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HomeStorie di famigliaBrasile

Nazionalità: Brasile

Famiglia Capellato negli anni ’40

Mi chiamo Allan Pietri, sono brasiliano, e sono il pronipote di Mario Zanotello e Amélia Capellato, genitori di mia nonna materna.
Mia bisnonna Amélia era la figlia minore di Angelo Capellato e Carolina Bassan. Angelo e i suoi figli dedicarono gran parte della loro vita ai trasporti pubblici di Valinhos, ho pensato allora di scrivere alcune righe sulla loro storia, iniziando da quando vivevano in Italia, dove il loro cognome era ancora Cappello, fino a quando hanno realizzato il loro sogno di andare in Brasile.

I Cappello in Italia

Era un venerdì, il 17 settembre 1869, quando alle nove di sera nacque un bambino, secondogenito di Domenico Cappello e Teresa Lazzarin; il piccolo venne battezzato due giorni dopo con il nome di Angelo nella chiesa di Santa Maria Assunta di Solesino. La famiglia Cappello, soprannominata Pasotto, proveniva da Solesino/Stanghella, in provincia di Padova; il capofamiglia Domenico era carrettiere e sua moglie contadina, sposati a Solesino nel febbraio 1867, ebbero il primo figlio nel 1868, che per complicanze durante il parto morì pochi minuti dopo la nascita, e poiché non fu possibile battezzarlo e dargli un nome, non venne registrato nel libro dei battesimi ma solo in quello dei defunti, nacquero in seguito: Angelo nel 1869, Pietro nel 1871, Amabile nel 1873, morta dopo 20 giorni dalla nascita. La famiglia era di origini molto umili, probabilmente era per questo che cambiava spesso paese, a seconda di dove riusciva a trovare nuove opportunità di lavoro, e in una di queste occasioni, nel 1874, si trasferì a Ponso, sempre in provincia di Padova, dove rimase per 6 anni.
A Ponso ebbero i figli Giulia (1874), nata morta, Maria Luigia (1875), e Amalia (1878).
Nell’inverno del 1881, Domenico morì improvvisamente, per una malattia cardiaca, a soli 36 anni; sua moglie Teresa, essendo incinta, tornò allora con i figli nel paese d’origine dove diede alla luce Teresa (1881), l’ultima figlia della coppia, che tutti chiamavano Domenica in onore del padre defunto. Purtroppo le tragedie non erano finite per la famiglia Cappello, nel 1884, muore Amalia, a Stanghella, a soli 5 anni per difterite. Dei loro figli, solo 4 arrivarono all’età adulta: Angelo, Pietro, Maria Luigia e Teresa.
Poco sappiamo delle vicende avvenute nei sette anni successivi a questi eventi. Nel luglio del 1891, il loro figlio secondogenito Angelo sposa Carolina Bassan, originaria di Stanghella; i due giovani si conobbero probabilmente a Solesino o Stanghella e due anni dopo, nel maggio 1893, nacque il loro primo figlio Vittorio a Stanghella.

Una nuova vita in Brasile

Fu nel 1895 che Angelo prese la decisione che avrebbe cambiato per sempre la loro vita, quella di emigrare in Brasile. L’11 maggio 1895 giunsero in Brasile a bordo della nave San Gottardo: Angelo 25 anni e capofamiglia, Carolina 23 anni sua moglie, Vittorio 2 anni suo figlio e  Luigia 28 anni sua cognata. Si stabilirono a Campinas, nell’entroterra di San Paolo, per lavorare nelle fattorie come coloni; lì la coppia ebbe tre figli, Antonio nel 1897, João nel 1899 e Domingos nel 1901 ed in seguito la famiglia si trasferì a Valinhos.

