperta mi spinse oltre, aprendone altre.

Famiglia Vaona: seduti Francesco e Alice Vaona, la bambina è la mamma dell’autore

Questa volta non furono i nipoti. Mi trovavo nella sala d’attesa del mio dentista, un appassionato cicloturista. Nel cestino dei giornali mi capitò tra le mani la rivista, “Lessinia tra malghe, contrade e memorie” una rivista curata da Anna Solati ricercatrice veronese. Sfogliando le pagine all’interno trovai un articolo in cui Si parlava di Breonio, comune della Lessinia, nome strano, mi incuriosì, e continuai a leggere. Nella sesta riga lessi due nomi: Vaona e Zivelongo e una data 920 d.C. fu spontaneo, esultare ad alta voce: Stai a vedere che ho scoperto le origini degli avi di mia madre!!! Non ricordo di che anno fosse la pubblicazione, ma è passato del tempo. La lettura della notizia che un nobile veronese otteneva dal primo re d’Italia Berengario I, per il figlio Bertello la Corte di Breonio di cui facevano parte le dipendenze dei Vaona e dei Zivelongo mi aveva incuriosito. Forse fu l’impulso di cercare le radici della famiglia di mia nonna materna, anche Lei una Vaona e che può vantare undici secoli di storia e che da allora mantiene lo stesso cognome. La curiosità di scoprire e il desiderio di approfondire le mie origini, mi portò a cercare. Questa volta non c’era Ettore, ma utilizzai i suoi consigli. Cominciai a costruire la genealogia di questa ramificatissima progenie che dovrebbe sfociare nella ricostruzione della storia di un altro quarto della mia ascendenza. E’ risaputo che la prima cosa da fare è avere qualche idea magari da chi lo ha fatto prima di te.

1943, da destra Gianfranco Sommadossi con il fratello e la madre vestiti alla Marinara

Il consiglio di Ettore fu di andare di persona negli archivi delle parrocchie, avendo già qualche indizio sulle cose da cercare. Sapevo cosa cercare, ma non sapevo come. Quando conobbi il Dot. Francesco Coati, archivista volontario della parrocchia dl San Pietro in Marano di Valpolicella, non immaginavo cosa fosse un archivio parrocchiale. La prima cosa che imparai fu la presenza dei quatto libri “canonici” Gli Stati delle Anime, il registro dei Matrimoni, dei Battesimi e dei Morti.

Il primo dei libri che mi consigliò di sfogliare fu lo stato d’anime, una sorta di censimento, in cui il parroco oltre che annotare la vita spirituale delle suo gregge, compilava e aggiornava il resoconto degli avvenimenti accaduti, date, lo stato di famiglia, nonni, genitori, figli, nuore, nipoti, il censo delle famiglie (tutte le persone conviventi che di fatto non erano parenti di sangue, ma che vivevano con la famiglia) i trasferimenti e molte informazioni utili alla ricerca delle origini, alla ricostruzione della storia famigliare. E questo è stato un altro passo per risalire la storia degli antenati che è diventata sempre più ampia attraverso la ricerca di documenti che testimoniano i modi di vita, i luoghi dove essi hanno vissuto e dove hanno contribuito a sviluppare la vita comunitaria. Poi gli altri tre non meno interessanti Matrimoni, Nati e i Morti.

Battesimo del padre dell’autore, Cesare Giovanni Sommadossi

Difficoltà, tante che non le elenco, ma ne è valsa e ne vale la pena. La difficoltà maggiore per me fu la lettura di questi documenti redatti in lingua latina con una grafia da penna d’oca. Le complicazioni che questo ha comportato per me con il tempo sono diventate superabili. C’è un altro aspetto da evidenziare la rarefazione degli archivisti Volontari nelle parrocchie che custodiscono un patrimonio archivistico inestimabile, Chiuso negli armadi. Questo purtroppo complica la ricerca. Nel 2021 una scoperta: leggendo un articolo di Paola Calaprisco su l’Adige quotidiano veronese “ i propri antenati a portata di clic ” Un progetto degli Archivi di Stato in collaborazione con Family Search mi ha permesso di scoprire la presenza dei Vaona nei comuni veronesi. Mi riferisco alla prima stesura, quella che con un clic appariva l’elenco dei comuni della provincia. Importante per uno come me che del veronese ne conosceva s1 e no una decina.

