Alberto Moravia – all’anagrafe Alberto Pincherle Moravia – nacque a Roma il 28 novembre 1907.
Crebbe in un ambiente culturalmente vivace: il padre Carlo era architetto e pittore, di origini veneziane e di fede ebraica; la madre, Teresa Iginia De Marsanich, era un’anconetana di origini dalmate e di fede cattolica.
La sua formazione si svolse prevalentemente in casa, assistito da insegnati privati, anche a causa della coxite, una malattia ossea all’anca che lo costrinse per lungo tempo a una forzata immobilità. Questo, tuttavia, gli permise un avvicinamento precoce e appassionato alla letteratura.
In seguito, nonostante la guarigione, il giovane Moravia non volle proseguire gli studi in maniera regolare, pur continuando a coltivare la vocazione letteraria attraverso una vorace attività di lettura, cui presto si affiancarono le prime prove poetiche e narrative.
Nel 1929, infatti, fu pubblicato il suo romanzo d’esordio, Gli indifferenti.
Tuttavia, negli anni successivi, molteplici furono i limiti professionali che il regime aveva tentato di imporgli, per via della fede ebraica del padre, ma che Alberto Moravia, professandosi ateo e figlio di madre cattolica, era riuscito a eludere.
Il 14 aprile 1941 si unì in matrimonio con la scrittrice Elsa Morante, che aveva conosciuto qualche anno prima. Con lei per diversi mesi si rifugiò nei pressi di Fondi, a sud del Lazio, per sfuggire alla persecuzione antisemita.
Tornati a Roma nel 1944, Moravia riprese a pieno ritmo la sua attività: oltre alle numerose collaborazioni con varie testate giornalistiche, ne fondò una propria assieme ad Alberto Carocci, Nuovi argomenti, che diresse fino alla sua morte, affiancato per un periodo anche dall’amico Pier Paolo Pasolini. Oltremodo prolifica fu anche la sua produzione letteraria che – a partire da quegli anni – proseguì con un ritmo serrato. Tra i romanzi di maggior fama si ricordano: Agostino (1944), La disubbidienza (1948), I racconti (1952 – Premio Strega), La ciociara (1957), La noia (1960 – Premio Viareggio 1961) e La vita interiore (1978).
Nel 1962 si concluse la lunga relazione con la Morante, a cui seguì quella quindicennale con la nota scrittrice Dacia Maraini.
Nel 1984 si presentò alle elezioni europee come indipendente nelle liste del Pci, diventando deputato al Parlamento Europeo (1984-1989).
Morì a Roma il 26 settembre 1990.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Roma > Stato civile italiano > Roma > 1907
A margine, l’atto riporta anche la nota di cancelleria che segna l’atto di matrimonio con Elsa Morante, avvenuto il 14 aprile 1941.
Per approfondimenti sulla figura di Alberto Moravia, vedi la voce del Dizionario Biografico degli Italiani a cura di Marcello Ciocchetti.
Archivio di Stato di Roma > Stato civile italiano > Roma > 1907
In un volume di documenti di matrimonio dal paese di San Valentino in Abruzzo Citeriore per l’anno 1822, si trova il seguente, piuttosto drammatico racconto, riguardo la morte di un antenato di mia madre, mio 4° bisnonno:
Nell’anno mille ottocento sette, 1807. Nel giorno primo di Settembre. Bartolommeo (sic) figlio di Giuseppe Di Giambattista, marito di Isabella Di Domenico, nell’eta sua d’anni cinquantadue circa, nella Communione della Santa Madre Chiesa Cattolica, sul terreno detto della Regia Camera, e specialmente tra le case rurali di Camillo Sant’Angiolo e di Nicola Marulli rese l’anima a Dio, che fuggendo fu ucciso dai Francesi, che perseguitavano i Briganti, a colpi di schioppo, al quale proprio fu ucciso il Capo, perchè fu creduto anch’esso compagno de’ Briganti, il di cui corpo fu qui sepolto nella Chiesa parrocchiale di San Donato.
L’atto di morte di Bartolomeo Di Giambattista.
Questo documento, copiato dal registro dei morti dalla Chiesa di San Donato in San Valentino, fu presentato da Tommaso Di Giambattista, figlio di Bartolomeo, al suo matrimonio nel 1822. Come documentazione della morte di suo padre, sarebbe stato usato invece del consenso dei genitori che fu necessario in quel tempo. I dettagli della morte di Bartolomeo sono notevoli siccome danno testimonianza alla violenza che fu possibile in Abruzzo e quasi ovunque in Italia durante questo tempo, cioè, durante l’era napoleonica di 1806-1815, quando il Regno di Napoli fu fondamentalmente uno stato cliente della Francia. Questa fu preceduta da un’invasione più prima di 1798. Entrambe le invasioni generarono insorgenze fra il popolo, con il termine “brigante” usato per denotare coloro che si ingaggiarono in insurrezione. Il destino di Bartolomeo è strettamente legato a questi insorti, essendo apparentemente stato ucciso in qualche tipo di ingaggio tra loro e le truppe francesi.
