Tito Giuseppe Zopito Acerbo nacque a Loreto Aprutino (PE) il 4 marzo 1890, da Olinto e Marianna De Pasquale.
Ricevuta una prima istruzione al seminario arcivescovile di Chieti e al regio liceo di Fermo, si laureò a Firenze per poi arruolarsi come volontario nell’esercito, allo scoppio della Prima guerra mondiale.
Per le abilità in campo e il profondo senso del dovere, fu promosso Capitano, venendo decorato con due medaglie d’argento al valor militare. Ma a valergli la medaglia d’oro alla memoria furono il suo carisma e il senso di sacrificio, nella notte del 15 giugno 1918, quando, benché ferito, fu una delle figure chiave per bloccare il tentativo di penetrazione del nemico austro-ungarico sul Piave.
Morì sul campo il mattino successivo, il 16 giugno 1918.
Suo fratello Giacomo Vincenzo Aurelio nacque a Loreto Aprutino (PE) il 25 luglio 1888.
Anch’egli compì gli studi classici tra Chieti e Fermo, mentre conseguì la laurea in Scienze agrarie a Pisa, nel 1912.
Fu attivo nella vita comunale del suo paese fino all’arruolamento alle armi come volontario, distinguendosi in numerose battaglie per le quali venne più volte decorato. Alla morte di Tito, fu congedato.
Da lì si dedicò alla carriera universitaria e politica. Dapprima avvicinandosi ai socialisti e poi favorendo la nascita del Fascio provinciale di combattimento nella provincia di Teramo, ottenendo cariche di coordinamento sempre più rilevanti.
Nel 1921, fu eletto deputato in Parlamento e nel 1923 legò il suo nome alla nota “legge Acerbo”, che mirava a riformare il sistema elettorale secondo un principio maggioritario.
Durante la sua carriera politica fu Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri (1922-24), Vicepresidente alla Camera dei Deputati (1929), Ministro dell’agricoltura e delle foreste (1929-1935), Ministro delle Finanze (1943).
Nel 1942, votò per l’esautorazione dei poteri di Mussolini, definendosi “umile servo del re” Vittorio Emanuele III. Tuttavia, alla firma dell’armistizio, l’8 settembre 1944, fu condannato a morte in contumacia, ma riuscì a scappare, rifugiandosi nella casa natale di Loreto Aprutino.
Dopo mesi di fuga, fu arrestato e condannato a 48 anni di prigione.
Scontò un breve periodo nel carcere dell’isola di Procida, dove insegnò matematica ai detenuti. Poiché, annullata la sentenza, venne liberato, riammesso al voto e riabilitato alla docenza universitaria, a cui si dedicò negli ultimi anni della sua vita, occupandosi di numerosi scritti di economia e politica agraria.
Giacomo Acerbo morì a Roma il 9 gennaio 1969.
La storia dei due fratelli è strettamente legata alla celebre “Coppa Acerbo”, che Giacomo nel 1924 volle inaugurare e intitolate alla memoria di Tito, prematuramente morto in guerra. Si trattava di una delle corse d’auto di maggiore rilevanza dell’epoca, un circuito di grande difficoltà tra le colline pescaresi a cui prendevano parte i nomi più celebri delle case automobilistiche. L’ultima edizione si tenne nel 1961.
Puoi consultare gli atti di nascita sul Portale Antenati.
Per Tito Acerbo: Archivio di Stato di Pescara, Stato civile italiano, Loreto Aprutino, 1890
Per Giacomo Acerbo: Archivio di Stato di Pescara, Stato civile italiano, Loreto Aprutino, 1888
Per approfondimenti sulla figura di Giacomo Acerbo, vedi la voce del Dizionario Biografico degli Italiani a cura di Antonio Parisella.
Anna Maria Ortese nacque a Roma il 13 giugno 1914, da Oreste, funzionario pubblico di origini siciliane, e Beatrice Vaccà, proveniente da un’antica e benestante famiglia di scultori napoletani.
Durante la Prima guerra mondiale, la famiglia si trasferì da Roma verso il sud: dapprima in Puglia, poi in Campania, in Basilicata e, infine, a Tripoli, dove Anna Maria terminò le scuole elementari. Ebbe, infatti, una formazione prevalentemente autodidatta: più che l’istruzione scolastica, furono la sua mente profondamente immaginifica e la tendenza all’introspezione a fornirle un’innata propensione per la parola scritta.
Successivamente, dopo questo periodo di forte instabilità geografica, a partire dal 1928, Ortese si stabilì assieme alla famiglia a Napoli, la città che più di tutte ne influenzò la poetica.
