Antonia Pozzi nacque a Milano il 12 febbraio 1912 da Roberto, avvocato, e dalla contessa Carolina Lavagna Sangiuliani di Gualdana.
Ricevette una formazione solida e rigorosa. Fin da adolescente iniziò a scrivere poesie, trovando ispirazione nella natura che circondava la sua amata casa di Pasturo, ai piedi delle Grigne (LC), che fu per lei luogo di rifugio e pace.
Una volta diplomatasi al liceo classico “Alessandro Manzoni”, iniziò una relazione con il suo professore di latino e greco, Antonio Maria Cervi, nonostante la ferma contrarietà della famiglia.
Iscrittasi alla facoltà di Filologia moderna dell’Università di Milano, ebbe l’opportunità di conoscere molti intellettuali del suo tempo, tra cui Vittorio Sereni, che divenne per lei un amico fraterno. In particolare, durante le lezioni di estetica di Antonio Banfi, entrò in contatto con diversi filosofi, poeti e editori dell’epoca, tra cui Remo Cantoni, Enzo Paci, Maria Corti, Alberto Mondadori, Livio Garzanti e numerosi altri. L’influenza di Banfi si rivelò profonda, tanto che sotto la sua guida Pozzi si laureò nel 1935.
Nonostante la sua formazione scolastica e accademica moderna e progressista, il suo percorso si scontrò con le aspettative familiari, ancora legate ai rigidi ruoli tradizionali della società altoborghese.
Conclusa l’università, si dedicò allo sport e ai viaggi, fino a che fu chiamata all’insegnamento presso un istituto tecnico, esperienza che visse come un modo per emanciparsi e distaccarsi dalla famiglia di origine.
Tuttavia, lo scarso apprezzamento che le sue poesie ricevettero tra i suoi amici e il suo stesso professore alimentò in lei una crescente inquietudine. A ciò si aggiunsero una cocente delusione amorosa e l’espatrio di amici costretti a lasciare l’Italia a causa delle Leggi razziali, aggravando così il suo senso di isolamento.
Travolta da quella che lei stessa definì una «disperazione mortale», Antonia Pozzi scelse di togliersi la vita a soli ventisei anni, il 3 dicembre 1938, presso Chiaravalle.
Tutte le sue poesie furono pubblicate postume: nonostante la discreta produzione in vita, Pozzi non tentò mai la via della pubblicazione. A seguito delle particolari circostanze della sua morte, il padre ritenne opportuno rimaneggiare alcuni dei suoi scritti, per oscurarne i passaggi più personali e controversi, prima di acconsentire alla pubblicazione (1939).
Al 1989 risale la prima pubblicazione integrale e priva di censure a cura di Onorina Dino.
Puoi consultare l’atto di morte sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Milano > Stato civile italiano > Milano > Registro 7440, Parte I (1587-1750), Registro 3
Per approfondimenti sulla figura di Antonia Pozzi, vedi la voce del Dizionario Biografico degli Italiani a cura di Sara Lorenzetti.
Giacomo Puccini nacque a Lucca il 22 dicembre 1858 da Michele e Albina Magi.
Sesto di nove figli in una famiglia che, da quattro generazioni, ricopriva il ruolo di maestri di cappella e organisti presso il duomo di Lucca.
La morte precoce del padre (1865) pose i Puccini in ristrettezze economiche, cosicché la formazione di Giacomo fu affidata a Fortunato Magi, zio materno e musicista, che inizialmente non vide nel nipote una particolare predisposizione artistica.
Il bambino fu comunque iniziato all’organo e al canto corale, affrontando tutto con scarni successi e una discreta indolenza. Solamente quando si iscrisse all’Istituto musicale della sua città, sotto la guida di Carlo Angeloni, iniziò a svelare un talento inatteso.
Durante gli anni di formazione toscani, si dedicò a prove compositive di scarsa risonanza. La svolta giunse nel 1880, con il trasferimento a Milano, dove perfezionò i suoi studi ed ebbe modo di conoscere amici e maestri da cui trasse stimoli, ispirazione e insegnamenti.
