Figlia di Marina Magnani, sarta, e di padre ignoto.
Crebbe assieme ai nonni e alle zie in una casa tra il Campidoglio e il Palatino, vivendo un’infanzia serena, nonostante la distanza dalla madre che la lasciò alle loro cure per recarsi ad Alessandria d’Egitto assieme al nuovo marito.
Si appassionò al pianoforte, frequentando per un periodo l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dove studiò da concertista. L’incontro con la recitazione, invece, fu del tutto casuale: iniziò la scuola di arte drammatica “Eleonora Duse”, diretta da Silvio d’Amico, nel 1924 e, presto, fu notata e ingaggiata nella compagnia di Dario Niccodemi.
Tra il 1926 e il 1932, dopo un periodo di gavetta, parti secondarie e lunghissime tournée, la fama e l’importanza dei suoi ruoli sul palcoscenico cominciarono ad accrescere di pari passo. A seguito di questo periodo, prese a dedicarsi al teatro d’avanspettacolo, più popolare e spontaneo, determinante per la sua crescita e il suo eclettismo artistico.
A questi anni risale anche la relazione con Goffredo Alessandrini, regista, che sposò nell’ottobre 1935.
Nel mentre, il cinema sonoro le aprì le porte, ma fu solo nel 1941 che ottenne il primo grande successo, come protagonista di Teresa Venerdì sotto la regia di Vittorio De Sica. A questo, qualche anno più tardi, seguì la vittoria del suo primo Nastro d’argento in Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini, con cui strinse un intenso sodalizio artistico e privato.
L’apice della fama mondiale giunse nel 1956, quando fu la prima donna italiana in qualità di attrice protagonista a vincere un premio Oscar, per la sua interpretazione nel film La rosa tatuata (1955) di Daniel Mann.
Numerose altre furono le pellicole a cui prese parte, tra queste vale la pena ricordare Bellissima (1951) di Luchino Visconti, Saggio è il vento (1957) di George Cukor, Mamma Roma (1962) di Pierpaolo Pasolini e Roma (1972) di Federico Fellini.
Nannarella fu un’attrice dotata di un’umanità e una spontaneità fuori dal comune: con quella sua mimica e i particolari tratti somatici e verbali fu capace di incarnare al contempo la più profonda disperazione e le più leggere speranze del periodo postbellico, che il cinema neorealista intendeva raccontare, divenendone così un emblema.
Morì a Roma, cinquant’anni fa, il 26 settembre 1973.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Roma > Stato civile italiano > Roma > 1908
Da notare che l’atto presenta la dichiarazione di nascita fatta dalla sola madre, a seguito della sua «unione naturale con un uomo non ammogliato, non parente né affine con lei nei gradi che ostano al riconoscimento». Non a caso, il luogo di nascita indicato è l’asilo materno posto in via Salaria 126, un luogo in cui le gestanti in difficoltà o le ragazze madri erano tutelate e sostenute nel dare alla luce i propri figli.
A lato, invece, la nota di cancelleria che riporta la celebrazione del matrimonio con Goffredo Alessandrini a Roma il 3 ottobre del 1935.
Per approfondimenti sulla figura di Anna Magnani, vedi la voce del Dizionario Biografico degli Italiani a cura di Giorgio Pangaro.
Mi chiamo Alberto Del Fra, vivo a Roma, ho il desiderio di lasciare ai miei figli e ai miei nipoti memoria dei nostri antenati, coloro che ci hanno trasmesso ciò che fa di noi ciò che siamo oggi.
Un anno fa ho avuto notizia da un mio amico dell’esistenza del Portale Antenati e da quel momento mi sono buttato a capofitto in un’avventura che giudico entusiasmante.
Il Portale mi ha fatto entrare in un mondo lontano, del quale avevo conoscenza solo dai libri di storia.