Valinhos

Uno dei primi veicoli dell’impresa Capellato, anni ’20

Valinhos è una città dell’entroterra di San Paolo, situata vicino a Campinas, della quale fece parte fino al 1896, quando fu dichiarata distretto di pace ed infine comune nel 1953. Conosciuta oggi a livello nazionale come “la capitale del fico viola”, per la produzione nazionale di questo frutto, la città è nota anche per la festa del fico che si tiene ogni anno e per essere la città natale del compositore e sambista italo brasiliano Adoniran Barbosa.
Fu nella città di Valinhos che la famiglia risiedette dal 1903, e fu lì che nacquero i loro ultimi 3 figli: Natale nel 1903, Emma nel 1905 e Amélia nel 1913. Si pensa che fu a Valinhos, nel corso del primo decennio del ‘900, che il cognome di Angelo cambiò da Cappello a Capellato; la famiglia ad oggi non conosce il vero motivo del cambiamento, ma ritiene che sia stato un errore nella trascrizione dei documenti. Da quel momento in poi Angelo cominciò ad essere conosciuto e chiamato da tutti Angelo Capellato, cognome mantenuto da tutti i discendenti fino al giorno d’oggi e presente anche con le varianti Capelatto e Capelato. Angelo cominciò a lavorare in città come contadino e lattaio e con i risparmi, sempre in quel periodo, acquistò un appezzamento di terreno, dove avviò la sua prima attività, una fabbrica di ceramica.

Jardineiras della ditta Capelato negli anni ’50

Negli anni ’20 acquistò un camion, iniziò a trasportare i contadini e i loro attrezzi da Valinhos a Campinas, e viceversa, e nello stesso decennio acquistò una Jardineira, (le Jardineiras, costruite col motore di un camion, furono i primi modelli di “autobus” a circolare in Brasile); dopo quest’ultimo acquisto fondò la “Empresa de Ônibus Capelato”, azienda pioniera nel trasporto pubblico a Valinhos.
L’inizio fu difficile; secondo i resoconti della famiglia, infatti, a causa della guerra, negli anni ’40 questi veicoli erano alimentati a gasogeno, un prodotto ottenuto dalla combustione di legna bruciata, ma in seguito con molto sforzo e l’aiuto dei figli l’azienda crebbe, all’inizio con un solo veicolo, poi con due, fino ad arrivare a 10. Il tragitto delle jardineiras era la vecchia strada di Campinas e i Valinhenses che dovevano studiare, andare in ospedale, oppure recarsi al lavoro a Campinas, facevano il percorso con questi veicoli; ancora oggi molti si ricordano delle vecchie jardineiras Capelato. Col tempo, e l’arrivo in Brasile di veri e propri autobus, la Capelato ha sostituito la sua flotta con dei veri autobus, effettuando diverse linee attraverso le città e i quartieri di Valinhos, Campinas, Louveira, Vinhedo, Joaquim Egidio e Souzas.

Gli ultimi anni

Dipinto di Angelo Capellato degli anni ’40

Angelo era un uomo severo ma giusto, molto affettuoso con i suoi nipoti. Si raccontava che quando li vedeva, prendeva sempre una monetina dalla tasca e la dava a loro perché si comprassero delle caramelle. Aveva dei baffi lunghissimi, di cui era molto orgoglioso e che erano la sua particolarità, non permettendo a nessuno di tagliarglieli. Vedovo dal 1938, negli ultimi anni della sua vita, era usuale trovarlo seduto sulla sedia a dondolo, nel cortile sul retro della sua casa. Morì il 7 dicembre 1951, nella sua casa in Avenida Independência a Valinhos.

L’attività

Per molti anni i Capellato trasportarono i Valinhenses, facendo parte della loro storia e della città; ancora oggi i loro nipoti e pronipoti con le rispettive aziende di trasporto continuano l’attività iniziata da Angelo. A Valinhos, c’è una via intitolata “Rua Angelo Capellato” e anche altre vie che portano i nomi di figli, nipoti e pronipoti in onore al lavoro svolto da Angelo e dai suoi discendenti.

Ringraziamenti

Vorrei ringraziare i miei familiari brasiliani e italiani, per le storie raccontate nel corso degli anni e per le foto, la mia amica Elena, gli amici della APHV (Associação de Preservação Historica de Valinhos), gli amici Ulisses Lo Porto e il professore Gersio Pellegatti, il sito familysearch, gli amici del gruppo “Amici della genealogia”, il sito tuttogenealogia.it e il Portale Antenati per l’opportunità di poter scrivere questo testo sulla mia ricerca e anche per il meraviglioso progetto, grazie al quale sono riuscito a trovare anche l’atto di nascita di Luigi Lazzarin, nonno materno di Angelo, nato nel lontanissimo 1813, ed infine i miei più sentiti ringraziamenti a tutti coloro che mi hanno aiutato nelle mie ricerche.