Dopo anni altalenanti, una volta diplomatosi al conservatorio, ebbero inizio i primi timidi successi, che poi diedero luogo a una produzione operettistica di grande valore: La Bohème (1896), Tosca (1900), Madama Butterfly (1904) e Turandot (rappresentata postuma nel 1926) per citare i più noti.
Figura di spicco del panorama lirico italiano, Puccini si dedicò esclusivamente alla musica per il teatro. Sebbene la sua produzione operistica conti appena dodici titoli, la cura meticolosa con cui sviluppò ciascuna opera, sia sotto il profilo musicale sia drammaturgico, gli consentì di creare capolavori in grado di imporsi stabilmente nei repertori internazionali.
Nel corso della sua vita fu profondamente legato alla Toscana e, in particolar modo, a Torre del Lago, una frazione di Viareggio, che fu per lui luogo di pace e ispirazione, tanto che vi fece costruire una villa in cui videro la luce diverse delle sue opere. Lì visse assieme a Elvira Bonturi che, nonostante le diverse liaisons di lui – gli fu compagna di vita e madre del suo unico figlio, Antonio.
Giacomo Puccini, ammalatosi di un tumore alla laringe, morì a Bruxelles il 29 novembre 1924.
Puoi leggere il suo nome tra gli estratti mensuali dei registri di battesimo della parrocchia di S. Martino a Lucca: Archivio di Stato di Firenze > Stato civile preunitario (1815-1865) > Lucca > 1858 (nr. 2034)
Per approfondimenti sulla figura di Giacomo Puccini, vedi la voce del Dizionario Biografico degli Italiani a cura di Dieter Schickling.
Filippo Giovanni De Cecco (o Di Cecco, come indicato all’anagrafe) nacque a Fara San Martino (CH) l’8 aprile 1854 da Nicola, mugnaio, e Annantonia Salvitti.
Terminata la licenza media, affiancò il padre nella gestione del mulino comunale, iniziando da subito a introdurre piccole innovazioni per incrementare la produzione e la qualità del lavoro.
Sebbene inizialmente tutto rimase circoscritto all’area chietina, De Cecco non tardò a intuire le grosse potenzialità di questo settore, mettendo a punto lui stesso modalità e macchinari che permisero una migliore conservazione della pasta prodotta nel neonato “Pastificio De Cecco” (1896).
Acquistò il mulino che la sua famiglia aveva in gestione e ampliò lo stabilimento, istituendo una struttura adibita all’essiccazione artificiale ad aria calda della pasta, attraverso un macchinario che verrà poi brevettato nel 1889.
Questa invenzione gli permise di espandere progressivamente il mercato, partecipando anche a fiere nazionali e internazionali: L’Aquila (1888), Palermo (1892), Principato di Monaco, Roma, Chicago (1893), San Francisco (1894), Anversa (1895), Amburgo (1898) e molte altre.
Ne conseguì un’impennata delle vendite, grazie anche all’esportazione negli Stati Uniti – avviata a partire dal 1904 – in cui la comunità italiana di migranti oltreoceano rappresentò una solida base di appoggio per il mercato del pastificio.
Solo la Prima guerra mondiale ne riuscì a ostacolare l’espansione internazionale e la produzione. Tuttavia, terminato il conflitto, l’attività riprese con slancio tanto che nel 1920, venne aperta una seconda sede a Pescara, una città giovane, in pieno sviluppo economico e commerciale.
Dopo i tanti successi, nel 1924 fu sancito il definitivo passaggio di consegne tra il fondatore, che fu nominato presidente a vita dell’azienda, e i suoi figli, che ne divennero amministratori delegati.
Filippo De Cecco morì a Fara San Martino il 27 luglio 1930.
Dopo la sua morte, l’azienda continuò a crescere, alternando momenti di prosperità ad altri di crisi. Tuttavia, anche nei frangenti più faticosi, lo stabilimento De Cecco rimase un punto di riferimento per la produzione di pasta a livello nazionale e non solo. Negli anni successivi, il pastificio si ampliò e modernizzò, con uno spirito sempre pronto a raccogliere le sfide del mercato globale, ma senza mai dimenticare il legame con le proprie origini e tradizioni.