Com’è noto, la storia si avvale di documenti, attraverso i quali si ricostruiscono gli avvenimenti. Così è stato per me spulciando le iscrizioni di nascite, morti e matrimoni dei miei avi. Documenti in apparenza freddi e burocratici, che in realtà mi hanno fatto scoprire storie di caduta e di riscatto, liete e drammatiche dei miei avi, insieme al contesto generale nel quale essi sono vissuti.
Il paese d’origine dei Del Fra, per quanto ne sapevo, era Vasto (un paese del Chietino) in Abruzzo, quello della famiglia De Mauro di mia madre era Manfredonia in Puglia. Dalla conoscenza dei nomi dei miei nonni paterni, ho cominciato a cercare notizie negli archivi anagrafici di Vasto, ciò mi ha aperto un mondo. Ho trovato i miei bisnonni e poi i trisavoli, i quadrisavoli, i pentavoli, alcuni esavoli.
Credo di aver spulciato migliaia di documenti e al di là delle notizie trovate sui miei avi, mi si è presentato un quadro generale dei centri rurali del meridione, coerente con quanto narrato dai libri di storia.
I nostri avi maschi erano in gran parte braccianti, chiamati bracciali e contadini analfabeti, come si evince dalla dichiarazione dell’ufficiale anagrafico in calce a quasi tutti i documenti.
C’erano anche alcuni artigiani (calzolai, barbieri, sarti etc.), anch’essi spesso analfabeti, e pochissime persone abbienti, che avevano diritto al titolo di don nei documenti anagrafici.
Le ave erano invece casalinghe, tessitrici, cucitrici, anche contadine. Le mogli dei don avevano diritto al titolo di donna.
Nei matrimoni erano necessari i consensi dei padri degli sposi o, in caso di morte degli stessi, dei nonni paterni. Solo se morti anch’essi, il consenso veniva dato dalle madri. Un chiaro indizio di sistema patriarcale.
Impressionante la mortalità infantile: i registri dei morti sono colmi di nomi di bambini di pochi anni e talvolta di pochi giorni. Questo portava a un fenomeno curioso: la ripetizione dei nomi. Per esempio nasceva un bambino di nome Francesco che moriva presto. Il successivo nato veniva chiamato di nuovo Francesco. In vari casi ho trovato ben tre fratelli con lo stesso nome. Tra l’altro ho scoperto una cosa che probabilmente nemmeno mio padre sapeva: era il secondo Ettore della famiglia.
Evidentemente le scarse condizioni igienico/sanitarie e la mancanza di farmaci efficaci facilitavano la mortalità infantile.
Ovviamente anche l’indice di natalità era altissimo. Non era raro arrivare a un numero di figli in doppia cifra, fenomeno presente anche tra i miei avi.
Piuttosto rimarchevole era il fenomeno dei trovatelli, indicati come proietti. Chi li presentava all’ufficiale anagrafico era spesso la levatrice del paese.
C’era anche qualche ragazza che presentava un proprio figlio naturale, scegliendo coraggiosamente di allevare un figlio in una società che l’avrebbe tenuta al margine.
Un caso di questo genere capitò anche tra i miei antenati e merita un racconto. Una certa Carolina Di Guglielmo, cucitrice, ha una figlia naturale che chiama Maria alla quale insegna il suo mestiere. Probabilmente Maria non poteva essere considerata un buon partito. Un mio bisnonno Giovan Battista Del Fra, calzolaio, mestiere ereditato dal nonno paterno, lascia il suo luogo di nascita Tufo (un paese dell’Aquilano), il vero luogo d’origine dei Del Fra, per trasferirsi a Vasto. Compie un trasferimento inusuale per quei tempi, data la distanza ragguardevole tra le due località. Pure lui ha un marchio disonorevole: è figlio di un contrabbandiere ucciso dalle guardie doganali.
L’unione di queste due persone sfortunate porta a una famiglia che vive dignitosamente. Evidentemente Maria è una brava cucitrice e Giovanbattista un valente calzolaio, come si desume dalla firma in calce all’atto del matrimonio non era analfabeta, visto che danno una buona condizione ai figli maschi, in particolare a mio nonno Pasquale.