Nel 1933, la perdita dell’amato fratello Emanuele, la ispirò nella scrittura di alcune poesie, che furono pubblicate per la prima volta sulla rivista L’Italia letteraria. Quell’evento costituì uno spartiacque, dando inizio alla sua attività di scrittrice: nel 1934, infatti, pubblicò il suo primo racconto, Pellirossa, e, nel 1937, per Bompiani uscì la sua prima raccolta di novelle.
In quello stesso anno, fu assassinato in circostanze poco chiare il suo gemello, Antonio. Questo indusse in lei una profonda malinconia e irrequietezza, che si tradussero in trasferimenti continui nel nord Italia, dove si sostentò dapprima come correttrice di bozze e poi come collaboratrice per i più importanti quotidiani nazionali.
A seguito di questo lungo peregrinare, nel 1945, fece ritorno a Napoli, dove riprese a scrivere e pubblicare. Tra i titoli più celebri di questo periodo, si ricorda la raccolta di novelle intitolata Il mare non bagna Napoli, forse la più emblematica delle sue opere, vincitrice del Premio Viareggio (1953). Qualche anno più tardi, stabilitasi a Milano, scrisse L’iguana (1965) e Poveri e semplici, romanzo, quest’ultimo, che le valse la vittoria del Premio Strega (1967).
La produzione scrittoria di questi ultimi anni l’aiutò a ristabilire il giudizio favorevole della critica, che in passato l’aveva sottoposta a un silente ostracismo per via della sua malcelata disistima verso il mondo culturale e intellettuale dell’epoca. Nonostante ciò, Ortese continuò a condurre la sua vita ritirata e modesta, anche quando, nel 1975, si stabilì a Rapallo (GE) assieme alla sorella Maria.
Lì, le condizioni economiche tutt’altro che rosee, la indussero ad acconsentire alla ristampa di alcune sue opere, che le restituirono un rinnovato successo, anche oltre i confini nazionali.
Anna Maria Ortese morì a Rapallo nella notte del 9 marzo 1998.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Roma, Stato civile italiano, Roma, 1914
Per approfondimenti sulla figura di Anna Maria Ortese, vedi la voce del Dizionario Biografico degli Italiani a cura di Monica Farnetti.
Giacomo Matteotti nacque a Fratta Polesine (RO) il 22 maggio 1885.
Figlio di Girolamo ed Elisabetta Garzarolo, commercianti di ferro e rame nella provincia di Rovigo che riuscirono a fare fortuna, divenendo ricchi proprietari terrieri.
Sin da giovane, Giacomo e i suoi fratelli – Matteo e Silvio, prematuramente scomparsi – si iscrissero al Partito Socialista Italiano contribuendo attivamente alla politica locale. Ancora ragazzo, infatti, Giacomo firmò i suoi primi articoli per la rivista La lotta, che lo designò come punto di riferimento politico della zona. Fu durante quel periodo che iniziò a delinearsi la sua visione di giustizia sociale e impegno civile, sempre accompagnata da un’idea antimilitarista, contraria all’intervento dell’Italia nei conflitti bellici.
Dopo il ginnasio, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza di Bologna, laureandosi con il massimo dei voti nel 1907.
Negli anni successivi, si dedicò all’attività politica: venne eletto sindaco nel suo paese di origine e anche in quelli limitrofi, per poi divenire consigliere provinciale.
Nel 1919, fu eletto deputato in Parlamento, dove si distinse per la sua tempra intransigente e battagliera. A quegli anni, risale anche l’inizio della sua lotta contro il movimento fascista, di cui denunciava i soprusi e le irregolarità.
Dopo l’espulsione dal PSI, nel 1922, insieme a Filippo Turati e altri fondò il Partito Socialista Unitario, che alle elezioni del 1924 divenne il secondo partito di opposizione.
Il 30 maggio 1924, Matteotti prese la parola alla Camera dei Deputati denunciando pubblicamente l’invalidità delle elezioni svolte il mese precedente, contestando le violenze, le illegalità e gli abusi commessi dai fascisti, che erano riusciti a vincere le elezioni. La sua richiesta di invalidare la votazione non fu accolta e Matteotti fu riconosciuto dalla stampa come il principale oppositore del fascismo. Quel celebre discorso è storicamente ricordato come un inno alla democrazia, che segnò la sua condanna a morte.
Nel pomeriggio del 10 giugno 1924, infatti, fu rapito a Roma da un gruppo di fascisti appostato a poche centinaia di metri dalla sua abitazione, mentre si dirigeva a piedi verso Montecitorio. Morì, per accoltellamento, poche ore dopo.
Per via della presenza di testimoni e della pessima gestione di quello che passerà alla storia come il “caso Matteotti”, in pochi giorni la stampa rese noti i retroscena assieme ai nomi dei principali esecutori.
Il suo corpo verrà ritrovato il 16 agosto di quello stesso anno nella macchia della Quartarella, a Riano, un comune a qualche chilometro di distanza da Roma.