Matrimonio di Candido Landri e Maria Raffaela Amorell nel 14 ottobre 1886

A casa era qui …
Dove? Lo cerco e non lo trovo.
Sento una voce che ho dimenticato:
È la voce di questo stesso flusso.

Ah, quanto tempo è passato
(Oltre cinquant’anni)
Così tanti che la morte ha preso!
(E una vita … in incomprensioni …)

L’usura ha reso il bordo poco profondo
Dalla vecchia fattoria triste:
La casa non esiste più …

– Ma il ragazzo esiste ancora.

(Manuel Bandeira)

Candeloro Luigi Francesco Landri (in Brasile adottò il nome di Candido Landri) e Maria Raffaela Amorell si sposarono il 14 ottobre 1886 a San Nicola, in Centola e si trasferirono in Brasile a Rio de Janeiro, nel 1887, all’età di 30 anni. Arrivarono ad Alfenas, Minas Gerais, e lì presero dimora.

Fattoria di Candido Landri e Maria Raffaela Amorelli nel 1900

Candido, figlio di Vincenzo Landri e Antonia D’Amore, nacque il 02/02/1858. Proveniva dalla Campania, in provincia di Salerno, Corpo di Cava che fa parte del comune di Cava de’ Tirreni, in Costiera amalfitana, un luogo bellissimo, noto come “Divina costiera”. I suoi fratelli erano Alfonso Giovanni, Maddalena, Carmela Lucia Concetta, Domenico, Lucia, Maria e Maria Immacolata Pia.

Maria Raffaela, figlia di Fedele Amorelli e Rachele Tomei, nacque il 25/10/1858. Proveniva da San Nicola, che appartiene al comune di Centola, in provincia di Salerno, sempre nella regione Campania. Anche lei ebbe diversi fratelli: Ignacio (in Brasile aveva  adottato il nome di Vicente Amorelli), Francesco (in Brasile, ha adottato il nome Antonio Amorelli), Maria Teresa, Maria Giuseppa Filomena e Maria Sabatina Domenica.

Magazzino di Candido Landri nel 1918

La coppia prese residenza in una fattoria posta tra le strade Bias Fortes e Oswaldo Cruz (attuale Pedro Silveira) fino a João Paulino Damasceno, dove coltivarono molti alberi da frutto, principalmente alberi di mango, frutti che furono commercializzati da Raffaella. Inoltre allevavano polli e anatre. In un’altra proprietà, tra le strade José Dias Barroso e Manoel Pedro Rodrigues, coltivavano banane, caffè e noccioline. Per aiutare la famiglia, Candido produceva vasi di rame e lampade, che la sua affettuosa moglie vendeva in città. Di fronte al palazzo, dove vivevano, c’erano alcune stanze che venivano affittate come bottega di barbiere e sartoria. Appena arrivati, fecero amicizia con i loro connazionali e vicini: le famiglie Paraizo e Tamburini. Condussero una vita sobria e molto corretta. Candido adorava leggere e non vedeva l’ora che arrivasse un giornale dell’epoca, “A Noite”.  Per tutta la vita hanno avuto una governante, Nazaré, considerata un membro della famiglia. Furono una coppia molto felice, che viveva in perfetta armonia e dalla loro unione nacquero diversi figli: Vicente, il maggiore, Maria Angelina, João, Antonia, Maria, Pedro.

Candido morì il 23 dicembre 1939, all’età di 81 anni, e Raffaela il 15 settembre 1945, all’età di 87 anni.