Pasquale infatti mette su una caffetteria e riesce a far diplomare tutti i figli maschi e a laurearne uno. Naturalmente le figlie femmine non sono messe nelle stesse condizioni. Queste ultime notizie provengono da una conoscenza diretta dei miei zii.
In definitiva quella dei Del Fra è una storia di riscatto a lieto fine.
Per quanto riguarda le vicende dei De Mauro la famiglia di mia madre. Già nella prima metà del ‘700 sono padroni di mulini a Manfredonia. Si capisce che la loro fortuna va crescendo col tempo. Evidentemente, pur non essendo don, erano considerati dei buoni partiti, si uniscono con varie famiglie di don, quella dei Rizzi di Manfredonia e quelle dei Garamone e dei Rosati, provenienti da altri paesi della Puglia.
Un personaggio che merita una menzione particolare è Pietro Rizzi (1814-1897), farmacista di Manfredonia, mio trisavolo, personaggio di cui spesso mi parlava mia madre. Egli per un periodo doveva darsi alla latitanza poiché giudicato sovversivo dal regime borbonico. Questo però non gli impedirà di tornare spesso di nascosto a casa, mettendo regolarmente incinta sua moglie, sposata pochi mesi prima dalla nascita del primogenito.
Pietro Rizzi fu assolto in tribunale. Pare che una testimonianza a carico di Pietro sia quella del curato del paese, che racconta di discorsi sovversivi fatti dal trisavolo nella sua farmacia. L’avvocato dice all’usciere di far entrare il parroco. L’usciere torna dicendo che il prete alla sua chiamata non ha risposto. E allora è gioco facile per l’avvocato: Signor giudice, come può il parroco affermare di aver udito discorsi sovversivi se è sordo?
Poi, però, come testimoniano i documenti anagrafici, avviene la diaspora dei De Mauro da Manfredonia. Ci sono degli atti di nascita e di morte che li riguardano in altri paesi della Puglia, ma non sarebbero stati sufficienti a farmi avere un quadro comprensibile, se non avessi conosciuto direttamente da mia madre i fatti essenziali. Il mio bisnonno Francesco Paolo De Mauro avalla per un amico una cambiale di importo notevolissimo. L’amico non la onora e il bisnonno deve vendere tutto, compreso il palazzo in cui abita, trasferendosi a Cerignola. Il figlio Leonida, elettrotecnico, per trovare lavoro emigra a Milano con i figli tra cui mia madre.
Seguono purtroppo sciagure di tutti i tipi. Muoiono in rapida successione Leonida (di spagnola), mentre la moglie Nunzia e tutti i fratelli e le sorelle di mia madre, moriranno a causa di varie malattie. Mia madre a Milano incontra mio padre, trasferitosi là da Vasto come bancario. Pensate che io non ho mai conosciuto un parente di mia madre.
Alla fine ho individuato 59 cognomi diversi dei miei avi.
A proposito di cognomi, va osservato che talvolta cambiano col passare del tempo. Per esempio all’inizio trovo il cognome Del Frà e non Del Fra, in genere nella prima metà del secolo XIX i Di o i Del all’inizio dei cognomi sono scritti con la minuscola, poi l’uso cambia. Analogamente di Mauro è diventato De Mauro, di Guglielmo si è mutato in De Guglielmo. Sovente cambiano le finali dei cognomi: per esempio Annecchino che muta in Annecchini.
Lo stesso succede per i nomi: una Rosanna all’atto di nascita diventa Rosaria al matrimonio e alla morte. Il Giovan Battista già ricordato, al matrimonio è Giovanni, alla morte Giovanni Battista.
Forse perché le nascite e le morti venivano trascritte avvalendosi solo di testimonianze orali di persone spesso analfabete che parlavano in dialetto, con conseguente possibilità di equivoci con l’ufficiale anagrafico.