All’età di 87 anni avere la possibilità, attraverso il proprio computer, di cercare e di conoscere le proprie radici è una soddisfazione impagabile e affascinante. Il mio più grande desiderio è quello che questo progetto vada sempre migliorando con la possibilità di trovare sempre più documenti di stato civile accessibili online anche con la sinergia di più istituti come gli Archivi di Stato, gli archivi storici dei Comuni e le parrocchie afferenti alla diocesi di Verona.

Ricostruire l’onomastica degli ascendenti mi ha aperto la strada alla conoscenza delle radici della famiglia ciò non ha significato realizzare un elenco di nomi, date e località ma qualche cosa di più. Perché amici, questi sono parte dei mattoni che mi sono serviti per costruite la storia dei miei avi e quei mattoni li ho trovati anche nel Portale Antenati del nostro Archivio di Stato.

Gianfranco Sommadossi un ragazzo di una volta.

Note
*Definizione della città di Bassano del Grappa dello scrittore Paolo Malaguti, tratto dal romanzo “Sul Grappa dopo la vittoria” edito da Santi Quaranta nel 2009;

**Pensiero del medico e filosofo Guglielmo Grataroli del XVI sec.

Battesimo di Lucia Cupo-Doll del 18.04.1965

Mi chiamo Lucia, sono nata il 13 febbraio 1965 a Kaiserslautern in Germania e lavoro all’interno dell’Università in qualità di tutor degli studenti. Mio padre, Angelo Cupo, è nato nel 1936 a Palomonte in provincia di Salerno ed è arrivato in Germania nel 1960. Figlio di Carmine Cupo e Carmela Antico. Mio padre è morto il 26 dicembre 2021. La famiglia di mio padre viveva di agricoltura. Nel 1957, mio padre partì per la prima volta per il nord Italia, vicino a Bologna, a Forlì, dove continuò a dedicarsi all’agricoltura per un po’ di tempo. Spinto dal desiderio di cambiare vita e tipo di lavoro, nel 1959 si spostò in Francia, vicino a Strasburgo, dove trovò un lavoro come operaio.

Poco tempo dopo é tornato in Italia. Ma la vita in Italia era molto dura. Lui è partito di nuovo, ma questa volta accompagnato da due parenti verso la Germania. Una azienda aveva bisogno di lavoratori richiesti in una fabbrica.  La ditta chiamata « Heger-Guss » di Enkenbach (una piccola città vicino a Kaiserslautern) era alla ricerca di manodopera a basso costo dall’estero. Quindi per questo motivo mio padre andò in Germania con i parenti. Hanno viaggiato due giorni: A causa del ritardo di un treno precedente hanno perso la coincidenza e l’ultimo treno che li doveva portare a Enkenbach.

A causa di ritardi dei treni, non ha potuto incontrare il caposquadra. Di conseguenza, trovandosi con pochi soldi in tasca, trascorsero la notte nella stazione ferroviaria. Dopo non aveva i soldi per continuare a viaggiare verso la azienda. Con poca conoscenza della lingua tedesca hanno provato a parlare con l’uomo della biglietteria. Gli chiesero di chiamare il caposquadra in Enkenbach, per dire, che erano ancora a Mannheim. Fortunatamente, li ha aiutati a continuare il loro viaggio verso Enkenbach.

