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Portale Antenati

Gli Archivi per la Ricerca Anagrafica
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HomeStorie di famigliaRoma

Località: Roma

Il territorio di Prato alla metà del 1500.

Periodo Pratese tra la prima metà del 1500 alla prima metà del 1700
I libri dei battesimi cinquecenteschi di S. Pietro a Iolo fanno supporre che il ceppo primigenio dei Bettazzi, fosse collocato nella località Casale da cui si espanse nel territorio delimitato in rosso. Nelle prime generazioni, i nomi ricorrenti erano Bartolomeo e Bernardo in due linee separate, ma ambedue convergenti a Casale. Il mio capostipite è Bartolomeo Bettazzi nato intorno al 1530. Il figlio Alessandro, che ebbe Domenico lo troviamo a Vergaio . Antonio figlio di Domenico si trasferì a Montemurlo e sposò Maria Cirri, Il loro figlio Bartolomeo sopravvisse alla epidemia di peste del 1620. Giovanni, figlio di Bartolomeo sposa Margareta Filippi di S. Giusto Piazzanese. La famiglia nel 1683 è presente a Galciana e dal 1700 a S. Maria in Capezzana. Giovanni probabilmente non era contadino avendo affittato “una casa con villa” come riportato dallo stato delle anime del 1698. Intorno al 1700 i Bettazzi del contado furono ammessi alla cittadinanza Pratese e quindi potevano aspirare a cariche pubbliche. Luigi, figlio di Giovanni si trasferì, intorno al 1720 in S. Giusto in Piazzanese. Pellegrino di Luigi, forse al seguito di qualche nobile, si trasferì a Siena tra il 1740 ed il 1760.

Periodo senese dalla prima metà del 1700 al 1850
Pellegrino è il primo Bettazzi che sicuramente è vissuto in Siena dal 1764 come attesta la registrazione del battesimo della figlia M. Francesca. Lo stesso documento riporta la cittadinanza Pratese di Pellegrino permettendomi di risalire al periodo pratese. Pellegrino aveva un congiunto, probabilmente coetaneo, di nome Bernardo che rinchiuse Teresa, figlia naturale, nel convento della Madonna in Siena facendole prendere i voti religiosi. Nel 1767 la professione dichiarata di Pellegrino era servitore e cuoco ma successivamente diventa carajolo (fabbricante di carri). La moglie, Giovanna Masi è indicata come incannatrice di seta e filatrice a rocca. La prima residenza senese fu nella pieve di S. Giovanni Battista, successivamente in S. Martino. Nel 1790 scoppia la Rivoluzione Francese ed in seguito le guerre napoleoniche. In questo periodo la famiglia doveva aver raggiunto uno stato di benessere poiché nei primi anni del 1800 acquistò una casa in Via Costa dell’Abbadia. Giovanni di Pellegrino segue la professione del padre, sposa Maria Annunziata Baldesi di professione calzettaia. La famiglia Baldesi doveva appartenere all’alta borghesia senese poichè i nobili Orazio e Ferdinando Ballati Nerli, Flavio Chigi e Ansano Zondadari furono padrini di battesimo del padre e degli zii. Pirro, ultimo nato della coppia, prosegue la professione di carrozzaio, sposa Caterina Bruni, tessitrice di panni.

Da Siena a Livorno
Giovanni figlio di Pirro, Inizia a fare il carajolo, poi entra nelle Ferrovie come manovale successivamente manutentore ed infine impiegato e pensionato. Si sposa, con la senese Adele Vannini di professione tessitrice. Probabilmente per lavoro a Livorno, tra il 1886 ed il 1888, Giovanni si innamora ed è ricambiato dalla livornese Maria Luisa Berzolese (Versolesi). Maria Luisa aveva sposato, in gioventù, Egisto di professione vetturino. Le cose non dovevano andare bene se Egisto emigrò in Francia dal 1885 al 1887.