Puoi consultare l’atto di morte sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Roma, Stato civile italiano (registri dei comuni), Riano, 1924
L’atto fu redatto (nella parte II, serie C) del registro del comune di Riano, dove venne rinvenuto il cadavere. Da notare che, di seguito, è presente un allegato, riportante una Sentenza di rettificazione, datata al 12 ottobre 1925 in cui si corregge la data di nascita dell’on. Matteotti, che nell’atto di morte era stata riportata in maniera parzialmente errata.
Per approfondimenti sulla figura di Giacomo Matteotti, vedi la voce del Dizionario Biografico degli Italiani a cura di Mauro Canali.
Francesco Buonanno nacque a Solofra (AV) il 19 settembre 1858, da Michele e Carolina Savignano, in una famiglia benestante di commercianti dediti alla lavorazione conciaria da antica tradizione.
Alla morte del padre, furono i figli a ereditare l’opificio di famiglia, ma fu proprio Francesco, qualche anno più tardi, che ne assunse le redini trasformandolo in una vera e propria fabbrica alle cui dipendenze erano assunti oltre 200 operai.
Grazie a risparmi e investimenti oculati, riuscì nel tempo a incrementarne in maniera significativa la produzione. Non solo: dotato di grande acume imprenditoriale, intuì presto l’importanza di affinare e modernizzare le tecniche di lavorazione, che divennero via via più efficaci e redditizie. Il conseguente perfezionamento della qualità della merce prodotta portò a riconoscimenti nazionali e internazionali, tanto da ricevere inviti a mostre ed esposizioni di tutto il mondo (Torino, Palermo, St. Louis negli USA, etc.).
Di fianco all’attività imprenditoriale, Buonanno si dedicò anche alla vita politica locale, distinguendosi per il suo impegno civico e per la difesa degli interessi della comunità. Fu eletto sindaco di Solofra dal 1899 al 1902 e poi di nuovo dal 1911 al 1912, promuovendo importanti iniziative volte a migliorare le infrastrutture locali e a sostenere l’industria conciaria, pilastro economico della zona.
La produzione della ditta Buonanno, si specializzò nella conciatura a cromo – una tecnica all’epoca altamente innovativa, usata in Italia ancora in pochissimi stabilimenti – che, però, mal si prestava alla produzione di suole a tomaie, ampiamente richieste durante la Prima guerra mondiale. Nonostante ciò, Francesco seppe adattarsi e reinventarsi, riuscendo a meccanizzare – grazie a una macchina a vapore – almeno in parte la propria produzione, divenendo in questo modo la prima fabbrica del meridione nella fornitura di equipaggiamenti bellici.
Terminata la guerra, la ditta riuscì a mantenere la propria posizione egemone nel campo dell’industria conciaria ancora per tutti gli anni ’30. Negli ultimi anni di vita, Francesco Buonanno fu affiancato dai suoi nipoti, che ereditarono l’azienda.
Morì a Solofra il 26 maggio 1940.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Avellino, Stato civile della restaurazione, Solofra, 1858
Sin da piccola manifestò una particolare predisposizione per l’espressione artistica in senso ampio: la poesia, il disegno, la pittura e la creazione in generale. Appena ventenne, cominciò a frequentare lo studio di Giacomo Balla, dove spiccò per talento e personalità. Lì, nel 1918, conobbe anche Filippo Tommaso Marinetti, di cui presto divenne compagna e moglie.
Quello tra i due fu un sodalizio longevo, artistico e professionale, oltreché affettivo.
Più volte e in più occasioni Marinetti manifestò profonda stima nei confronti di Cappa, sottolineandone l’assoluta genialità. I due, nel 1920, realizzarono la loro prima “tavola tattile”, che venne presentata a Parigi assieme al manifesto del Tattilismo, nel gennaio del 1921.
Negli anni ’20 e ’30, Benedetta Cappa produsse alcune delle sue opere più significative. Con una pittura caratterizzata dall’uso audace del colore e dalla rappresentazione dinamica del movimento, elementi chiave del Futurismo. Tra le sue opere più celebri si annoverano “Velocità di motociclista” (1922) e “Compenetrazione iridescente n. 2” (1924). Partecipò anche a numerose mostre ed esposizioni, portando le sue creazioni (dipinti, bozzetti, studi e scenografie) in giro per il mondo.
Tra gli aspetti più innovativi del suo lavoro, vi fu anche la partecipazione a numerosi progetti di decorazione murale in edifici pubblici e privati, portando avanti l’idea futurista di integrazione tra arte e vita quotidiana. Le sue opere murali, spesso di grandi dimensioni, erano caratterizzate da composizioni dinamiche e colori vibranti, con un forte senso di movimento e modernità.