Poiché la mia ricerca mi ha portato a consultare una miriade di registri anagrafici di vari paesi dell’Abruzzo e della Puglia, ho potuto osservare come in ogni località si ripetano sempre gli stessi cognomi, differenti però da paese a paese. Un fatto che testimonia come quelle comunità fossero piuttosto chiuse, con rari spostamenti o comunque limitati a località vicine. Il nostro Francesco Del Fra, con il trasferimento da Tufo a Vasto, è l’eccezione che conferma la regola.
Questa mancanza quasi totale di mobilità mi ha senz’altro facilitato il compito: quasi tutti i miei antenati sono nati, si sono sposati e sono morti nello stesso posto. In tal caso è bastato quindi scorrere i registri di una sola località per ricostruire la loro storia.
Dall’inizio del ‘900 in poi una tale ricerca sarebbe molto più complicata: per esempio mio padre e i suoi fratelli si sono tutti allontanati dal luogo di origine, andando ad abitare in grandi centri. Termino con l’auspicio che il progetto del Portale continui ad essere alimentato con la pubblicazione di nuovi registri e con un ringraziamento di cuore a tutti coloro che vi collaborano.
Enrico Fermi nacque a Roma il 29 settembre 1901.
Dimostrò sin da giovanissimo una spiccata propensione per l’algebra e la fisica. Entrato, poi, presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, ebbe modo di approfondire queste discipline e di farsi notare tra i professori più illustri del tempo.
Perfezionati gli studi all’estero, ottenne la prima cattedra di fisica teorica a Roma, presso l’istituto di via Panisperna, dove cominciò il periodo più fecondo della sua attività scientifica a capo di quel gruppo di ragazzi che prese il nome dall’omonima via.
Divenne docente di grande fama, le cui lezioni e insegnamenti ebbero un vasto successo, anche in America dove aprì numerose altre scuole, incrementando la sua notorietà grazie ai suoi metodi innovativi.
Gli anni tra il 1927 e il 1938 furono segnati da un’intensa attività di ricerca da parte di tutto il gruppo romano su questioni di interesse internazionale.
Nel 1938 fu insignito del premio Nobel per la fisica.
Ancora oggi, l’influenza della sua attività e la sua profonda conoscenza trasversale di questa disciplina sono riconosciute in tutto il mondo.
Poco prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, emigrò negli Stati Uniti con tutta la sua famiglia. Lì, a Chicago, all’età di 53 anni, morì il 29 novembre 1954.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Roma > Stato civile italiano > Roma > 1901
Per approfondimenti sulla figura di Enrico Fermi, vedi la voce del Dizionario Biografico degli Italiani a cura di Emilio Segrè.
Pietro Giovanni Ferrero nacque a Farigliano (CN) il 2 settembre 1898.
Figlio di contadini delle Langhe piemontesi, ben presto decise di aprire ad Alba (CN) una pasticceria e di lanciare sul mercato prodotti dolciari innovativi ma economici, che potessero essere alla portata di tutti.
Dopo numerose sperimentazioni, ideò una pasta morbida a base di nocciole, ben più economica rispetto al cioccolato, venduta in forma di panetto, facile da trasportare e pensata per essere spalmata sul pane. Un’idea ottimale per le esigenze dei numerosi operai di quelle zone, che vivevano in condizioni economiche non agiate.
La crema di nocciole ebbe un successo tale tra i numerosi operai di Alba da dare uno slancio alla piccola pasticceria Ferrero che, nel 1946, si costituì come industria.
Il lavoro della famiglia Ferrero e la fama di quella crema spalmabile – che qualche anno più tardi verrà perfezionata, divenendo nota nel mondo con il nome di Nutella – crebbero in maniera esponenziale negli anni a seguire.
Pietro Ferrero morì ad Alba il 2 marzo 1949.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Cuneo > Stato civile italiano > Farigliano > 1898
Elsa Morante nacque a Roma il 18 agosto 1912 da Francesco Lo Monaco e Irma Poggibonsi. Verrà tuttavia riconosciuta all’anagrafe dal marito della madre, Augusto Morante, da cui prenderà il cognome.