Puoi consultare gli atti di nascita e morte sul Portale Antenati, rispettivamente: Archivio di Stato di Chieti, Stato civile della restaurazione, Fara San Martino, 1854 e Archivio di Stato di Chieti, Stato civile italiano, Fara San Martino, 1930
My father died this year. His name was John Vincent Tomassi and he was 76.
In 2027, he would have been turning 80, I would be 60 and if we would have followed through with our plan, we would be walking in the Italian towns from whence our ancestors hailed 300 years after our piece of the Tomassi family is recorded to have lived there.
But together, we didn’t do any of the things we talked about when we started researching our Italian heritage five years ago. Time, health, distance, and reality overshadowed and eventually overcame our initial excitement.
I wrote about this goal for the Ancestors Portal in March 2021: 300 years a Tomassi. Truth be told, I think I was more excited about it than he was. I was captivated by the old Italian script and fell in love with the romantic stories of ancestors conjured in my head.
I personally had delusions of us returning to Italy, as Italian citizens, to our ancestry roots, walking the streets, meeting the people, and speaking Italian.
Unfortunately I’m no closer to speaking Italian, but in October 2022, my brother and I ventured on a trip through our ancestry towns that allowed us to experience a small part of our family history.
The journey we took connected us physically, mentally and emotionally to our roots. Just before we departed on our quest, I connected with a direct cousin of my father’s. At 82 years old, she is an incredible wealth of knowledge, an inspiration, and an all around beautiful person. Although she and my father weren’t able to reconnect before he died, we continue to speak often and I cherish the moments and memories she provides to fill in small holes of our family lore.
She introduced me to another Tomassi, in Rome, who, when I met him at the end of our 2-week trip, relayed to me his philosophy that all Tomassi’s are “cousins.” I continue to use that term often. He even showed me a book from 1971, entitled “The History of Guarcino,” with one page highlighting the Tomassi Family.
It illustrated the family crest, highlighted our ancestor, Cardinale Giacomo Tomassi, who died in 1304, and had a palace named after him, and reflected the names of many Tomassi nuns who wore the monastic habit in the 16th and 18th centuries at the monastery San Luca, in Guarcino. I’ve contacted the monastery with hope of more information, but continue to await their response.
As well, the page states the Tomassi name is “extinct,” which of course I know not to be true; I’m proof of that. But also through my research with the Ancestors Portal, my 6th great grandfather was born in Fagnano Alto, L’Aquila, Abruzzo in 1727.
Before meeting our cousin in Rome, my brother and I arrived in Italy two weeks earlier in Amaseno, Frosinone, Lazio. It was there we met with our cousin from the Pisterzi side of the family.
My father’s uncle was Alberto Pisterzi and was a direct relation to the Pisterzi’s in Amaseno. Another part of our quest in Amaseno was to obtain a certified copy of my great grandfather’s birth certificate. With a bit of waiting and a short lesson in why we should speak Italian, we accomplished our first mission.
In Amaseno, we were also able to meet and thank Don Italo Cardarilli, whom I credit with setting me on the path to find our family roots.
Just before entering Abruzzo, we made a short stop in Guarcino to visit the birthplace and palace of Cardinale Giacomo Tomassi. We secretly expected some sort of fanfare as we drove into the small, quiet village, but nothing of the sort happened. Instead we enjoyed the beautiful sights, walked the small paths and stood in the archway named after our most famous ancestor – Cardinale Giacomo Tomassi.
We moved on to Bugnara seeking to fulfill our next mission of retrieving a certified copy of our great grandmother, Anna Incorvati. While there, we stayed in the beautiful town of Sulmona. It was there we met with another cousin from the Incorvati side of the family. She was a wonderful host and showed us the historic city with its amazing intact Roman aqueduct and world famous confetti candies.