Negli anni ’40, Cappa continuò a lavorare ed esporre le proprie opere, nonostante il movimento futurista avesse ormai perso parte del suo slancio iniziale. Dopo la morte di Marinetti, nel 1944, seguitò a difendere l’eredità di quel movimento artistico, credendo fermamente in un’arte che fosse al servizio del progresso collettivo e della modernità.
Morì a Venezia il 15 maggio 1977.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Roma, Stato civile italiano, Roma, 1897
Per approfondimenti sulla figura di Benedetta Cappa, vedi la voce del Dizionario Biografico degli Italiani a cura di Luce Marinetti Barbi.
Margherita Kaiser Parodi nacque a Roma il 16 maggio 1897, da Giuseppe e Maria Orlando.
Il padre era un livornese di origine tedesca, mentre la madre era figlia del noto imprenditore e ingegnere Luigi Orlando.
Allo scoppio della guerra, nel 1915, appena diciottenne, Margherita volle arruolarsi come volontaria assieme alla madre e alla sorella Olga. Fu assegnata all’ospedale della Croce Rossa Italiana di Cividale del Friuli per poi essere trasferita presso l’ospedale mobile di Pieris, nel goriziano.
Lì, nel maggio 1917, la struttura presso cui si trovava subì un duro bombardato, ma lei rimase al suo posto, continuando a prestare assistenza con uno spirito di sacrificio e abnegazione che le valsero la medaglia di bronzo al valor militare.
Di lei rimangono alcune lettere dalle quali traspare la ferma convinzione della propria scelta e la totale dedizione alla causa. Restò, infatti, in servizio anche al termine della guerra, per far fronte all’epidemia di Spagnola che tra il 1918 e il 1920 colpì l’Europa, provocando milioni di morti.
Ne rimase contagiata anche lei, morendone a Trieste il 1 dicembre 1918.
Fu dapprima sepolta al cimitero di Colle di Sant’Elia, per poi essere spostata al Sacrario militare di Redipuglia, dove le venne riservato un posto d’onore: è l’unica donna, infatti, tra i tanti militari caduti, le cui spoglie vennero accolte lì.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Roma, Stato civile italiano, Roma, 1897
Da notare la nota di cancelleria a margine dell’atto, che riporta il decreto luogotenenziale dell’8 novembre 1917 che autorizza Margherita Kaiser ad aggiungere al proprio cognome quello di Parodi, in tutti gli atti e circostanze.
Guglielmo Giovanni Maria Marconi nacque a Bologna il 25 aprile 1874, da Giuseppe, ricco proprietario terriero, e Annie Jameson, irlandese, nipote del fondatore della nota distilleria Jameson&Son.
Trascorse l’infanzia nella villa di famiglia nei pressi di Sasso Marconi (BO), dove ricevette un’istruzione prevalentemente privata, saltuaria e d’impostazione fortemente sperimentale. Questo, assieme alla frequentazione dello scienziato Augusto Righi, segnò indelebilmente il suo percorso. Ancora giovanissimo, infatti, cominciò a dedicarsi da autodidatta agli esperimenti di trasmissione dei segnali a distanza, fino a quando, tra l’estate e l’autunno del 1895, l’apparecchio a cui stava lavorando riuscì a trasmettere e ricevere segnali per oltre un miglio, anche in presenza di ostacoli naturali.
La sensazionalità e l’utilità delle sue invenzioni resero necessario il suo trasferimento nel Regno Unito, al fine di ottenere più agevolmente i finanziamenti per il perfezionamento dei suoi lavori. Si trasferì a Londra e lì, il 2 luglio 1897, ottenne il brevetto per un sistema di telegrafia senza fili. In quello stesso periodo, inaugurò anche la prima azienda di sua proprietà, la Wireless Telegraph and Signal Company.
Di pari passo alla crescita della sua fama, anche le sue invenzioni si affinarono sempre di più, sino a consentire trasmissioni di segnali oltreoceano. Queste sperimentazioni vennero definitivamente messe a punto nel 1907, tanto che nell’ottobre di quello stesso anno la sua azienda, ribattezzata Marconi Company, inaugurò il primo servizio pubblico di radiotelegrafia attraverso l’oceano Atlantico, permettendo alle navi di lanciare l’SOS senza fili.
L’utilità del radio soccorso in mare si rese palese il 23 gennaio 1909, quando grazie all’efficienza di questo apparecchio si riuscirono a salvare gli oltre 1700 passeggeri del transatlantico Republic, che stava per affondare a causa di uno speronamento.
Questo evento di risonanza mondiale fu decisivo anche per l’assegnazione del premio Nobel per la fisica di quello stesso anno, che Marconi condivise con il fisico tedesco Carl Ferdinand Braun.