Prima volta in Italia al Passo del San Gottardo

Ci fu un’ispezione sanitaria da parte della impresa. Volevano assicurarsi che non avessero portato malattie dall’Italia. Alloggiavano in una caserma vicino alla fonderia. Due anni dopo, Angelo cercò ‘lavoro in una cava. Ma pure questo non gli piaceva. In cava il lavoro era ancora più duro che in fabbrica. Nel 1963 passò a lavorare come operaio in un’impresa si chiamava « Papierschmidt » a Kaiserslautern e poi in un’altra azienda “Guswerk” a Kaiserslautern. Ma, tutti questi lavori non erano divertenti per lui. Probabilmente il lavoro al chiuso non faceva per lui.  Successivamente trovò il lavoro che gli piaceva veramente: fare l’operaio per l’azienda produttrice di bevande « Koch ». Rimase lì per 13 anni, giorno dopo giorno, riforniva i clienti di bevande. E poi ha ottenuto la patente di guida dell’autobus e finalmente ha trovato il lavoro che gli piaceva ancora di più. Finché non ha ottenuto un posto di autista di autobus con gli americani: lo divertiva, portava i bambini a scuola e li riportava a casa. Cosi ha trovato il post che faceva per lui – ha accompagnato gli scolari a scuola fino al suo pensionamento.

Negli anni Sessanta ha incontrato Ruth, la mia cara mamma. Si sono incontrati mentre ballavano. C’era un posto chiamato “Olympia” a Kaiserslautern in Germania. Le serate danzanti erano sempre organizzate lì. Tutti gli italiani di Kaiserslautern erano lì. Si sposò con la mia mamma l’11 luglio 1963. Ricordo che ci andavamo sempre da bambini. Nelle vicinanze c’era anche un parco con autoscontro e struttura per arrampicata; quindi, noi giocavamo sempre li, dopo una passeggiata. Per la prima volta mio padre per raggiungere l’Italia andò al Passo del San Gottardo in Svizzera. Hanno impiegato 3 giorni per il viaggio.  Durate la stagione estiva accadeva il classico esodo degli italiani emigranti in Germania per far visita alle famiglie lasciate in Italia. Questo accadeva specialmente nel mese di agosto. Le famiglie ospitanti erano quasi sempre i loro stessi parenti finché erano in vita. Come la nostra famiglia. La casa dei miei nonni era in Campania. Per arrivare a casa, mio nonno era venuto a prendere noi e le nostre valige con il suo asino. La strada per la sua casa non era asfaltata, quindi abbiamo parcheggiato l’auto dal fratello di mia nonna e ci sono venuti a prendere li.

Atto di nascita di Carmine Cupo, 11.06.1910

Io mi ricordo bene di Palomonte provincia di Salerno. Ogni anno io e la mia famiglia siamo venuti per quattro settimane in Italia. Mi dispiace non parlare bene l’italiano. Con me mio padre ha sempre parlato in tedesco. È veramente un peccato, anche perché quando ero piccola non ero capace di capire cosa dicessero i miei nonni in Italia. Ho iniziato solo da qualche anno con lo studio dell’italiano.

Mi ricordo, anche i miei nonni e anche i miei zii hanno lasciato sempre il letto matrimoniale ai miei genitori. Per noi figli ogni anno era un viaggio nel passato. Da quando sono venuta a Palomonte, fino dal 1980, mi è sempre sembrato strano che in casa di mio nonno non ci fosse un bagno. Per me era molto curioso, così come era strano non avere acqua o farsi il bagno senza acqua calda!

Anche io mi sento una palomontese, nonostante non sia nata lì. Ammetto di tornare a Palomonte per riscoprirlo, ma anche per conoscere meglio come vive oggi la gente rispetto al passato. Un giorno, chi lo sa, forse verrò vivere a Palomonte, se ne avrò la possibilità. Senza bagno, senza il comfort della Germania. A quel tempo lo odiavo, ma oggi, se ci ripenso, è stato un periodo molto bello. Allora non sapevo parlare la lingua italiana ma ero sempre interessata a imparare ogni anno nuove parole. I primi giorni in Italia erano sempre un po’ strani, io mi sentivo straniera. Ma poi io mi sentivo a casa. Mia zia mi chiamava sempre per aiutare a fare qualcosa. Lei sapeva che mi piaceva tutto e provava ad insegnarmi.  Noi bambini dormivamo insieme in una camera. Dopo 2 notti stavamo sempre scherzando al buio con i nostri cugini e nostra zia ci ha sempre avvertito di dormire. Mi ricordo che mia cugina mi ha insegnato il nome “tartaruga”. Il giorno prima era venuto un altro parente – il figlio del mio padrino di battesimo – a casa nostra con una macchina. Poi mi hanno detto che questa era una tartaruga. Ho trovato questa parola nel mio dizionario italiano – tedesco che avevo sempre con me.