Cominciò l’attività di scrittrice sin da giovanissima, dedicandosi alla stesura di fiabe e racconti, molti dei quali pubblicati postumi.
Nel 1936, conobbe Alberto Moravia, con cui iniziò una relazione tormentata, ma che li portò all’altare il 14 aprile 1941.
Nel corso degli anni, la sua attività di scrittrice si fece via via più intensa, potendo anche godere dei numerosi scambi e confronti con rinomati colleghi dell’epoca, tra i quali spicca in particolare il nome di Pier Paolo Pasolini, con cui ebbe un ventennale rapporto di profonda amicizia.
Nel 1943, l’intensificarsi della repressione antisemita, spinse Morante e Moravia (che era ebreo) a fuggire da Roma e rifugiarsi a sud, verso Fondi, dove rimasero per qualche mese, vivendo una realtà che diverrà per entrambi determinante nella stesura di alcune opere successive.
Tornati a Roma, nel 1944, Morante pubblicò il suo primo romanzo Menzogna e sortilegio (1948), che le valse la vittoria del “Premio Viareggio”.
Nel 1957, fu la prima donna ad essere insignita del “Premio Strega”, grazie al suo secondo romanzo, L’isola di Arturo.
Successivamente, a partire dal 1971, cominciò a occuparsi del più celebre tra i suoi romanzi, La storia, pubblicato da Einaudi nel 1974: fu stampato direttamente in edizione economica per volontà della stessa autrice, affinché potesse essere da subito accessibile a tutti.
Nel decennio successivo continuò a dedicarsi senza sosta all’attività letteraria, e non solo, ma le sue condizioni di salute ebbero un progressivo e inesorabile calo.
Morì a Roma il 25 novembre 1985. Le sue ceneri furono sparse nel mare di Procida.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Roma > Stato civile italiano > Roma > 1912
Da notare che il padre biologico, Francesco Lo Monaco, impiegato, figura nell’atto di nascita come uno dei testimoni e come “padrino” verrà conosciuto da Elsa Morante fino ai suoi 14 anni.
A margine, l’atto riporta anche la nota di cancelleria che segna l’atto di matrimonio con Alberto Moravia, avvenuto il 14 aprile 1941.
Poco più in basso, è presente un’altra annotazione del 30 maggio 1941 che dichiara che Morante, pur figlia di madre ebrea, “è stata riconosciuta non appartenente alla razza ebraica”.
Per approfondimenti sulla figura di Elsa Morante, vedi la voce del Dizionario Biografico degli Italiani a cura di Nadia Setti.
Curzio Malaparte, nome d’arte di Curt Erich Suckert, nacque a Prato il 9 giugno 1898, da Erwin, tintore di origini sassoni, e Eugenia Perelli.
Mostrò sin da bambino un’indole inquieta, che lo portò a maturare una personalità turbolenta, tendente a porsi in contrapposizione, in malaparte appunto, come volle lui stesso sottolineare con il nome che assunse a emblema di «un’identità controversa e radicalmente polemica».
Prato fu la città in cui avvenne la sua prima formazione intellettuale e dove cominciò la sua attività letteraria, che si declinò a vari livelli e in diversi ambiti, tra cui – e in maniera assai produttiva – quello giornalistico.
Combatté in entrambe le due Guerre mondiali. Divenne anche ufficiale, ma senza distaccarsi dalla sua vocazione letteraria: piuttosto, l’esperienza della guerra si costituì come un evento cruciale, che influenzò molto la sua persona, favorendone l’avvicinamento – intellettuale e attivo – alla politica.
Talentuoso e intraprendete, ebbe una penna prolifica e bilingue (scrisse, infatti, sia in italiano che in francese): tra i suoi saggi più celebri si ricordano Viva Caporetto! (1921) e Italia barbara (1925), mentre tra i suoi romanzi Kaputt (1944) e La pelle (1949).
La sua figura, poliedrica e articolata, gli consentì di leggere la realtà a un livello profondo e complesso, rendendolo uno dei personaggi più emblematici del Novecento.