Ritratto di Rocco Galluccio

Si chiamava Rocco… in omaggio al santo patrono della sua città; la sua vita si confonde con la storia del suo paese; nacque in un periodo turbolento, periodo in cui il Sud Italia fu annesso con la forza al Nord. In seguito tutto fu povertà, fame, sofferenza. Perse inoltre i genitori quando era molto giovane. Un giorno dissero a quel povero giovane che c’era una speranza dall’altra parte dell’oceano… terra di ricchezza e abbondanza. Non ebbe dubbi: raccolse le sue poche cose e si lanciò in una avventura senza ritorno; nel 1885 si lasciò alle spalle il suo paesino e la sua amata Italia, insieme a milioni di suoi connazionali; la nave si chiamava “Europa”, l’Europa che mai avrebbe rivisto.
“Trenta sei giorni di macchina e vapore… e in America noi siamo arrivati…” come dice la canzone: porto di Santos, San Paolo, Brasile… una babele di razze e di lingue… “dove andrò? Che mi riserva il futuro?” questo sicuramente pensava il giovane italiano in terra straniera… non immaginava che la vita gli stava già preparando il futuro: nella persona della dolce Rita, nipote dei baroni del caffè, in bancarotta a causa dell’abolizione della schiavitù.

Atto di nascita di Rocco Galluccio nel 1859

Non sappiamo quando Rocco e Rita si incontrarono, si videro, si innamorarono… il povero straniero e la baronessa povera… si sposarono a Piracicaba, San Paolo… e vennero i figli, i nipoti, i bisnipoti… vite che ora sono intrecciate con il nuovo paese.
Rocco lasciò l’Italia, ma l’Italia non lo lasciò; la portò nel cuore e riuscì a trasmettere questo suo amore ai suoi discendenti; oggi non è più un illustre sconosciuto, grazie al Portale Antenati sono stato in grado di riallacciare i legami che si erano persi. La piccola Cesinali, in provincia di Avellino, era appena un punto sulla carta geografica; oggi è un punto nel mio cuore; non permetta Dio che io muoia senza tornare da te, piccola Cesinali, terra del mio amato bisnonno Rocco Galluccio!

Passaporto del 1922 del trisnonno Antonio Natale Crescenzio

Mi chiamo Allan Pietri, sono brasiliano e sono pronipote di Arturo Pietri e Emma Crescenzio; da 7 anni faccio ricerche sui miei avi e sulle loro origini, spinto dalla curiosità e dall’amore che nutro verso la loro storia.

Voglio fare i miei ringraziamenti ai miei familiari che mi hanno raccontato tutte queste splendide storie, alla mia amica Elena, che mi ha aiutato tantissimo con i documenti, ai miei amici di Cinto Euganeo, al portale Antenati, dove ho trovato gli atti di nascita/morte della famiglia Gallo, agli amici ed utenti del sito tuttogenealogia.it e del gruppo Facebook Amici della Genealogia, al Museu da Imigração de São Paulo, dove ho trovato le liste di sbarchi del 1898 e 1922, in cui compaiono i nomi di miei bisnonni e dei trisnonni, ai parroci che mi hanno risposto con le informazioni e i documenti necessari per la mia ricerca, al sito Familysearch, ai discendenti di Isidoro Crescenzio, fratello del mio trisnonno Antonio, insomma a tutti coloro che mi hanno aiutato in qualche modo con documenti e informazioni, faccio i miei più sinceri ringraziamenti.

I Crescenzio e il Brasile:

Era un giovedì, il 13 dicembre 1921, quando la famiglia Crescenzio diede addio alla propria Patria, ai parenti e agli amici per imbarcarsi definitivamente verso il Brasile.

La famiglia viaggiò a bordo del vapore Garibaldi e arrivò a Santos, città dello Stato di São Paulo il 1 gennaio 1922. Erano in 5:

I genitori:

Antonio Natale Crescenzio, 50 anni

Maria Luigia Cappello, 46 anni

I figli:

Pietro Luigi Crescenzio, 24 anni

Emma Crescenzio, 21 anni *la mia bisnonna*

Lino Romano Crescenzio, 11 anni

 Sul vapore c’erano anche:

Arturo Pietri,  23 anni *il mio bisnonno*

(futuro marito di Emma Crescenzio)

Elsa Giuditta Garbin, 20 anni

(sposa di Pietro Luigi Crescenzio)

Maria Luigia Cappello (1875-1952)

Non era la prima volta che la famiglia Crescenzio emigrava in Brasile: infatti, 24 anni prima Antonio Crescenzio e Maria Luigia Cappello erano arrivati per la prima volta in Brasile con il piccolo Pietro Luigi di 3 mesi, raggiungendo Santos il 13 gennaio 1898 a bordo del vapore Minas, e all’epoca erano andati a vivere a São Simão, São Paulo.