È interessante che l’arciprete di San Donato nel 1807 lasci alquanto ambiguo il vero coinvolgimento di Bartolomeo nell’insorgenza contro i francesi. Fu un vero brigante combattendo i francesi? O fu un passante catturato in una contesa? Qualunque sembra possibile. È anche commovente che Bartolomeo sia stato sparato vicino la casa di Camillo Sant’Angiolo (Santangelo). Fu sua figlia, Angela Domenica Santangelo, chi sposò il figlio di Bartolomeo, Tommaso, mio 3° bisnonno, nel 1822.
Quattro anni prima del matrimonio di Tommaso, un altro matrimonio si tenne a San Valentino tra una coppia più anziana. Michele Antinucci fu un vedovo di 50 anni quando sposò la vedova Domenica Pascetta. Suo padre, Crescenzo, come il padre di Tommaso, era anche deceduto, e quindi il seguente decreto fu inserito con i suoi documenti di matrimonio. Anche simile a Bartolomeo Di Giambattista, le circostanze della morte di Crescenzo Antinucci danno testimonianza, sebbene piuttosto meno esplicitamente, alle tragedie che la gente comune dell’Abruzzo soffrì a causa della situazione politica precaria durante questo periodo:
Dai documenti matrimoniali di Michele Antinucci del 1818: Il decreto su suo padre, Crescenzo Antinucci.
…si è presentato Michele Antinucci di detto Comune, figlio del fu Crescenzo Antinucci, e della fu Cecilia d’Antino, contadino di anni cinquanta, ed ha ascerito di non poter esibire l’atto di morte del detto fu suo Padre, da cui dovrebbe avere il consenso per il Matrimonio, che intende contrarre con Domenica Pascetta di detto luogo, stante che Egli ignora l’ultimo domicilio e la morte di detto fu suo Padre, per essere stato posto nelle mani della Giustizia in tempo delle passate emergenze, e propriamente nell’anno mille ottocento e nove…
Crescenzo, antenato di mio padre e mio 5° bisnonno, fu evidentemente arrestato nel 1809. A questo punto, fondato sulle informazioni nel Catasto Onciario di San Valentino di 1775, lui sarebbe stato un anziano di circa 75 anni. Sembra che non si sia più saputo nulla di lui dopo il suo arresto nel 1809, e allora la sua famiglia presumé che lui sia stato ucciso, probabilmente giustiziato. Ci sono pochi dettagli qui e quindi non si sa certamente le circostanze vere dell’arresto. Però, la frase “in tempo delle passate emergenze” è forse un indizio. Nel 1809 il governo napoleonico a Napoli sotto Gioacchino Murat, per combattere gli sforzi insorti dei briganti che continuavano, fondò commissioni militari per processare coloro sospetti di essere coinvolti. Coloro giudicati colpevoli non potevano fare appello e erano sommariamente giustiziati. Questo documento perlomeno suggerisce questo scenario come la sorte possibile di Crescenzo Antinucci. Portato via per affrontare una commissione militare per un sospetto coinvolgimento con l’insorgenza nel 1809, è possibile che sia stato giustiziato senza la sua famiglia sapendo i dettagli precisi.
Maria Domenica Pascetta con suo marito Donato De Luca nel 1930. Era lei che raccontava una “leggenda” di Crescenzo De Luca.
Vorrei concludere con un altro resoconto da questo periodo del quale ho azzardato di trarre certe conclusioni che sono, purtroppo, avallate di meno dai fondi disponibili. Quando Crescenzo Antinucci fu arrestato nel 1809, sua figlia Angeladea, mia 4° bisnonna, era già sposata da qualche tempo al primo antenato della mia famiglia con il cognome De Luca ad arrivare a San Valentino. Avendo lo stesso nome di suo suocero, Crescenzo De Luca nacque a Popoli nel 1780. Il figlio maggiore di questo Crescenzo e Angeladea, Cleto, nacque a San Valentino nel 1808. Nella sua vita Crescenzo si sposò e rimase vedovo tre volte, morendo nel 1861. Col tempo la nostra famiglia ha dimenticato il nome del nostro antenato che portò il nostro cognome a San Valentino, vale a dire, fino a quando ho potuto trovare i suoi documenti alcuni anni fa. Però, un vago ricordo di lui è rimasto. Nel 1967 mio padre incontrò a San Valentino sua nonna paterna, Maria Domenica Pascetta, per la prima volta. Avendo quasi 95 anni a questo punto, gli disse che la famiglia di suo marito era di origine di Popoli e che il primo De Luca ad arrivare a San Valentino lasciò Popoli dopo essere stato coinvolto in un crimine violento. Al suo terzo matrimonio nel 1833, i documenti matrimoniali di Crescenzo De Luca notano che lui fu residente di San Valentino “da più di anni trenta.” Tale cronologia coincide con la prima invasione del Regno di Napoli dai francesi di 1798 e, più significativamente, con il saccheggio di Popoli in dicembre 1798.