Morì a Roma il 19 luglio 1957.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Prato > Stato civile italiano > Prato > 1898
Da notare la nota a margine, apposta a lapis, in cui si segnala che il cambio nome da Curt Erich Suckert a Curzio Malaparte fu approvato con il decreto reale del 15 aprile 1937.
Per approfondimenti sulla figura di Curzio Malaparte, vedi la voce del Dizionario Biografico degli Italiani a cura di Marino Biondi.
Francesco Saverio De Sanctis è stato uno dei più importanti critici letterari dell’Ottocento.
Nato a Morra Irpina (oggi Morra De Sanctis), in provincia di Avellino, il 28 marzo 1817, sin da bambino fu instradato verso una spiccata attenzione alla lingua e alla letteratura.
Negli anni, grazie anche al precoce avviamento dell’insegnamento e i numerosi scambi intercorsi con molte delle personalità culturalmente più in vista dell’epoca, diventò uno dei più celebri autori e saggisti del suo tempo.
Fu il primo ministro della Pubblica Istruzione del Regno d’Italia, dal 1861 al 1862.
Morì a Napoli il 29 dicembre 1883.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Avellino > Stato civile della restaurazione > Morra (oggi Morra De Sanctis) > 1817
Per approfondimenti sulla figura di Francesco De Sanctis, vedi la voce del Dizionario Biografico degli Italiani a cura di Attilio Marinari.
La “sora Lella”, all’anagrafe Elena Fabbrizi, è stata un’attrice italiana, simbolo di una comicità schietta e verace, tipicamente romana. Nacque infatti a Roma, il 17 giugno 1915.
Prima della carriera cinematografica, si dedicò all’attività di ristoratrice, e, solo attorno ai quarant’anni, mosse i primi passi nel mondo del grande schermo, seguendo le orme già tracciate dal fratello Aldo, recitando con grandi nomi come Totò, Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Mario Monicelli e altri.
Il vero successo, tuttavia, giunse attorno agli anni ’80, quando fu fortemente voluta da Carlo Verdone in diversi suoi film. Sotto la sua regia, vinse un Nastro d’argento come “Migliore attrice esordiente” nel 1981, per il film Bianco, rosso e verdone, e, nel 1984, anche il David di Donatello in qualità di “Miglior attrice non protagonista” per il film Acqua e Sapone.
Morì a Roma, il 9 agosto 1993.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Roma > Stato civile italiano > Roma > 1915
Giovanni Gentile, nato a Castelvetrano (TR) il 29 maggio 1875, fu una figura di spicco nel panorama culturale e politico della prima metà del Novecento.
Filosofo e pedagogista, oltre che per i numerosi scambi e dibattiti con Benedetto Croce e altri esponenti degli ambienti eruditi dell’epoca, è ricordato per essere stato uno dei cofondatori, assieme a Giovanni Treccani, dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, approvato in qualità di ente di finalità nazionale con R.D.L. n. 669 (per approfondire e consultare il Regio decreto: Archivio Centrale dello Stato, Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti (1861 – 2012), R.D.L. 24 giugno 1933 n. 669).
Gentile, inoltre, fu nominato Ministro dell’Istruzione nel 1920-21 e durante questo mandato fu artefice della riforma scolastica che porta il suo nome.
Il 9 maggio 1901 si unì in matrimonio con la campobassana Erminia Nudi.
Morì a Firenze il 15 aprile 1944.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Trapani > Stato civile italiano > Castelvetrano > Nati > 1875
Per approfondimenti sulla figura di Giovanni Gentile, vedi la voce del Dizionario Biografico degli Italiani a cura di Gennaro Sasso.
Mi chiamo Gisela Astrid e sono brasiliana, ma nel mio sangue scorre un forte legame con l’Italia. Il mio trisavolo, infatti, si chiamava Biase Martorella e nacque il 5 luglio 1859 a Lagonegro, in provincia di Potenza (Basilicata), da Salvatore e Maria Carrano, che risiedevano in via Castello, a circa 200 metri di distanza dalla cattedrale intitolata a San Nicola di Bari.