Il 26 agosto 1900 a São Simão, São Paulo, nacque la seconda figlia di Antonio Crescenzio e Maria Luigia Cappello, alla quale venne dato nome Emma, e nel 1901/1902 la famiglia decise di ritornare in Italia. Non conosciamo la data esatta né il motivo del ritorno, però abbiamo scoperto un documento del dicembre 1902, un atto di morte di una cognata di Antonio Crescenzio, nel quale Antonio risultava testimone: da ciò possiamo dedurre che si trovavano già in Italia in quel periodo.

Arturo Pietri (1898-1968)

Arturo Pietri, il mio bisnonno:

Arturo Pietri è nato nella Frazione Voltabarozzo, Padova, il 29 giugno 1898, figlio di genitori ignoti, il cognome Pietri gli è stato imposto perché è nato nel giorno di San Pietro. Della sua famiglia biologica sappiamo veramente pochissimo: Arturo fu mandato all’Istituto degli esposti di Padova e poi affidato alla coppia Pasquale Ravarotto  (di Cinto Euganeo ) e Costantina Destro il 18 agosto 1898. Da adulto Arturo partecipò alla prima guerra mondiale e venne fatto prigioniero di guerra per un anno (1917-1918); dopo la fine della guerra si stabilì a Villa Estense.

Secondo le storie tramandate in famiglia, il bisnonno Arturo conobbe bisnonna Emma Crescenzio mentre erano a bordo del vapore Garibaldi verso il Brasile e si innamorarono. In seguito si sposarono a Nova Europa, São Paulo, il 13 maggio 1922, ebbero 5 figli ed andarono a vivere ad Ipiranga, São Paulo.

Vissero gli ultimi anni della loro vita a São Bernardo do Campo, São Paulo e furono sepolti nel cimitero di São Bernardo do Campo.

I bisnonni Emma Crescenzio (1900-1971) e Arturo Pietri (1898-1968)

Sull’origine degli avi dei Crescenzio:

Gli avi dei Crescenzio sono nati e vissuti nei Colli Euganei, più precisamente a Valnogaredo di Cinto Euganeo. Alcuni  nacquero e lavorarono anche nei comuni limitrofi come Lozzo Atestino, Este, Ospedaletto Euganeo, Vó, Monselice e tanti altri, prestando servizio come mandriani, contadini o villici, com’erano descritti nei registri parrocchiali antichi.

Di seguito un piccolo e breve riassunto di ciò che abbiamo scoperto su di loro:

Antonio Natale Crescenzio (1871) era figlio di Giovanni Crescenzio (1842 – nato a Lozzo Atestino) e Firma Caffeo (1842~); Giovanni Crescenzio era figlio di Antonio Crescenzio (1807) e Anna Gallo (1808).

Anna Gallo (1808) a sua volta era figlia di Agostino Gallo detto Scolpin e Caterina Beggiato; Agostino Gallo detto Scolpin (1773 – nato a Lozzo Atestino) era figlio di Valentino Gallo detto Scolpin (1735) e Maria Bertolle (1749~); Valentino Gallo detto Scolpin (1735) era figlio di Francesco Gallo detto Scolpin (1708 – di Cortella, Vó) e Antonia Mutta (1709).

Antonia Mutta (1709) a sua volta era figlia di Francesco Mutta (1674) e Elisabetta Ongaro (1679~), e  finalmente Francesco Mutta era figlio di Zuane Mutta e Antonia.