I documenti matrimoniali di Crescenzo De Luca del 1833, dove è indicato per quanto tempo ha vissuto a San Valentino.
I francesi saccheggiarono Popoli per cinque giorni, ma i popolesi resistettero, risultando in una perdita di 300 truppe francesi. Potrebbe essere stato coinvolto Crescenzo con la resistenza armata e l’impennata di violenza che il saccheggio della sua città natale scatenò? Potrebbe aver sentito un bisogno di fuggire a San Valentino, a quel punto ancora inviolata dall’invasione francese? Si sarebbe poi sposato con una famiglia con un simile sentimento “antigiacobbino?” Queste sono tutte congetture, ma in ogni caso, i tumulti dell’inizio del XIX secolo sarebbero stati avvertiti da lui e tutti i miei antenati in Abruzzo.
A sinistra, in nero, la pronipote di Bartolomeo Di Giambattista, Lucia Di Giambattista, con la sua famiglia a San Valentino circa 1946. Suo figlio, mio nonno, Francesco D’Ottavio è al centro con chitarra e mia madre sarà la bambina in bianco.
My name is Daniel Deefholts. I am British, however, my family tales and DNA tells an interesting story mapped across many influential countries and fiery cultures with direct ties to Britain. My maternal line means I am a blood descendant of Italian migrants.
This connection stems from my mother, Sarah and my grandmother, Theresa. Before my mother qualified as a nurse, she picked up work in an Italian cafè in South London. It explains why some of my favourite dishes and desserts were always Italian growing up. I can identify one lesson learned: you should never upset anyone of Italian descent in the kitchen unless you are brave enough!
I have traced my Italian bloodline to 1740 with the help of local residents, my former Italian professor Marzia, and the digitisation of the Portale Antenati. After months of searching high and low for evidence, I located all the references my great-grandfather was unable to source many decades ago. It unlocked new evidence about my ancestral ties and challenges a long-held family hypothesis.
Nanny has always told us that our Pompei ancestors were originally from Naples, Campania before the unification of Italy (Risorgimento). She speculates an ancestor escaped the eruption of Mount Vesuvius in 79 AD and family rumours suggest some of our ancestors were killed by the greatest disaster in history. Modern day DNA testing and archival data reveals our ancestral ties are in fact Southern Italian.
My third great-grandfather – Francesco Antonio Pompei – was from a village called Picinisco situated halfway between Rome and Naples. In pre-Republican times, it belonged to the Kingdom of the Two Sicilies and his parents were domiciled in Strada Codarda. British archival data reveals Francesco was a bootmaker and confectioner master in South London. It must explain my mother’s love and painful indecisiveness for shoes and boots. We all have very sweet tooths. We are willing to fight over the last confetto alla mandorla.
My third great-grandfather, Francesco (right) with his wife, Addolorata (left) and daughter, Philomena (centre) in Italy.
Then by 1891, the UK Census documents that he had settled in Camberwell, London with his family and wife Maria Addolorata. They had thirteen children together. Their surviving children served in the British Armed Forces before the era of fascism and trained as bootmakers, confectioners, tobacconists, hairdressers and machinests. In 1933, his daughter Philomena Loreta gave birth to my great-grandfather David, but years later the German air raids on London had a devastating impact and killed some of our relatives. Fast-forward to the 1950s, my grandmother Theresa Frances and her sister Francesca were born during Britain’s post-war recovery and baby boom.
My grandparents, Theresa Frances, and Gerald Martin.
My mother Sarah, auntie Jade and uncle Robert will remember growing up with many pets including a goat. I remember my grandparent’s British-Italian friend Bob Giola – a market stall trader – originally from Varese who would drop by unannounced, talk for hours, watch tennis on the television with us and tease me hard. He was a true chiacchierone.
My great-grandfather, David holding my mother as a baby.
Discovering the archives has unlocked significant information about my ancestors’ lives, occupations and movements spanning centuries therefore allowing me to piece together facts, stories and hidden data with my family. Learning Italian has proven to be useful in allowing me to map our heritage and read and interpret all these records.
The local parish records also confirm that my last recorded ancestor in 1740 was Francesco’s grandfather – VincenzoDomenico Pompei – my fifth great-grandfather. He married a Piciniscani woman named Lucia Cervi. He worked as an agricultura contadino. However, the archives reveal his father was actually Domenico Pompei who wasdomiciledin Strada Piazzetta with his wife Gertrude Cocozza.
Now my final mission is to visit the village with my mother to rediscover our roots and consult the parish records dating back to 1500. Who was Domenico Pompei? How did my ancestors end up there? Can I ever attempt to solve parts of this mystery burried in history? Once we have been granted with Italian citizenship it will open a new chapter of integration, adventure and rediscovery.