Gli anni successivi continuarono fitti di sperimentazioni e progressi, soprattutto a partire dal 1919 quando acquistò il panfilo “Elettra”, che allestì a stazione per le sue ricerche, dando vita ad alcuni dei più celebri esperimenti di trasmissione di segnali tra un continente e l’altro.
Negli anni a seguire, Marconi fu insignito di diverse cariche istituzionali: nel 1927, fu nominato presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche e, nel 1930, della Regia Accademia d’Italia, diventando automaticamente membro del Gran consiglio del fascismo.
Inoltre, quando il 12 febbraio 1931 fu inaugurata la stazione della Radio Vaticana, il cui saluto di apertura venne tenuto dallo stesso Marconi e dall’allora pontefice Pio XI, questo servizio gli valse la nomina di Accademico pontificio e il conferimento della Gran croce dell’Ordine di Pio IX.
A seguito di una grave crisi cardiaca, Guglielmo Marconi morì a Roma il 20 luglio 1937.
La rilevanza nazionale della sua figura e la considerazione del suo ingegno furono manifestati con la celebrazione dei funerali di Stato, cui parteciparono eminenti personalità del tempo, tra cui lo stesso Benito Mussolini, assieme a una folla di oltre 500 mila persone. Il suo volto venne anche inciso anche nelle banconote da 2000 lire emesse tra il 1990 e il 1992.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Bologna > Stato civile italiano > Bologna > Registro 287
A margine, presente la nota di cancelleria che segna l’avvenuto matrimonio con la prima moglie, l’irlandese Beatrice O’Brien, che venne celebrato a Londra il 16 maggio 1905 e dalla quale Marconi divorziò nel 1924. Poco sotto, è segnato l’atto di matrimonio con la seconda moglie, Maria Cristina Bezzi-Scali, avvenuto a Roma il 12 giugno 1927.
Per approfondimenti sulla figura di Guglielmo Marconi, vedi la voce del Dizionario Biografico degli Italiani a cura di Maria Grazia Ianniello.
Mi chiamo Angelo Gallardi, vivo in Argentina e come molti altri discendenti di immigrati, il mio interesse per la genealogia si è risvegliato raccogliendo i documenti per la cittadinanza italiana, poco più di 4 anni fa. L’interesse non si è fermato a quei documenti e partendo da un piccolo e limitato albero che ho fatto da bambino come compito per la scuola, ho aggiunto lentamente innumerevoli nomi e ho scoperto molte persone e eventi che li circondavano, di cui sono sicuro che né i miei nonni e forse neanche i miei bisnonni, conoscevano. Nel corso del tempo, ho scoperto a casa di mia nonna una scatola piena di fotografie antiche con alcune persone che conoscevo e altre no. A poco a poco, e grazie alle annotazioni sul retro di alcune fotografie, ho associato volti a persone che avevo già nel mio albero.
Questa storia è legata alla mia trisnonna, Maria Gaja (o Gaia, come compare in alcuni documenti, anche se Gaja è come è stata annotata nel suo atto di nascita ed è quello che considero valido), e in particolare a una fotografia nella scatola.
Maria Gaja (o Carolina Gallardi, come la chiamavano per il suo cognome da sposata) nacque il 3 ottobre 1868 ad Alpignano, e ho scoperto che suo padre, Carlo Gaja, morì appena 3 giorni dopo, alla giovane età di 30 anni. Nell’atto di nascita di Maria si può leggere in riferimento a Carlo e non stato presentato da quest’ultimo il detto bambino attesa la grave di lui malattia. In questo modo, Marietta Spinoglio, moglie di Carlo e madre per la prima volta, rimase vedova all’età di 20 anni con una bambina appena nata.
D’altra parte, c’è la foto della scatola, piuttosto rovinata e maltrattata, anche se (per fortuna) con tutti i volti intatti: in essa si trova Maria Gaja, di circa 28 anni, insieme a 6 bambini (alcuni già adolescenti). Conoscevo alcune foto di Maria già anziana, e quindi non è stato difficile riconoscerla da giovane. Ma… chi erano gli altri 6 bambini e perché erano tutti nella stessa foto? Qual era la relazione della mia trisavola con loro? A peggiorare le cose, le annotazioni sul retro, dove erano chiaramente indicati i nomi di ognuno, erano scarsamente leggibili e incomplete dove la carta era strappata. Marietta rimase vedova molto giovane, quindi non potevano essere figli suoi con Carlo. E se si fosse risposata e avesse avuto altri figli? Era la cosa più probabile, ma dovevo verificarlo e non sapevo né dove cercare, né in quali date.