I bisnonni Emma Crescenzio (1900-1971) e Arturo Pietri (1898-1968) – Anni 60

Il mio antenato più lontano, di cui si conoscono con precisione la data ed il luogo di nascita, si chiamava Francesco Mutta e nacque il 6 maggio 1674 a Valnogaredo di Cinto Euganeo,  venne battezzato il 13 maggio 1674; i suoi genitori si chiamavano Zuane Mutta e Antonia.

Grazie all’aiuto di tanti amici e dei siti come il Portale Antenati, sono riuscito a conoscere le origini di miei avi e le loro gesta,  sono riuscito anche a trovare i discendenti viventi dei fratelli del mio trisnonno Antonio Natale Crescenzio, dopo quasi 95 anni dalla sua partenza per il Brasile.

C’è ancora molta strada da fare, soprattutto per quanto riguarda l’altra parte della famiglia, ma grazie a questa ricerca ho conosciuto molte persone meravigliose che condividono la mia stessa passione per la genealogia.

Antonio Fioravante Frega, Francesco Saverio Guido e Francesco Pugliese

All’inizio del secolo scorso, Angelo Frega, mio nonno, appena arrivato a Rio de Janeiro da San Basile, in provincia di Cosenza, nel sud Italia, aprì una fabbrica di scarpe.
I primi tempi non furono facili per lui e la sua famiglia, perché poco tempo dopo l’emigrazione e l’arrivo in Brasile scoppiò la Prima Guerra Mondiale. Angelo fu costretto a tornare a San Basile con tutta la famiglia, rispondendo alla chiamata del Governo Italiano, che, quando il paese entrò in guerra, chiese ai suoi cittadini emigrati di rientrare.
Questa chiamata all’epoca era conosciuta come “Italia chiama Italia” e molti italiani rientrarono da tutto il mondo, sotto la minaccia della perdita di cittadinanza, secondo quanto il Governo italiano aveva proclamato entrando in guerra. Soprattutto quelli, come Angelo, a cui un giorno sarebbe piaciuto godersi la pensione al dolce sole della Calabria.

Angelo Frega riprese i suoi piani dopo la guerra, quando tornò a Rio de Janeiro, secondo quanto aveva stabilito: “meglio lasciare la famiglia a San Basile, vicino a parenti e amici. Andrò più veloce da solo, secondo i miei piani, a Rio de Janeiro e la famiglia potrà venire più tardi, quando tutto sarà stato organizzato!”
“Costruiremo i nuovi impianti e produrremo scarpe con macchine moderne, in un capannone vicino alla nostra vecchia casa a Rio.”
“Perché non in Via Maresciallo Bitencourt, 11? C’è un ottimo capannone che possiamo trasformare velocemente nella fabbrica di cui abbiamo bisogno! Inoltre Francesco Pugliese, giovane nipote, è la persona giusta, che chiunque vorrebbe avere a fianco per riuscire a fare quello che vuole.”
Ma tutto questo non era abbastanza! Servivano anche dei compagni di San Basile che sapessero fare scarpe di qualità e anche insegnare ad alcuni bravi ragazzi di Rio, che erano stati selezionati per lavorare in fabbrica.
“Quando i nostri amici arriveranno, ai funzionari dell’immigrazione che chiedono dove abiteranno a Rio, dovranno solo dire: “Maresciallo Bitencourt, 11”. In fin dei conti sembra un indirizzo importante!”

La famiglia Bellizzi

Durante i primi anni la fabbrica fu avviata e la famiglia potè tornare in Brasile, lasciando San Basile dopo aver atteso per lunghi anni questa buona notizia.
Antonio, mio padre, era allora un bambino di 7 anni, nato poco prima che la famiglia tornasse da Rio a San Basile, nel 1914. Era il piccolo Antonio o “o Chicandó”, come lo chiamava mia nonna Teresa. Quando arrivò in Brasile parlava solo l’Albanese che aveva imparato nella piccola San Basile, fondata da immigrati albanesi nel XV secolo.
Da un’infanzia trascorsa felicemente a San Basile, nonostante l’assenza di mio nonno Angelo, Antonio portò con sé per tutta la vita un po’ di accento e la nostalgia del Monte Pollino e delle montagne calabresi.