My mother Sarah carrying me on my birthday as a child.
Acknowledgements:
Il Portale Antenati, Ministero della cultura
UK National Archives
London Metropolitan Archives
Southwark Archives
Archives de Paris, Département des publics
Dr Marzia Maccaferri, Queen Mary University of London
Shows my mother (left) and auntie Jade (centre) with Philomena (right).
Elsa Schiaparelli nacque a Roma il 10 settembre 1890 da Giuseppa Maria de Dominicis, aristocratica napoletana, e Celestino Schiaparelli, professore di letteratura e lingua araba all’università di Roma La Sapienza, nonché primo bibliotecario all’Accademia dei Lincei.
Al ramo paterno della sua famiglia – di origini piemontesi – appartennero diversi nomi noti, solidamente affermati in campo accademico: tra questi, gli zii Ernesto e Giovanni Schiaparelli, rispettivamente egittologo e astronomo, e il figlio di quest’ultimo, Luigi, famoso paleografo e diplomatista.
Dopo gli iniziali studi in Filosofia, la famiglia si oppose alle precoci aspirazioni poetiche di Elsa, mandandola in un convento in Svizzera.
Tuttavia, decisa a seguire le sue ambizioni, si recò a Londra: da lì, dopo un matrimonio fallito e una figlia, emigrò negli Stati Uniti, dove conobbe lo stilista Paul Poiret, di cui diventò allieva, per poi intraprendere una carriera personale affermando il proprio nome.
Gli anni ’30 furono il suo periodo d’oro: la sua Maison arrivò a contare ben 8 atelier a Parigi con un totale di oltre 800 dipendenti e fu in questo florido momento che realizzò le sue più iconiche collezioni di moda: si ricordi, ad esempio, la nobilitazione del maglione con doppio nodo o l’invenzione del tailleur in rosa shocking, oltre ad accessori che celavano vere e proprie opere d’arte, grazie anche alle pregiate collaborazioni con i protagonisti del Surrealismo e del Dadaismo (Dalì, Picasso, Giacomelli, Fini e molti altri). Questo connubio tra arte e moda si tradurrà in creazioni all’avanguardia, connotate da una straordinaria originalità, frutto di ricerca e sperimentazione di colori, materiali, trame e tecniche.
La Seconda guerra mondiale, tuttavia, colpì duramente la sua casa di moda, che si vide costretta a ridurre notevolmente la sua capacità produttiva ed Elsa dovette rifugiarsi a New York.
In seguito, una volta terminata la guerra, tornò a Parigi, ma il mondo della moda non era più lo stesso: difatti, nonostante alcuni riconoscimenti che le furono conferiti, non riuscì più ad ottenere il successo dell’anteguerra e risollevarsi dalla crisi economica. Così, la Maison Schiaparelli venne chiusa.
La nota stilista morì 19 anni più tardi, nella capitale francese, ormai sua città d’adozione, il 13 novembre 1973.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Roma > Stato civile italiano > Roma > 1890
Per approfondimenti sulla figura di Elsa Schiaparelli, vedi la voce del Dizionario Biografico degli Italiani a cura di Giovanna Uzzani.
Archivio di Stato di Roma > Stato civile italiano > Roma > 1890
Guido Fiorini nacque a Bologna il 1° luglio 1891.
Conseguita la laurea in Ingegneria, si specializzò in Architettura nel 1919.
Durante gli esordi della sua carriera, si dedicò sia all’insegnamento che alla pratica della professione, ottenendo anche dei riconoscimenti per alcuni dei suoi lavori.
Nel corso degli anni Venti, trovandosi a Parigi, ebbe modo di conoscere Le Corbusier, il celebre architetto svizzero con cui strinse un longevo rapporto di amicizia e collaborazione professionale.
Nell’ambito del dibattito del rinnovamento edilizio, particolarmente vivace in quegli anni, Fiorini focalizzò la sua attenzione sull’impiego delle strutture metalliche, giungendo fino all’invenzione della tensistruttura (1928-1935), con l’intento di creare un connubio tra costruzione edilizia e cultura architettonica.
Questo senso di innovazione gli valse il coinvolgimento in numerosi progetti, alcuni rimasti su carta.
Trovò comunque grande sostegno dalla corrente futurista, che rivedeva nelle sue idee e nei suoi lavori un simbolo concreto del progresso.
A partire dal 1932, cominciò a occuparsi di allestimenti per le scenografie cinematografiche: lavorò ampiamente nel campo, vincendo diversi premi, tra cui anche un Nastro d’argento per la migliore scenografia nel film Miracolo a Milano (1951) sotto la regia di Vittorio De Sica.
Morì a Parigi il 28 dicembre 1965.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Bologna > Stato civile italiano > Bologna > Registro 1057, suppl. 2
Archivio di Stato di Bologna > Stato civile italiano > Bologna > Registro 1057, suppl. 2
Carlo Alberto Camillo Salustri nacque a Roma il 26 ottobre 1871.