Gli anni del periodo di Bagni di Lucca

Da Livorno a Roma e la nascita dei Vessi
Nel 1888 Giovanni e Maria Luisa sono a Roma. Nel 1889 nasce Guido, che non possono riconoscere essendo conviventi, per cui gli impongono il cognome di Vessi e lo adottano. Nel 1892, sempre a Roma hanno un altro figlio Armando. Nel 1893 viene inaugurata la stazione ferroviaria di Bagni di Lucca dove Giovanni si trasferirà con la nuova famiglia e presterà servizio per diversi anni (foto 2). A Livorno Egisto ha una compagna da cui nasce una figlia. Volendo emigrare, con la compagna e la figlia, deve riconoscerla. I rapporti tra i Maria Luisa ed Egisto devono essere stati civili poiché Maria Luisa riconosce come sua la figlia di Egisto e gliela affida. Nel 1894 Egisto è in Brasile, alle immigrazione dichiarò di essere celibe ma muore pochi anni dopo. Essendo celibe non viene comunicata la morte al Consolato italiano per cui Maria Luisa non seppe mai di essere diventata vedova. Nel 1906 la famiglia è a Roma dove Guido fa il servizio di leva. Richiamato nella guerra 1915-1918 lavora nelle retrovie nel genio automobilistico. Nel 1909 Guido sposa Marianna Di Pietropoaolo che muore nel 1913. Poco prima della fine della I guerra mondiale Guido sposa Zaira de Dominicis. Nei primi anni ‘20 Guido apre una officina di riparazione di motori diesel. Successivamente amplia la propria attività in altri settori. Guido e Zaira non avendo figli si prendono cura di Lidia, nipote di Zaira, rimasta orfana. Lidia avrà un figlio Guido che gestirà un chiosco di fiori sul lungotevere, verrà assassinato ed il corpo gettato nel Tevere. Ignoti gli esecutori ed il movente. Nel 1943 Guido Vessi si innamora, e poi sposerà la fidentina Bice Mambriani che abitava nella “porta accanto”. Guido e Bice sono i miei genitori.

Ringraziamenti
Gli archivi online del Portale Antenati del Ministro cultura
Elena Bertelli, Ezio Papa – Stato Civile Comune di Livorno
Don Aldo Lettieri, Daniela Liberatori – Archivio arcivescovile di Siena
Orlando Papei – Il palio.org
Filippo Pozzi – Stato civile Comune di Siena
Claudio Bartalozzi – Archivio storico comune di Siena
Virginia Barni – Archivio di Stato di Prato
Monica Cecchi – Archivio vescovile di Prato
Don Claudio Ticconi – Parrocchia S Matteo in Nave di Lucca
Carlotta Lenzi – Archivio Vescovile di Pistoia

Stemma della famiglia Patrizi di Bellegra

La mia famiglia materna è quella dei Patrizi di Bellegra. Io da laureato in Teologia (S.T.B.) e studente in diritto canonico ero interessato ad approfondire la storia degli ecclesiastici della casa ed a seguito di una serie di ricerche storiche presso le seguenti fonti:

Archivio dell’Abbazia Territoriale di Subiaco Archivio Segreto Vaticano
Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede
Archivio di Stato di Roma – sede di Sant’Ivo alla Sapienza
Archivio Segreto Vaticano
Archivio Storico Diocesano di Palestrina
Archivio Storico Diocesano di Roma

ho scoperto che era stato proprio il clero ad elevare una famiglia di retaggio contadino.
Il portale Antenati – Gli Archivi per la Ricerca Anagrafica è stato fondamentale per il reperimento dei dati anagrafici, in modo da studiare, attraverso gli atti di nascita, matrimonio e morte, le date, le parentele e le professioni degli avi. Principalmente contadini o possidenti, solitamente con molti figli, dei quali almeno uno per generazione era destinato alla carriera ecclesiastica, questo anche per mantenere un antico beneficio giuspatronato, poi dissoltosi con l’unità d’Italia.