Non conosco esattamente quando Biase sia immigrato in Brasile, ma so che al suo arrivo il suo nome divenne “Braz Martorelli” e che, da quel momento, tutti i suoi discendenti ereditarono il cognome “Martorelli” invece di “Martorella”.
Biase presumibilmente partì per il Brasile attorno al 1882, anno in cui sposò la mia trisnonna, Maria Filomena Colombo, che, pur essendo nata in Brasile, nella città di Bonito (Pernambuco), il 29 settembre 1869, anche lei era figlia di immigrati italiani.
Grazie al portale Antenati, ho avuto modo di ricostruire alcuni avvenimenti della loro storia: il padre di Maria Filomena Colombo, si chiamava Domenico e nacque intorno al 1823, probabilmente nella frazione di Battaglia del Casaletto Spartano, in provincia di Salerno; mentre sua moglie, Filomena Isabella Amato, nacque il 23 dicembre 1837 a Sapri, dove il 21 aprile 1857 si unirono in matrimonio. Qualche anno dopo, precisamente nel 1868, Domenico e Filomena si trasferirono in Brasile, divenendo “Domingos Colombo” e “Filomena Amado”. Lì diedero alla luce alcuni dei loro figli, tra cui la mia trisavola, Maria Filomena.
Biase Martorella e Maria Filomena Colombo si sposarono il 30 novembre 1882, nella città di Bonito, quando lei aveva solo 13 anni. Da questo matrimonio nacquero numerosi figli: Salvador (nato nel 1885), Domenico Astrogildo (nato nel 1887 a Sapri), Audiphas Sofonias (nato nel 1891), Maria Florina (la mia bisnonna, nata nel 1893), Josepha (nata nel 1895), Humberto (nato nel 1898), Filomena (nata nel 1900), Julia Helena (nata nel 1902), Alberto (nato nel 1905) e Audifas (nato nel 1908).
La mia trisavola, Maria Filomena, morì all’età di 40 anni, il 5 agosto 1911 in Brasile. È stato interessante scoprire che, sebbene sia nata e si sia sposata a Bonito, lei e Biase abbiano vissuto per alcuni anni a Sapri, il comune natale dei genitori di Maria Filomena, dove diedero anche alla luce un figlio.
Tuttavia, in un certo momento, decisero di tornare in Brasile. Dopo la morte di Maria Filomena, Biase si risposò il 28 maggio 1917 con Maria Barbosa, nata a Monteiro (Paraiba, Brasile) il 22 luglio 1888. Da questo matrimonio nacquero: Zullina (nata nel 1916), Helena (nata nel 1917), Adalberto (nato nel 1917), Maria do Carmo (nata nel 1920), Eunice (nata nel 1922), Jaime (nato nel 1923) e Nivaldo (nato nel 1924).
Biase morì il 19 luglio 1938 a Recife (Pernambuco), all’età di 79 anni. Lì fu sepolto nel cimitero di Santo Amaro. Oltre ai figli, lasciò un’enorme eredità di discendenti, basti pensare che la mia bisnonna, Maria Florina, sua figlia, sia morta lasciando a sua volta 17 figli. La maggior parte della mia discendenza italiana è costituita da commercianti: ad esempio, stando all’atto di nascita di Biase e all’atto di matrimonio dei suoi genitori, suo padre Salvatore era “ramaio”. Tuttavia, Biase era comunemente chiamato “Capitano”, poiché, a quanto pare, era un capitano della Guardia Nazionale dello Stato di Pernambuco.
Sono una pronipote di Biase, mia nonna paterna si chiamava Maria Astrid, sebbene fosse brasiliana, era di origine italiana. Maria Astrid è stata l’unica nonna che non ho avuto modo di conoscere, perché morì prima che io nascessi. Tuttavia, ho sempre sentito un forte legame, anche perché il mio secondo nome è ovviamente dedicato a lei.