Figlio di Vincenzo, cameriere, e Carlotta Poldi, sarta, rimase presto orfano di padre, legandosi profondamente alla madre, con la quale visse fino alla morte di lei, nel 1912.
Nonostante la scarsa propensione per gli studi scolastici, Salustri mostrò sin da bambino uno spiccato interesse verso la poesia, dedicandosi in special modo alla composizione di versi in dialetto romanesco.
Già nel 1887, il suo primo sonetto, pubblicato sulla celebra rivista Il rugantino, recava in calce la firma di “Trilussa”, anagramma del suo cognome, che lo accompagnò per il resto della sua vita.
La sua poesia si ispirava alla tradizione romanesca adeguandosi, però, ai temi della fine del secolo, in maniera leggera, scanzonata, mai esplicitamente volgare. Contemporaneamente, accanto alla produzione poetica, affiancò quella in prosa, caratterizzata da rivisitazioni di favole classiche e popolari e dall’invenzione di nuove favole moderne.
Con l’inizio del secolo, si consolidò anche il suo successo, rendendolo un poeta-commentatore, assiduo frequentatore dei salotti e dei caffè romani. Durante il periodo bellico, prese le distanze dal regime, pur non ponendosene mai in maniera nettamente avversa. A questo periodo risalgono anche le sue poesie più impegnate, di carattere socio-politico, in cui è più forte l’impronta crepuscolare.
Nel 1947 rifiutò l’incarico a sindaco di Roma che gli era stato offerto.
Tre anni dopo, fu nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi.
Morì a Roma il 21 dicembre 1950.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Roma > Stato civile italiano > Roma > 1871
Il suo archivio cartaceo e fotografico fu mantenuto integro da Rosa Tomei, la donna con cui convisse nell’ultimo ventennio della sua vita e con cui strinse un sodalizio affettivo e lavorativo. Oggi l’Archivio di Trilussa è conservato presso il Museo di Roma in Trastevere.
Per approfondimenti sulla figura di Trilussa, vedi la voce del Dizionario Biografico degli Italiani a cura di Gabriele Scalessa.
Archivio di Stato di Roma > Stato civile italiano > Roma > 1871
Maria Teresa Azzali nacque a San Martino dell’Argine (MN) il 9 gennaio 1902.
Appena maggiorenne si trasferì a Milano per dedicarsi alla lotta antifascista, dando un contributo decisivo ai Gruppi di Difesa della Donna – associazioni pluripartitiche, simbolo dell’apporto delle donne alla lotta contro il regime –, soprattutto tra i ceti medi e all’interno delle fabbriche.
Al suo operato si deve la prima diffusione clandestina della rivista Noi Donne, nel 1944, grazie anche alla solidale collaborazione con Giovanna Molteni.
Una volta conclusa la guerra, l’impegno di Azzali proseguì come segretaria dell’UDI (Unione Donne Italiane) di Mantova e poi nel sindacato, come esponente della Commissione femminile della Camera del Lavoro di Milano. In queste vesti, si batté lungamente per rivendicare migliori condizioni di lavoro per le donne, asili nido, stanze predisposte all’allattamento e parità salariale.
Morì nel 1978 a Milano.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Mantova > Stato civile italiano (registri del Tribunale di Mantova) > San Martino dall’Argine > 1902
Archivio di Stato di Mantova > Stato civile italiano (registri del Tribunale di Mantova) > San Martino dall’Argine > 1902
Armando Lodolini nacque a Roma il 26 marzo 1888, da Alessandro, proprietario di una drogheria, e Laura Diamantini.
Dopo aver conseguito la maturità classica, si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza, vincendo in contemporanea un concorso nell’amministrazione degli Archivi di Stato.
Cominciò la sua carriera prendendo servizio a Modena (1909-11), conseguendo in quegli anni anche il diploma presso la Scuola di Paleografia dell’Archivio di Stato di Parma.
In seguito, fu trasferito presso l’Archivio di Stato di Roma dove lavorò fino allo scoppio della Prima guerra mondiale, cui partecipò venendo più volte decorato per meriti militari.
Terminato il conflitto bellico e ripreso il lavoro, gli anni successivi furono segnati da un intenso coinvolgimento tanto nella produzione scientifica e divulgativa – ampia ed estremamente variegata – quanto nell’attività politica, che sin da giovanissimo lo aveva visto attivamente coinvolto, attraverso il sindacalismo rivoluzionario prima, l’avvicinamento al partito mazziniano poi, fino a giungere all’adesione al fascismo.
Presso l’Archivio di Stato di Roma fu il più stretto collaboratore del direttore Eugenio Casanova e non è un caso che al nome di Lodolini si leghino molte attività di riordino e inventariazione di fondi archivistici di rilievo.