Also while staying in Sulmona, we ventured to the small town of Cerchio to retrieve a certified copy of the birth certification of our other great grandmother, Adalgisa Mastrantonio. The comune worker in Cerchio was one of a kind. He not only found the original birth certificate (and offered to assist further), he let me come behind the counter to actually touch the 122-year old document. I stood in awe at the large page and wondered why it wasn’t locked away somewhere, but thankful it wasn’t so I could personally witness it.
My great grandmother Ada was the only great grandparent on my father’s side that I actually had the honor of knowing as a child and touching her birth certificate brought back faint memories of her.
To end our amazing trip, we finally entered the small town of Fagnano Alto, L’Aquila, Abruzzo; the place that started my ancestral journey and sparked my interest to find the roots of the Tomassi family.
Oddly we found the town totally abandoned. However about 80 percent of the buildings were fully renovated as if they have been built yesterday. In the town and municipality we found Castello di Fagnano, a stone bridge from the 1st century and the church where five Tomassi generations were baptized.
As I walked the empty streets I wondered which of the buildings my ancestors lived and worked in. I also wondered why it was so renovated and why nobody was living there. I asked at the municipality, but our language disparity was too great for any real understanding. But the feeling of standing in my ancestral town was breathtaking.
I know my father would have loved the trip, but at the time his poor health didn’t allow him to take the adventure.
Of course we visited many other sights during the entire 2-week trip and my brother and I spoke with our father daily to update him on our progress. We also spoke with cousins, aunts and uncles who became acutely interested in our quest to discover family roots, and we connected with family members in Italy of whom we would have never had the opportunity to meet without this trip.
I don’t know if my original goal of attaining Italian citizenship will ever come to fruition, but I am thankful I found the Ancestors Portal that allowed us the opportunity to peek into our past and mine gems of information that sat undiscovered for many, many years.
Wanda Osiris – all’anagrafe Anna Menzio – nacque a Roma il 3 giugno 1905, da Giuseppe, palafreniere del re, e Adele Pandolfi.
Il suo precoce interesse per lo spettacolo la portò al debutto nel 1923, come soubrette presso il cinemateatro Eden di Milano, dove diede inizio alla sua scalata verso il successo. Divenne presto una figura iconica, con la sua pelle artificiosamente ocra, il trucco marcato, i capelli ossigenati, piume, paillettes, tacchi e fiumi di profumo Arpège, sempre rivestita di sfarzo e sensualità.
Il primo vero trionfo fu agli inizi degli anni Trenta, all’Excelsior di Milano, accanto a Totò ne Il piccolo cafè. Con l’avvento della notorietà vennero coniati anche i suoi soprannomi, la Wandissima e la Divina, che solo il fascismo tenterà di contenere, italianizzando il suo nome d’arte in “Vanda Osiri”.
Lavorò a fianco di grandi personaggi del tempo, come Carlo Dapporto, Macario, Nino Taranto, Walter Chiari, Renato Rascel e molti altri. Ma soprattutto le sue riviste divennero famose per le eccentriche scenografie e le enormi scalinate che scendeva con grazia e disinvoltura, sempre attorniata da un ampio corpo di ballo che sceglieva lei stessa.
Fra i suoi maggiori successi si ricordano: Tutte donne (1939), Che succede a Copacabana? (1943), Grand Hotel (1948), Made in Italy (1953) e Festival (1954), a cui si affiancano canzoni di grande risonanza, come Sentimental (1949) e Ti parlerò d’amor (1944).
Tuttavia, l’avvento della televisione contribuì pian piano a sfumare il mito di Wanda, complice anche la diffusione di un nuovo prototipo di bellezza e di fare varietà. Eppure, ancora oggi Wanda Osiris incarna l’emblema della soubrette italiana della prima metà del Novecento e per questo riconosciuta dal grande pubblico come la prima vera diva nazionale.
Morì a Milano nel 1994, all’età di 89 anni.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Roma > Stato civile italiano > Roma > 1905
Per approfondimenti sulla figura di Wanda Osiris, vedi la voce del Dizionario Biografico degli Italiani a cura di Giorgio Pangaro.
Eduardo De Filippo nacque a Napoli, in via Vittoria Colonna 5, il 26 maggio 1900.