Biase Martorella e Maria Filomena Colombo si sposarono il 30 novembre 1882, nella città di Bonito, quando lei aveva solo 13 anni.
Da questo matrimonio nacquero numerosi figli: Salvador (nato nel 1885), Domenico Astrogildo (nato nel 1887 a Sapri), Audiphas Sofonias (nato nel 1891), Maria Florina (la mia bisnonna, nata nel 1893), Josepha (nata nel 1895), Humberto (nato nel 1898), Filomena (nata nel 1900), Julia Helena (nata nel 1902), Alberto (nato nel 1905) e Audifas (nato nel 1908).
La mia trisavola, Maria Filomena, morì all’età di 40 anni, il 5 agosto 1911 in Brasile.
È stato interessante scoprire che, sebbene sia nata e si sia sposata a Bonito, lei e Biase abbiano vissuto per alcuni anni a Sapri, il comune natale dei genitori di Maria Filomena, dove diedero anche alla luce un figlio.
Tuttavia, in un certo momento, decisero di tornare in Brasile.
Dopo la morte di Maria Filomena, Biase si risposò il 28 maggio 1917 con Maria Barbosa, nata a Monteiro (Paraiba, Brasile) il 22 luglio 1888.
Da questo matrimonio nacquero: Zullina (nata nel 1916), Helena (nata nel 1917), Adalberto (nato nel 1917), Maria do Carmo (nata nel 1920), Eunice (nata nel 1922), Jaime (nato nel 1923) e Nivaldo (nato nel 1924).
Biase morì il 19 luglio 1938 a Recife (Pernambuco), all’età di 79 anni. Lì fu sepolto nel cimitero di Santo Amaro. Oltre ai figli, lasciò un’enorme eredità di discendenti, basti pensare che la mia bisnonna, Maria Florina, sua figlia, sia morta lasciando a sua volta 17 figli.
La maggior parte della mia discendenza italiana è costituita da commercianti: ad esempio, stando all’atto di nascita di Biase e all’atto di matrimonio dei suoi genitori, suo padre Salvatore era “ramaio”. Tuttavia, Biase era comunemente chiamato “Capitano”, poiché, a quanto pare, era un capitano della Guardia Nazionale dello Stato di Pernambuco.
Sono una pronipote di Biase, mia nonna paterna si chiamava Maria Astrid, sebbene fosse brasiliana, era di origine italiana. Maria Astrid è stata l’unica nonna che non ho avuto modo di conoscere, perché morì prima che io nascessi. Tuttavia, ho sempre sentito un forte legame, anche perché il mio secondo nome è ovviamente dedicato a lei.
La riscoperta di queste origini italiane è stata per me molto importante: ogni volta che acquisisco nuove informazioni sui miei antenati, mi sembra di salvare un pezzetto della mia storia. Cerco di visualizzarli nel contesto dell’epoca, cerco di capire i loro desideri e, anche se è un compito apparentemente impossibile, mi piace provare a immaginarli. Capire le mie origini è qualcosa che mi affascina molto.
Continuo a chiedermi cosa abbia spinto una famiglia italiana a emigrare dall’altra parte dell’oceano, ma immagino che lo abbiano fatto perché cercavano una vita migliore. Per questo, penso che i Martorellas siano stati molto coraggiosi, perché hanno avuto il coraggio di andare alla ricerca di nuove opportunità.
Così, anche se ci sono quattro generazioni tra me e il mio trisavolo nato in Italia, grazie a lui posso ancora vedere tracce italiane nella mia famiglia.
Addirittura, in famiglia abbiamo una “battuta interna” per cui ogni volta che qualcuno si agita troppo o parla a voce alta, diciamo: «Io sono italiano! Sono un Martorella!». E, naturalmente, lo diciamo a voce alta, con un accento molto marcato e una gestualità vivace, tipicamente italiana.
Abbiamo deciso che un giorno, quando avremo il passaporto italiano, trascorreremo qualche giorno lì per onorare i nostri antenati e per festeggiare il riconoscimento della nostra cittadinanza italiana.