Nel biennio 1933-35, succedette a Casanova alla reggenza dell’Archivio di Stato, tuttavia presto fu traferito a Bologna, dove venne licenziato a causa di segnalazioni di abuso da parte di alcuni impiegati. Venne reintegrato solo molti anni più tardi, nel 1948, con effetto retroattivo e, due anni dopo, divenne direttore dell’Archivio di Stato di Roma e degli istituti connessi, cioè l’ex Archivio del Regno e la Scuola di Archivistica, Paleografia e Diplomatica.
Nel 1953 fu il primo sopraintendente del neonato Archivio Centrale dello Stato, mentre nel 1956 lasciò la direzione dell’Archivio di Stato di Roma, venendo “collocato a riposo”.
Dal suo matrimonio con Ada Francioni, nacque il figlio Elio (1922-2023), anch’egli famoso archivista.
Durante l’ultimo decennio della sua vita, continuò a essere attivo come archivista, giornalista, docente e autore di numerose pubblicazioni in ambito storico, letterario, giuridico e, ovviamente, archivistico. La sua particolare laboriosità e l’intenso eclettismo lo resero uno dei nomi ancora oggi più noti dell’archivistica italiana del Novecento.
Morì a Roma il 2 agosto 1966.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Roma > Stato civile italiano > Roma > 1888
Per approfondimenti sulla figura di Armando Lodolini, vedi la voce del Dizionario Biografico degli Italiani a cura di Anna Lia Bonella.
Archivio di Stato di Roma > Stato civile italiano > Roma > 1888
Anna Magnani nacque a Roma il 7 marzo 1908.
Figlia di Marina Magnani, sarta, e di padre ignoto.
Crebbe assieme ai nonni e alle zie in una casa tra il Campidoglio e il Palatino, vivendo un’infanzia serena, nonostante la distanza dalla madre che la lasciò alle loro cure per recarsi ad Alessandria d’Egitto assieme al nuovo marito.
Si appassionò al pianoforte, frequentando per un periodo l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dove studiò da concertista. L’incontro con la recitazione, invece, fu del tutto casuale: iniziò la scuola di arte drammatica “Eleonora Duse”, diretta da Silvio d’Amico, nel 1924 e, presto, fu notata e ingaggiata nella compagnia di Dario Niccodemi.
Tra il 1926 e il 1932, dopo un periodo di gavetta, parti secondarie e lunghissime tournée, la fama e l’importanza dei suoi ruoli sul palcoscenico cominciarono ad accrescere di pari passo. A seguito di questo periodo, prese a dedicarsi al teatro d’avanspettacolo, più popolare e spontaneo, determinante per la sua crescita e il suo eclettismo artistico.
A questi anni risale anche la relazione con Goffredo Alessandrini, regista, che sposò nell’ottobre 1935.
Nel mentre, il cinema sonoro le aprì le porte, ma fu solo nel 1941 che ottenne il primo grande successo, come protagonista di Teresa Venerdì sotto la regia di Vittorio De Sica. A questo, qualche anno più tardi, seguì la vittoria del suo primo Nastro d’argento in Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini, con cui strinse un intenso sodalizio artistico e privato.
L’apice della fama mondiale giunse nel 1956, quando fu la prima donna italiana in qualità di attrice protagonista a vincere un premio Oscar, per la sua interpretazione nel film La rosa tatuata (1955) di Daniel Mann.
Numerose altre furono le pellicole a cui prese parte, tra queste vale la pena ricordare Bellissima (1951) di Luchino Visconti, Saggio è il vento (1957) di George Cukor, Mamma Roma (1962) di Pierpaolo Pasolini e Roma (1972) di Federico Fellini.
Nannarella fu un’attrice dotata di un’umanità e una spontaneità fuori dal comune: con quella sua mimica e i particolari tratti somatici e verbali fu capace di incarnare al contempo la più profonda disperazione e le più leggere speranze del periodo postbellico, che il cinema neorealista intendeva raccontare, divenendone così un emblema.
Morì a Roma, cinquant’anni fa, il 26 settembre 1973.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Roma > Stato civile italiano > Roma > 1908
Da notare che l’atto presenta la dichiarazione di nascita fatta dalla sola madre, a seguito della sua «unione naturale con un uomo non ammogliato, non parente né affine con lei nei gradi che ostano al riconoscimento». Non a caso, il luogo di nascita indicato è l’asilo materno posto in via Salaria 126, un luogo in cui le gestanti in difficoltà o le ragazze madri erano tutelate e sostenute nel dare alla luce i propri figli.
A lato, invece, la nota di cancelleria che riporta la celebrazione del matrimonio con Goffredo Alessandrini a Roma il 3 ottobre del 1935.
Per approfondimenti sulla figura di Anna Magnani, vedi la voce del Dizionario Biografico degli Italiani a cura di Giorgio Pangaro.