Figlio illegittimo di Luisa De Filippo e del noto attore Eduardo Scarpetta, non fu riconosciuto alla nascita.
Dall’unione dei due nacquero anche Titina e Peppino, e tutti e tre vennero introdotti sin dalla più tenera età ai palcoscenici napoletani, partecipando come comparse o in ruoli minori nella compagnia del fratellastro Vincenzo Scarpetta.
A questa compagnia, impegnata prevalentemente nella messa in scena delle commedie paterne o in rivisitazioni della tradizione, Eduardo rimase legato fino agli inizi degli anni Venti, firmando le sue prime prove di drammaturgia come, ad esempio, Ho fatto il guaio, riparerò…, che sarebbe poi diventata celebre con il titolo di Uomo e galantuomo, uno dei suoi lavori di maggior successo.
Rigoroso e severo, ma dotato di una sagacia comica e di un’originale inventiva, De Filippo faticò non poco per ottenere uno spazio autonomo nei teatri napoletani. Con i fratelli Titina e Peppino fondò una propria compagnia, attraverso la quale mise in scena diverse sue opere, talvolta sotto pseudonimo e con successi alterni. Fin quando, il 25 dicembre 1931, debuttò con Natale in casa Cupiello, segnando il felice avvio della Compagnia del “Teatro Umoristico I De Filippo”.
Gli anni successivi furono caratterizzati da un’intensa e fruttuosa attività – fra opere proprie e adattamenti – che progressivamente portarono De Filippo ad avvicinarsi anche al mondo cinematografico, in qualità di regista e attore. Tra i tanti lavori, nel 1950, diresse e recitò accanto a Totò in Napoli milionaria! e collaborò con Vittorio De Sica, scrivendo per lui alcune sceneggiature, tra cui L’oro di Napoli (1954) e curando l’adattamento di Matrimonio all’italiana (1964), rifacimento di Filumena Marturano.
Nel 1948, diede fondo a tutti i suoi risparmi e acquistò il semidistrutto teatro San Ferdinando, che, inaugurato nel 1954, fu il luogo in cui il dialetto napoletano venne elevato a lingua artistica, contribuendo così a riconoscere il “teatro dialettale” come “teatro d’arte.” Questo fu, forse più di ogni altro, il palcoscenico d’eccellenza in cui Eduardo mise in scena la sua visione della società, creando un ritratto della piccola borghesia napoletana, sempre centrale nei suoi lavori.
Il suo modo di scrivere e mettere in scena hanno profondamente influenzato il teatro moderno, la drammaturgia e la commedia, attualizzando l’eredità del teatro di Pulcinella – grazie anche alla sua finezza recitativa – e portandolo in tutto il mondo.
Dopo aver ricevuto due lauree honoris causa a Birmingham (1977) e Roma (1980), fu nominato senatore a vita dal presidente della Repubblica Sandro Pertini nel settembre 1981.
Eduardo De Filippo morì a Roma il 31 ottobre 1984.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Napoli, Stato civile italiano (quartieri di Napoli), Chiaia, Registro 33, suppl. 2
Per approfondimenti sulla figura di Eduardo De Filippo, vedi la voce del Dizionario Biografico degli Italiani a cura di Stefano De Matteis.
Pasquale Vena nacque l’8 settembre 1871 a Pisticci (MT).
Partì ancora giovanissimo assieme ai fratelli per imbarcarsi verso l’America. Tuttavia, si fermò a Napoli, dove presso la pasticceria “Scaturchio” apprese i primi rudimenti dell’arte dolciaria.
Quando fece rientro nel paese natio, aprì il Caffè Vena, nel cui retrobottega nel 1894 cominciò a lavorare a varie miscele di erbe alla ricerca del liquore perfetto. Nacque così l’Amaro Lucano, che riscosse subito un successo tale da giungere sino a casa Savoia, di cui Vena divenne fornitore abituale.
L’azienda crebbe, aumentato la quantità produttiva e diventando una vera e propria realtà imprenditoriale.
Pasquale Vena morì a Pisticci nel 1937.