La risposta su chi fossero me l’ha data un’annotazione sul retro dell’unica foto che ho di Marietta, che dice “Maria Spinoglio Rueff / Mamma di Carolina, Bianca, Mercedes, Rina, Edmondo, Dino”. Attualmente vedo chiaramente i nomi, ma in quel momento non capivo del tutto la calligrafia, anche se vedevo chiaramente “Mamma di…” seguito da 6 nomi. Un problema era risolto: erano fratellastri di Maria! Marietta si sposò con un uomo di cognome Rueff e ebbe altri figli. Quest’uomo era Antonio Rueff, del quale c’era anche una foto con il suo nome sul retro.
Ora, c’erano altre domande: Quando e dove si sono sposati Marietta e Antonio? Quando e dove sono nati i loro figli? Beh, è passato molto tempo prima che potessi sapere tutto questo. La risposta alla seconda domanda è stata ciò che ho trovato per primo. Ho cercato senza successo ad Alpignano (dove è nata Maria), Moncalvo (dove sono nati Marietta e Carlo Gaja) e dintorni. Poi ho cercato, parrocchia per parrocchia, tra i numerosi archivi parrocchiali su Family Search relativi a Vercelli, città dove Maria Gaja e Giuseppe Gallardi si sono sposati e dove Marietta risultava vivere nell’atto di matrimonio di entrambi. Ho avuto la fortuna di trovare i nati di 3 dei bambini: Romualdo (1887, qui ho capito che “Dino” era in realtà Romualdo), Edmondo (1888) e Rina (1893). Per quanto abbia cercato, non ho trovato né Bianca né Mercedes.
Il successivo progresso significativo nella ricerca è avvenuto quando, con date approssimative e grazie all’aiuto dell’Ufficio di Stato Civile di Vercelli, ho trovato gli atti di morte di Marietta Spinoglio (1907, a 58 anni) e Antonio Rueff (1911, a 68 anni) in quella città. Nell’atto di Marietta si trovava un dato chiave per avanzare con la ricerca: uno dei dichiaranti era suo figlio Romualdo, che al momento risiedeva a Torino. Pertanto, l’indagine è proseguita a Torino e nei suoi indici di nascita, matrimonio e morte. Lì, ho scoperto che Bianca aveva sposato nel 1905 con Beniamino Giuseppe Panigata. A sua volta, i documenti allegati al matrimonio mi hanno fornito il dato che cercavo: Bianca era nata a Biella nel 1879. Grazie al portale Antenati, ho potuto accedere al suo atto di nascita. Mancava solo Mercedes.
Risulta che tra i nati a Torino c’era un nome che ha attirato la mia attenzione: Teresio Romualdo Mario Beniamino Rueff, nato nel 1907. Risultava essere figlio di Mercedes “dalla sua unione con uomo celibe non parente, nè affine di essa” (il nome del padre non era indicato). Nel registro di nascita di Teresio c’era un’annotazione sul suo matrimonio con Clara Carlotta Toffano nel 1941, a Padova. Infine, tra gli allegati di tale matrimonio, ho scoperto che Mercedes era nata a Intra, Verbania, nel 1884. Nuovamente, grazie ad Antenati, ho potuto vedere questo atto. Finalmente, avevo trovato tutti i bambini.
Ora mancava solo rispondere alla prima domanda: Quando e dove si sono sposati Marietta Spinoglio e Antonio Rueff? Penso che trovare queste informazioni sia stato più difficile che trovare le nascite di tutti i bambini, ma lo riassumerò: dopo aver cercato ad Alpignano, Moncalvo e Vercelli, ho deciso di cercare a Milano, poiché nell’atto di morte di Antonio figurava come suo luogo di nascita (un altro dato chiave). Limitando gli anni tra la morte di Carlo Gaja e la nascita di Bianca Rueff e grazie agli indici di Milano, sono riuscito finalmente a trovare il tanto cercato matrimonio: entrambi si sposarono a Milano alla fine del 1874. Finalmente, la famiglia era completa.
Cosa è successo alla vita di ciascuno dei bambini? Bene, ho continuato a cercare e attualmente so che:
Bianca (il cui secondo nome era Maria) è rimasta vedova nel 1921 alla morte di Beniamino a 51 anni, dopo 16 anni di matrimonio. Nel 1924 si è risposata, questa volta con il Dott. Desiderio De Stefanis. È morta a Bordighera nel 1944, a 64 anni.
Mercedes (il cui secondo nome era anche Maria) si è sposata a Venezia nel 1931 con il “dottore in legge” Giacomo Roncali, e probabilmente ha vissuto lì fino alla sua morte. Giacomo ha adottato Teresio (il figlio di Mercedes) nel 1937. Recentemente sono riuscito a parlare con una nipote di Teresio e Clara (figlia di un fratello di Clara) che vive in Messico, la quale gentilmente mi ha fornito ulteriori dettagli sulle loro vite e sul loro periodo trascorso in quel paese.