Archivio di Stato di Roma > Stato civile italiano > Roma > 1908
Mi chiamo Alberto Del Fra, vivo a Roma, ho il desiderio di lasciare ai miei figli e ai miei nipoti memoria dei nostri antenati, coloro che ci hanno trasmesso ciò che fa di noi ciò che siamo oggi.
Un anno fa ho avuto notizia da un mio amico dell’esistenza del Portale Antenati e da quel momento mi sono buttato a capofitto in un’avventura che giudico entusiasmante.
Il Portale mi ha fatto entrare in un mondo lontano, del quale avevo conoscenza solo dai libri di storia.
Com’è noto, la storia si avvale di documenti, attraverso i quali si ricostruiscono gli avvenimenti. Così è stato per me spulciando le iscrizioni di nascite, morti e matrimoni dei miei avi. Documenti in apparenza freddi e burocratici, che in realtà mi hanno fatto scoprire storie di caduta e di riscatto, liete e drammatiche dei miei avi, insieme al contesto generale nel quale essi sono vissuti.
Il paese d’origine dei Del Fra, per quanto ne sapevo, era Vasto (un paese del Chietino) in Abruzzo, quello della famiglia De Mauro di mia madre era Manfredonia in Puglia. Dalla conoscenza dei nomi dei miei nonni paterni, ho cominciato a cercare notizie negli archivi anagrafici di Vasto, ciò mi ha aperto un mondo. Ho trovato i miei bisnonni e poi i trisavoli, i quadrisavoli, i pentavoli, alcuni esavoli.
Credo di aver spulciato migliaia di documenti e al di là delle notizie trovate sui miei avi, mi si è presentato un quadro generale dei centri rurali del meridione, coerente con quanto narrato dai libri di storia.
I nostri avi maschi erano in gran parte braccianti, chiamati bracciali e contadini analfabeti, come si evince dalla dichiarazione dell’ufficiale anagrafico in calce a quasi tutti i documenti.
Dichiarazione di analfabetismo
C’erano anche alcuni artigiani (calzolai, barbieri, sarti etc.), anch’essi spesso analfabeti, e pochissime persone abbienti, che avevano diritto al titolo di don nei documenti anagrafici.
Le ave erano invece casalinghe, tessitrici, cucitrici, anche contadine. Le mogli dei don avevano diritto al titolo di donna.
Nei matrimoni erano necessari i consensi dei padri degli sposi o, in caso di morte degli stessi, dei nonni paterni. Solo se morti anch’essi, il consenso veniva dato dalle madri. Un chiaro indizio di sistema patriarcale.
Impressionante la mortalità infantile: i registri dei morti sono colmi di nomi di bambini di pochi anni e talvolta di pochi giorni. Questo portava a un fenomeno curioso: la ripetizione dei nomi. Per esempio nasceva un bambino di nome Francesco che moriva presto. Il successivo nato veniva chiamato di nuovo Francesco. In vari casi ho trovato ben tre fratelli con lo stesso nome. Tra l’altro ho scoperto una cosa che probabilmente nemmeno mio padre sapeva: era il secondo Ettore della famiglia.
Evidentemente le scarse condizioni igienico/sanitarie e la mancanza di farmaci efficaci facilitavano la mortalità infantile.
Ovviamente anche l’indice di natalità era altissimo. Non era raro arrivare a un numero di figli in doppia cifra, fenomeno presente anche tra i miei avi.
Piuttosto rimarchevole era il fenomeno dei trovatelli, indicati come proietti. Chi li presentava all’ufficiale anagrafico era spesso la levatrice del paese.
C’era anche qualche ragazza che presentava un proprio figlio naturale, scegliendo coraggiosamente di allevare un figlio in una società che l’avrebbe tenuta al margine.
Un caso di questo genere capitò anche tra i miei antenati e merita un racconto. Una certa Carolina Di Guglielmo, cucitrice, ha una figlia naturale che chiama Maria alla quale insegna il suo mestiere. Probabilmente Maria non poteva essere considerata un buon partito. Un mio bisnonno Giovan Battista Del Fra, calzolaio, mestiere ereditato dal nonno paterno, lascia il suo luogo di nascita Tufo (un paese dell’Aquilano), il vero luogo d’origine dei Del Fra, per trasferirsi a Vasto. Compie un trasferimento inusuale per quei tempi, data la distanza ragguardevole tra le due località. Pure lui ha un marchio disonorevole: è figlio di un contrabbandiere ucciso dalle guardie doganali.
L’unione di queste due persone sfortunate porta a una famiglia che vive dignitosamente. Evidentemente Maria è una brava cucitrice e Giovanbattista un valente calzolaio, come si desume dalla firma in calce all’atto del matrimonio non era analfabeta, visto che danno una buona condizione ai figli maschi, in particolare a mio nonno Pasquale.
Pasquale infatti mette su una caffetteria e riesce a far diplomare tutti i figli maschi e a laurearne uno. Naturalmente le figlie femmine non sono messe nelle stesse condizioni. Queste ultime notizie provengono da una conoscenza diretta dei miei zii.