Lucia Cupo-Doll con il padre e i suoi figli

Da quando ho memoria sono sempre stata interessata alla ricerca familiare, ero affascinata nell’apprendere che mia nonna aveva così tanti fratelli.

Qualche anno fa ho trovato un documento in quelli è scritto tutti i nomi e le date di nascita di molti parenti. Con questo documento ho iniziato a cercare altra informazione. Ma è stato molto difficile. Mia zia mi ha dato i nomi non corretti, ogni persona aveva un soprannome che mi ha reso tutto più difficile.

Il 23 novembre 1980 – il terremoto in Campania – fu un momento terribile anche per noi in Germania. Dal momento che la rete telefonica e Internet non erano così avanzate come lo sono oggi, abbiamo dovuto aspettare qualche giorno per avere notizie da mio zio che erano tutti vivi.

Dopo la morte della mia cara mamma ho iniziato a scrivere un libro della famiglia e fra poco faccio inizierò a scriverlo in italiano e inglese.

Navigation des articles

Articles plus anciens
List of published Archives
  • Le Portail
    • Mode d’emploi
    • Demandes de certificats
    • FAQ
    • Historique du projet
    • Dernières archives publiées
    • Index de noms ont été publiés
    • Participez au projet
  • Outils
    • Guide de recherche
    • La recherche généalogique
    • Sources dans les archives de l’État
    • Glossaire
    • Dictionnaires historico-géographiques pré-unitaires
    • Publications numériques
    • Matériaux et apports
  • Histoires de familles
    • Lisez les histoires de familles
    • Racontez votre histoire
    • Archive audiovisuelle de la Mémoire des Abruzzes
    • Des vies filmées par la National Family Film Archive
    • Superoptimistes – Archive régionale du film de famille
    • Cinescatti – Laboratoire 80
    • Société Humanitaire – Cinémathèque de la Sardaigne
    • Fonds Filmographique Torri
  • Nouveautés
  • Explorez les Archives
  • Gestion des données personnelles
  • Politique de gestion des cookies
  • Mentions légales
  • Crédits
  • Contacts
dga mic dga logo Istituto Centrale per gli Archivi Sistema Archivistico Nazionale
faq Besoin d'aide?

Copyright Antenati 2021

  • Le Portail
    • Mode d’emploi
    • Demandes de certificats
    • FAQ
    • Historique du projet
    • Dernières archives publiées
    • Index de noms ont été publiés
    • Participez au projet
  • Explorez les Archives
  • Outils
    • Guide de recherche
    • La recherche généalogique
    • Sources dans les archives de l’État
    • Glossaire
    • Dictionnaires historico-géographiques pré-unitaires
    • Publications numériques
    • Matériaux et apports
  • Histoires de familles
    • Lisez les histoires de familles
    • Racontez votre histoire
    • Archive audiovisuelle de la Mémoire des Abruzzes
    • Des vies filmées par la National Family Film Archive
    • Superoptimistes – Archive régionale du film de famille
    • Cinescatti – Laboratoire 80
    • Société Humanitaire – Cinémathèque de la Sardaigne
    • Fonds Filmographique Torri
  • Nouveautés
  • Français
    • Italien
    • Anglais
    • Espagnol
    • Portugais - du Portugal
Utilizziamo i cookies nella pagina per fornirti un'esperienza d'uso migliorata. Cliccando "Accetta tutti" consenti all'uso di tutti i cookies. Altrimenti puoi visitare le impostazioni.
ImpostazioniAccetta tutti
Manage consent

Privacy Overview

This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Enregistrer & appliquer
  • Italiano
  • English
  • Español
  • Português