Romualdo (nome dato in onore del suo padrino Romualdo Spinoglio, fratello di Marietta, e il cui nome completo nel suo atto di battesimo è Romualdo Carlo Aristide Antonio Rueff) si è sposato con Elvira Prat (non so dove né quando) ed emigrarono in Argentina intorno al 1910. A Buenos Aires sono nati due figli (1912 e 1914). Poi, nel 1920, hanno emigrato e si sono stabiliti in Brasile. Che sia per divorzio o per la morte di Elvira, Romualdo si è risposato con Maria Wobeto nel 1952, e hanno avuto, per quanto ne so, 2 figli. Ho trovato attualmente discendenti dal primo e dal secondo matrimonio, ma sono riuscito a parlare solo con un discendente del secondo. Non ho mai saputo cosa sia successo a Elvira né al suo figlio nato nel 1914. Romualdo è morto in Brasile nel 1961, a 74 anni.
Edmondo (il cui vero primo nome era in realtà Placido, probabilmente in onore di Placida Spinoglio, sua madrina e sorella di Marietta, e il cui nome completo nel suo atto di battesimo è Placido Edmondo Giovanni Rueff) morì all’età di soli 26 anni nel 1915, durante la Prima Guerra Mondiale, e fu decorato nel 1916 con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare. Nel sito dell’Istituto del Nastro Azzurro si descrive la motivazione di tale distinzione: “Mentre combatteva strenuamente per mantenere una posizione di grande importanza, veniva colpito a morte”. In una delle sue foto della scatola si legge sul retro: “Nella grande guerra colpito morto mentre portava un ordine al comando”. Infine, nell’Albo d’Oro dei militari italiani caduti nella Grande Guerra si legge a suo riguardo: “Sottotenente in servizio attivo 12° reggimento bersaglieri, nato il 5 ottobre 1888 a Vercelli, distretto militare di Vercelli, morto il 1° giugno 1915 nel Settore di Tolmino per ferite riportate in combattimento”.
Di Rina (il cui nome completo nel suo atto di battesimo era Rina Margarita Luigia Rueff, probabilmente in onore del suo padrino Luigi Spinoglio, un altro fratello di Marietta), non hotrovato altro che il suo certificato di battesimo. L’ho vista solo nominata nel 1941 nell’obitorio di Giuseppe, marito di Maria Gaja, insieme a Bianca e Mercedes:
Alcuni potrebbero chiedersi, ma… non erano 6 i bambini sconosciuti? Fino ad ora ho parlato solo di 5. Beh, la questione è che non sono mai riuscito a sapere chi fosse la ragazza a destra nella foto, quella che si trova di profilo. Tutto indica che non sia figlia di Marietta (nei nomi della foto di lei non compare come sua figlia).
Io penso che fosse figlia di un matrimonio precedente di Antonio Rueff, dato che sembra essere più grande di Bianca. Questa è stata una delle domande che ho fatto all’unico discendente di Romualdo con cui ho potuto parlare (una persona del Brasile). Lui si impegnò a chiedere nella sua famiglia, ma la sua risposta non mi è mai arrivata.
Finalmente, sapere tutto questo sarebbe stato impossibile senza le note dietro alle foto. La scatola delle foto conteneva una vecchia busta con scritto “Fotografie Carolina Gallardi Gaja e figli”, che suppongo Maria, ormai anziana, abbia inviato a suo figlio (il mio bisnonno) in Argentina, dato che fino a quanto ne so, non c’era nessun altro a cui lasciarle in Italia una volta che lei non ci fosse più (i suoi due figli erano emigrati in Argentina). Le calligrafie sulla busta e sulle foto sono molto simili, ed è molto probabile che tutte siano state scritte da Maria. Penso che lei non volesse che questa storia si perdesse, e oggi, a quasi 72 anni dopo la sua morte, ha contribuito a evitare che ciò accadesse.
Assunta Adelaide Luigia Saltarini Modotti, detta Tina, nacque il 17 agosto 1896 a Udine, all’interno di una famiglia numerosa e di condizioni assai modeste.
Nel 1905, il padre, Giuseppe, emigrò negli Stati uniti in cerca di fortuna. Per questo motivo, all’età di dodici anni, Tina fu costretta a lavorare come operaia presso una fabbrica tessile nella periferia della città. A questi anni risalgono anche le prime frequentazioni dello studio fotografico dello zio paterno, Pietro Modotti, e l’apprendimento dei primi rudimenti di fotografia.
Nel 1913 emigrò anche lei, raggiungendo il padre e una delle sue sorelle. Lì, dopo un periodo come operaia, iniziò a posare come modella e si avvicinò alla recitazione, ottenendo un discreto consenso e apprezzamento.