In definitiva quella dei Del Fra è una storia di riscatto a lieto fine.
Per quanto riguarda le vicende dei De Mauro la famiglia di mia madre. Già nella prima metà del ‘700 sono padroni di mulini a Manfredonia. Si capisce che la loro fortuna va crescendo col tempo. Evidentemente, pur non essendo don, erano considerati dei buoni partiti, si uniscono con varie famiglie di don, quella dei Rizzi di Manfredonia e quelle dei Garamone e dei Rosati, provenienti da altri paesi della Puglia.
Un personaggio che merita una menzione particolare è Pietro Rizzi (1814-1897), farmacista di Manfredonia, mio trisavolo, personaggio di cui spesso mi parlava mia madre. Egli per un periodo doveva darsi alla latitanza poiché giudicato sovversivo dal regime borbonico. Questo però non gli impedirà di tornare spesso di nascosto a casa, mettendo regolarmente incinta sua moglie, sposata pochi mesi prima dalla nascita del primogenito.
Pietro Rizzi
Pietro Rizzi fu assolto in tribunale. Pare che una testimonianza a carico di Pietro sia quella del curato del paese, che racconta di discorsi sovversivi fatti dal trisavolo nella sua farmacia. L’avvocato dice all’usciere di far entrare il parroco. L’usciere torna dicendo che il prete alla sua chiamata non ha risposto. E allora è gioco facile per l’avvocato: Signor giudice, come può il parroco affermare di aver udito discorsi sovversivi se è sordo?
Poi, però, come testimoniano i documenti anagrafici, avviene la diaspora dei De Mauro da Manfredonia. Ci sono degli atti di nascita e di morte che li riguardano in altri paesi della Puglia, ma non sarebbero stati sufficienti a farmi avere un quadro comprensibile, se non avessi conosciuto direttamente da mia madre i fatti essenziali. Il mio bisnonno Francesco Paolo De Mauro avalla per un amico una cambiale di importo notevolissimo. L’amico non la onora e il bisnonno deve vendere tutto, compreso il palazzo in cui abita, trasferendosi a Cerignola. Il figlio Leonida, elettrotecnico, per trovare lavoro emigra a Milano con i figli tra cui mia madre.
Francesco Paolo De Mauro
Seguono purtroppo sciagure di tutti i tipi. Muoiono in rapida successione Leonida (di spagnola), mentre la moglie Nunzia e tutti i fratelli e le sorelle di mia madre, moriranno a causa di varie malattie. Mia madre a Milano incontra mio padre, trasferitosi là da Vasto come bancario. Pensate che io non ho mai conosciuto un parente di mia madre.
Alla fine ho individuato 59 cognomi diversi dei miei avi.
A proposito di cognomi, va osservato che talvolta cambiano col passare del tempo. Per esempio all’inizio trovo il cognome Del Frà e non Del Fra, in genere nella prima metà del secolo XIX i Di o i Del all’inizio dei cognomi sono scritti con la minuscola, poi l’uso cambia. Analogamente di Mauro è diventato De Mauro, di Guglielmo si è mutato in De Guglielmo. Sovente cambiano le finali dei cognomi: per esempio Annecchino che muta in Annecchini.
Lo stesso succede per i nomi: una Rosanna all’atto di nascita diventa Rosaria al matrimonio e alla morte. Il Giovan Battista già ricordato, al matrimonio è Giovanni, alla morte Giovanni Battista.
Forse perché le nascite e le morti venivano trascritte avvalendosi solo di testimonianze orali di persone spesso analfabete che parlavano in dialetto, con conseguente possibilità di equivoci con l’ufficiale anagrafico.
Poiché la mia ricerca mi ha portato a consultare una miriade di registri anagrafici di vari paesi dell’Abruzzo e della Puglia, ho potuto osservare come in ogni località si ripetano sempre gli stessi cognomi, differenti però da paese a paese. Un fatto che testimonia come quelle comunità fossero piuttosto chiuse, con rari spostamenti o comunque limitati a località vicine. Il nostro Francesco Del Fra, con il trasferimento da Tufo a Vasto, è l’eccezione che conferma la regola.
Questa mancanza quasi totale di mobilità mi ha senz’altro facilitato il compito: quasi tutti i miei antenati sono nati, si sono sposati e sono morti nello stesso posto. In tal caso è bastato quindi scorrere i registri di una sola località per ricostruire la loro storia.
Dall’inizio del ‘900 in poi una tale ricerca sarebbe molto più complicata: per esempio mio padre e i suoi fratelli si sono tutti allontanati dal luogo di origine, andando ad abitare in grandi centri. Termino con l’auspicio che il progetto del Portale continui ad essere alimentato con la pubblicazione di nuovi registri e con un ringraziamento di cuore a tutti coloro che vi collaborano.