Dopo la sua morte, nonostante l’interruzione forzata a causa della Seconda guerra mondiale, l’eredità venne raccolta dai figli, che favorirono il prosperare dell’azienda di famiglia, che nel 1965 raggiunse gli oltre 110 mila litri di amaro venduti.
Puoi consultare l’atto di nascitasul Portale Antenati: Archivio di Stato di Matera > Stato civile italiano > Pisticci > 1871
Lorenzo Leone Antonio Maria Respighi nacque a Cortemaggiore (PC) il 7 ottobre 1824.
Rimasto presto orfano di entrambi i genitori, fu affidato alle cure dapprima dal fratello e poi di un prozio.
Terminati gli studi liceali, si iscrisse alla facoltà di Matematica e fisica di Bologna, dove si laureò ad honorem nel 1847 e dove, nel 1851, fu nominato professore di Ottica e astronomia. Pochi anni più tardi gli fu affidata la direzione dell’Osservatorio astronomico della città.
Nel 1864, Respighi, cattolico praticante, rifiutò di prestare il giuramento di fedeltà al governo sabaudo, probabilmente per motivi di coscienza e lealtà nei confronti del papa, venendo così destituito da tutti gli incarichi ufficiali.
Tuttavia, l’anno successivo il pontefice Pio IX lo nominò titolare della cattedra di Ottica e astronomia presso il collegio “La Sapienza” di Roma e, in seguito, direttore dell’Osservatorio Capitolino.
Nel corso della sua lunga carriera si occupò di numerose ricerche in vari campi dell’astronomia, tra cui la cromosfera solare e le relazioni tra macchie e protuberanze, le misurazioni quotidiane del diametro del sole, lo spettro delle macchie solari, l’analisi di diversi fenomeni cometari, la latitudine del Campidoglio e di Monte Mario, la longitudine di Roma e di Milano e compilò un prezioso catalogo di oltre 2534 stelle.
Lorenzo Respighi morì a Roma il 10 dicembre 1889.
Puoi consultare gli atti di nascita e morte sul Portale Antenati, rispettivamente: Archivio di Stato di Piacenza, Stato civile della Restaurazione, Cortemaggiore, 1824 e Archivio di Stato di Roma, Stato civile italiano, Roma, 1889
Per approfondimenti sulla figura di Lorenzo Respighi, vedi la voce del Dizionario Biografico degli Italiani a cura di Ileana Chinnici.
Il suo archivio personale (1849-1890; 450 fascicoli) è conservato presso l’Archivio storico dell’Osservatorio Astronomico di Roma.
Alba Carla Laurita de Céspedes nacque a Roma l’11 marzo 1911, da Laura Bertini Alessandrini, romana, e Carlos Manuel de Céspedes y Quesada, ambasciatore per Cuba in Italia. Suo nonno era Carlos Manuel de Céspedes, un rivoluzionario che dal 1869 al 1873 fu presidente della Repubblica cubana e fautore dell’abolizione della schiavitù.
A soli 15 anni, nel 1926, Alba sposò il conte romano Giuseppe Antamoro, per poi separarsene nel 1931.
Il contesto agiato e colto in cui crebbe le favorì un’educazione d’eccellenza, alimentando la sua vocazione per la scrittura e l’interesse per la politica, d’orientamento antifascista.
Sebbene fosse perfettamente bilingue in italiano e spagnolo, e conoscesse diverse altre lingue europee, per la sua produzione letteraria scelse l’italiano come lingua prevalente. Esordì nel 1935 con la pubblicazione della sua prima raccolta di poesie, L’anima degli altri, favorita anche dalla solida amicizia con Arnoldo Mondadori. Nel 1938, invece, pubblicò il suo primo romanzo, Nessuno torna indietro, con il quale vinse il Premio Viareggio l’anno successivo, che tuttavia le fu revocato per volere di Mussolini, a causa della sua militanza antifascista, che le era costata anche alcuni giorni di carcere.
I suoi scritti erano animati da un’attenta cura stilistica, tesa a una letteratura di qualità, in cui la forma era sempre accompagnata da uno spessore dei contenuti e una riflessione profonda su questioni etiche e sociali.