Nel 1918, sposò il pittore e poeta Roubaix de l’Abrie Richey, soprannominato Robo, con il quale si trasferì a Los Angeles. Fu lui a introdurla negli ambienti politicamente e artisticamente più stimolanti della città e a presentarla al fotografo di fama internazionale Edward Weston, che presto divenne il suo maestro nell’arte fotografica. Dal canto suo, Modotti divenne la sua modella preferita, la sua musa e, infine, la sua amante.
Assieme si trasferirono in Messico, dove viaggiarono a lungo scattando fotografie che venivano pubblicate su diverse riviste, ottenendo premi e riconoscimenti. La bravura di Modotti cresceva di pari passo al suo stile, che si faceva via via più definito e personale: la fotografia divenne lo strumento per veicolare messaggi che avevano una portata antropologica, sociale e politica sempre più forte, denunciando la povertà, il degrado e la disparità sociale.
Divenne la fotografa ufficiale del movimento muralista messicano e cominciò a prendere parte a diverse forme di attivismo. Questo suo coinvolgimento e le sue amicizie influenti – come, ad esempio, con la pittrice Frida Kahlo e suo marito Diego Rivera – le offrirono la fama, consacrando il periodo più intenso della sua arte.
Tuttavia, a causa di alcuni scandali e accuse infondate che la vedevano coinvolta come complice tanto nell’omicidio del suo compagno dell’epoca, Julio Antonio Mella, quanto dell’attentanto al presidente Pascual Ortiz Rubio, Tina Modotti venne espulsa dal Messico nel 1930. Da quel momento, smise di fotografare per tutti i dodici anni che le rimasero da vivere.
Si trasferì a Berlino, da dove viaggiò a lungo e in largo tra l’Europa e l’Unione Sovietica. E, nel 1935, assieme al suo nuovo compagno, Vittorio Vidali, partecipò alla Guerra civile spagnola, fino al 1939, quando assieme fecero ritorno in Messico sotto falso nome.
Tina Modotti morì il 5 gennaio 1942 a Città del Messico.
Secondo alcuni fu uccisa a seguito del suo coinvolgimento in molti scenari politici, essendo diventata ormai una presenza scomoda; secondo altri, a seguito di un arresto cardiaco. Fu il poeta Pablo Neruda a comporre l’epitaffio che campeggia sulla sua lapide, nel cimitero Panteón de Dolores nella capitale messicana, dove venne sepolta.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Udine > Stato civile italiano > Udine > 1896
Per approfondimenti sulla figura di Tina Modotti, vedi la voce del Dizionario Biografico degli Italiani a cura di Giuliana Muscio.
Leopoldo Cassese nacque ad Atripalda (AV) il 20 gennaio 1901.
Dopo la laurea in Lettere nel 1925 presso l’università Federico II di Napoli, si diplomò presso la Scuola per archivisti e bibliotecari paleografi di Firenze, dove fu allievo di Luigi Schiaparelli, con il quale collaborò anche alla stesura della Guida storica e bibliografica degli Archivi e delle Biblioteche d’Italia.
Nel 1930, divenne direttore dell’Archivio di Stato dell’Aquila; di questo periodo si ricordano il suo Studio sull’antico Archivio del Comune di Aquila e la trascrizione del Codice degli Statuti del Comune (secc. XIII-XIV).
A partire dal 1934, invece, ricoprì lo stesso incarico presso l’Archivio di Stato di Salerno, fino alla sua morte. Anche qui si dedicò all’attività di studio e ricerca, pubblicando la Guida storica dell’Archivio di Stato di Salerno e maturando di un vivo interesse verso il passato della Scuola Medica Salernitana, di cui studiò approfonditamente i documenti sopravvissuti e conservati in Archivio di Stato.
Parallelamente all’attività dirigenziale, a partire dal 1951 si dedicò anche alla libera docenza universitaria, in qualità di professore di Archivistica sia presso la Federico II di Napoli sia presso la Sapienza di Roma.
Orientò, inoltre, i suoi interessi verso la storia del meridione italiano e in particolare alle lotte contadine fra Otto e Novecento, complice anche l’avvicinamento al marxismo che aveva avuto con l’approssimarsi della Seconda Guerra mondiale e l’influenza di alcune amicizie come quella di Piero Gobetti, Giorgio Pasquali, Luigi Russo e Tommaso Fiore e con i conterranei Guido Dorso e Carlo Muscetta.
Durante il periodo bellico, si adoperò per la messa in sicurezza dei i materiali archivistici dai bombardamenti e, una volta terminato il conflitto, si dedicò laboriosamente all’opera di ricostruzione e riqualificazione – attraverso mostre, dibattiti, conferenze – di tutto quel patrimonio documentario e culturale che aveva particolarmente a cuore.
Leopoldo Cassese morì a Roma il 3 aprile 1960.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Avellino > Stato civile italiano > Atripalda > 1901