La casa di Rio de Janeiro doveva essere abbastanza grande da ospitare tutta la famiglia, ma anche da accogliere i compagni provenienti da San Basile per lavorare e aiutare nella fabbrica di scarpe.
“Costruiamo un annesso sul retro della casa, per ospitare i nostri amici calabresi finché non potranno reggersi sulle proprie gambe e trovare un posto dove stare a Rio de Janeiro.”
Fu lì, nei sobborghi di Rio de Janeiro, che nacque la rinomata “Ambasciata della Calabria”, in cui vissero diversi immigrati di San Basile durante i loro primi giorni in Brasile.
“Se la casa è piena, Francesco può aiutare con la sua, dal momento che sua moglie Maria è rimasta al sicuro in Calabria durante questo primo periodo di Francesco in Brasile. In fin dei conti, il lavoro in fabbrica è duro, ma la vita a Rio de Janeiro è buona e gioiosa…”

Angelo Frega non si sentiva bene quella mattina del 4 luglio 1929, ma doveva andare in centro a Rio per risolvere alcune questioni della fabbrica di scarpe. Ci stava mettendo troppo tempo a tornare a casa e, purtroppo, un amico portò la triste notizia che Angelo era morto di una malattia improvvisa, mentre camminava in una strada nel centro di Rio.
Antonio, mio padre, aveva allora 15 anni e rimase scioccato: per tutta la vita si è portato dietro la paura di una morte in pubblico, come era successo a suo padre Angelo.

“Bene e ora? Come risolvere il problema di mantenere la famiglia dopo la morte di Angelo, con il figlio maggiore di appena 18 anni e tutti ancora studenti?”
“Facciamo così”, propose Francesco,“ Angelo era il mio socio e negli ultimi anni abbiamo condiviso la gestione della fabbrica che lui ha creato. Ora che non c’è più, la dirigerò da solo e ogni mese darò la sua quota alla sua famiglia, fino a quando i ragazzi saranno cresciuti e avranno deciso cosa vogliono fare o essere nella vita, e le sue figlie saranno sistemate.”
“Tu, Teresa, puoi aiutare a mantenere viva l’Ambasciata Calabrese, per aiutare i compagni di San Basile, anche se vengono a Rio per fare altri lavori. Dopotutto, la situazione nella nostra Italia non è facile e alcuni dicono che nei prossimi tempi potrebbe anche peggiorare.”

Carta di immigrazione del Consolato brasiliano a Napoli di Francesco Pugliese

È andata così. Dopo la morte di Angelo Francesco è diventato il protettore della famiglia Frega. Permettendo ai ragazzi di finire la scuola e di diventare dei professionisti (tra cui un avvocato) e alle ragazze di sposarsi con bravi ragazzi.
Giovanni Frega (João Fraga), il mio zio più vecchio, in seguito per tutta la vita è stato “Ambasciatore della Calabria”, soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando diversi amici della seconda generazione di immigrati di San Basile hanno dovuto lasciare l’Italia alla ricerca di tempi e opportunità migliori. Alcuni per lavorare nella fabbrica di scarpe, altri per avviare un’attività, o semplicemente per lavorare in Brasile.

Negli anni ’60, dopo diversi anni alla guida della fabbrica, i concorrenti diventarono troppo grandi per andare avanti. Francesco decise di chiudere, chiese a sua moglie Maria, che lo aveva aspettato per molti anni, di raggiungerlo in Brasile, e decise di andare in pensione. Qualche tempo dopo l’arrivo di Maria, decisero di tornare a San Basile.
Sapevamo che quella era l’ultima volta che vedevamo Francesco e l’addio nel porto di Rio de Janeiro, mentre lo guardavamo camminare sul ponte di imbarco della nave, fu triste e pieno di lacrime, come sempre accade nelle famiglie italiane.

Alcuni anni più tardi, senza più mio padre e i miei zii, morti nel frattempo, ho potuto visitare San Basile e vedere la foto di Francesco Pugliese sulla sua tomba, guidato da uno dei compagni di San Basile che era stato ospitato nella vecchia “Ambasciata di Calabria” a Rio de Janeiro.

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