Durante la Seconda guerra mondiale, fu parte attiva della resistenza partigiana, operando con il nome di battaglia “Clorinda”.
A partire dal 1944, fondò e diresse la rivista Mercurio, che divenne un importante punto di riferimento per l’intellettualità italiana durante gli anni del dopoguerra, grazie anche alla collaborazione di penne di gran pregio. La rivista chiuse quattro anni più tardi, nel 1948. Da quel momento in poi, de Céspedes cominciò a collaborare con varie testate, come Epoca e La stampa di Torino.
Negli anni successivi, tra Roma, Cuba e Parigi, si dedicò intensamente alla scrittura, pubblicando numerosi romanzi, spesso ricchi di elementi autobiografici: l’insoddisfazione sentimentale, l’educazione femminile e la lotta per l’identificazione personale e collettiva. Tra i tanti titoli, si ricordano: Dalla parte di lei (1949), Quaderno proibito (1952), Prima e dopo (1955) e Il rimorso (1962).
L’ultimo suo lavoro, rimasto incompiuto, è un racconto autobiografico scritto tra gli anni Ottanta e Novanta, dedicato a Fidel Castro e alla Rivoluzione cubana, pubblicato postumo nel 2011 da Mondadori in occasione del centenario della sua nascita.
Alba de Céspedes morì a Parigi il 14 novembre 1997 dopo una lunga malattia.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Roma, Stato civile italiano, Roma, 1911
Il suo archivio personale (1876 – 1997), che consta 136 buste, circa 2100 fotografie e 4122 tra libri e opuscoli, è conservato presso la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori.
Gino Coppedè nacque a Firenze il 26 settembre 1866 da Mariano, di professione intagliatore, e Antonietta Bizzarri.
Dopo la Scuola professionale di arti decorative industriali, dove ebbe modo di affinare le sue competenze nella lavorazione del legno, si iscrisse all’Accademia di Belle Arti, diplomandosi in disegno architettonico nel 1896.
Il suo primo incarico di rilievo fu la progettazione e realizzazione del castello MacKenzie a Genova, che lo vide impegnato dal 1897 al 1906. L’edificio, ispirato all’architettura fiorentina, comprendeva una commistione di elementi esuberanti, alquanto inusuali per lo stile architettonico della città ligure, ma che gli valsero il favore della ricca borghesia locale.
Il cosiddetto “stile Coppedè” si basava, infatti, sull’amplificazione di elementi architettonici di diverse epoche, rielaborati in maniera originale ma armonica. Una novità nel panorama edilizio che, tuttavia, riuscì a conquistare l’apprezzamento della critica e del pubblico, avviando l’architetto a una brillante carriera, che lo rese celebre ben oltre i confini nazionali.
Numerosi, infatti, i progetti che portarono la sua firma in svariate città italiane: molti a Genova, ma anche a Napoli, Roma, nonché in numerose città del centro e sud Italia, come ad esempio a Messina, dove contribuì alla ricostruzione post-terremoto.
Dopo la Prima guerra mondiale, l’attività di Coppedè continuò vigorosa, grazie anche ai numerosi riconoscimenti e incarichi accademici di cui venne insignito.
Solo a seguito della morte della moglie Beatrice, figlia dello scultore Pasquale Romanelli, che aveva sposato nel 1889, decise di trasferirsi a Roma, per dedicarsi al completamento del celebre quartiere residenziale Dora, oggi meglio noto come “quartiere Coppedè”.
La ditta Cerruti – con cui intratteneva un saldo legame professionale – gli aveva commissionato la realizzazione di un quartiere signorile destinato a soddisfare la ricercatezza voluta dai romani dell’alta borghesia degli anni Venti. Qui il suo stile raggiunse l’apice dell’eclettismo, con una fusione di linguaggi architettonici che, seppur apparentemente inconciliabili, trovarono uno stupefacente equilibrio.
Gino Coppedè morì a Roma il 20 settembre 1927.
Puoi consultare l’atto di morte sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Roma, Stato civile italiano, Roma, 1927