La famiglia Patrizi di Civitella, poi Bellegra dal 1881, si stabilì nel feudo dell’Abbazia di Subiaco dalla prima metà del Seicento con Lorenzo (morto nel 1650 ca.) e poi suo figlio Benedetto.
Dal XVIII secolo i Patrizi erano agricoltori, i cui beni vennero accresciuti nel 1719, con il beneficio giuspatronato ecclesiastico sotto il titolo di Santa Maria della Pace, fondato da un parente, tal Francesco Pesce, e del quale la famiglia era titolare per concessione dell’abate commendatario di Subiaco. Il beneficio obbligava a quaranta messe annue in suffragio del fondatore e garantiva al titolare una casa di sette vani e tre ampi rigogliosi appezzamenti in Civitella e dintorni.
Il primo titolare fu l’arciprete don Piacentino Patrizi (nato a Civitella nel 1705). A seguire don Lorenzo Patrizi (Civitella 1762 – Roma 1842), figlio di Sebastiano Patrizi e Antonietta Cappella. Studente del Seminario di Subiaco, dopo il chiericato si trasferì a Roma per seguire i corsi di diritto all’archiginnasio della Sapienza e iniziare il praticantato legale. Nel 1789 venne ordinato presbitero. Assunto presso il Sant’Uffizio, visse le invasioni francesi di Roma del 1798 e del 1808 ove erano stati soppressi gli Stati della Chiesa, devastate le Congregazioni Romane e deportati a Parigi gli archivi della Santa Sede. Divenuto archivista del Sant’Uffizio, don Lorenzo riorganizzò con grande sforzo l’archivio. Grazie all’operato di Mons. Marino Marini, delegato pontificio a Parigi, i documenti vennero progressivamente restituiti all’Apostolica Sede. Don Lorenzo gestiva il beneficio giuspatronato di famiglia da Roma, mediante disposizioni ai famigliari e al clero di Civitella. Con lui, i terreni crebbero e diedero frutto, arricchendo sia la famiglia Patrizi che l’Abbazia di Subiaco. Si spense dopo quasi cinquant’anni di ininterrotto servizio alla Curia Romana.

Il can. Nazareno Patrizi (in piedi a sn) e Mons. Gyula Zichy (seduto) in ablegazione, Praga 1901

Il beneficio, dunque, passò al nipote don Giuseppe Patrizi (Civitella 1809 – Roma 1846), presbitero dal 1832, anch’egli si era trasferito a Roma per studiare diritto canonico e svolgere l’incarico di maestro di camera del card. Angelo Mai. L’archiginnasio della Sapienza gli conferì la laurea ad honorem e la docenza in diritto canonico nel 1841, ma morì a 36 anni.
Nel 1848 suo nipote Pietro Patrizi (Civitella 1832 – Bellegra 1900) ereditò il titolo del beneficio, che gli rese possibile il pagamento del seminario e l’ordinazione presbiterale, nel 1857. Don Pietro, come i suoi avi, prese la strada di Roma e del diritto canonico. Sotto il pontificato di Pio IX e Leone XIII fu avvocato della Curia Romana, minutante della Congregazione del Concilio e cameriere d’onore di Sua Santità. Dopo il 1870 e la presa di Roma, provò a mantenere intatto il beneficio giuspatronato dalle leggi sulla liquidazione dell’asse ecclesiastico; ciononostante il beneficio venne confiscato e immesso nel demanio statale nel 1881.
Oltre all’impegno di curia, l’importanza di Mons. Pietro si deve all’interessamento che ebbe verso il nipote Nazareno, anch’egli avviato alla carriera ecclesiastica, ma stavolta senza l’ausilio del beneficio né di alcun altro patrimonio. Mons. Nazareno Patrizi (Paliano 1866 – Roma 1958) svolse il seminario minore a Palestrina, sussidiato dal card. Antonio Saverio de Luca e, dispensato dal seminario minore, studiò con lo zio don Pietro, nel domicilio romano di quest’ultimo.

Il chierico Nazareno seguì i corsi di Teologia alla Gregoriana e di utroque iure all’archiginnasio della Sapienza, laureandosi nel 1895. Nel 1897 e nel 1901 fu segretario di ablegazione presso le corti spagnole ed austro-ungariche, riportando il cavalierato di Isabella di Cattolica e l’onorificenza di ufficiale dell’ordine imperiale di Francesco Giuseppe I. Era, inoltre, canonico della cappella papale dei Ss. Celso e Giuliano dal 1899. Pio X lo annoverò tra i suoi cappellani segreti d’onore nel 1903 e lo incaricò di pubblicare, nel 1905, il volume “La dotazione imprescrittibile e la legge delle guarentigie”. Nel 1909 divenne avvocato rotale.
Abile diplomatico e conoscitore del francese e dello spagnolo, era incaricato d’affari dei vescovi argentini. Il suo amico di gioventù Benedetto XV, al secolo Giacomo della Chiesa, gli propose la nunziatura apostolica del Cile, nel 1914. Mons. Nazareno rinunciò, rimanendo a svolgere il proprio ministero a Roma, quale avvocato rotale e cappellano segreto di Sua Santità. Nel 1919, per Benedetto XV, scrisse un poemetto dal titolo A Benedetto XV nella sua festa onomastica del 25 luglio 1919.
A Bellegra fondò la Congregazione della Ss.ma Addolorata, un culto che egli istituì nella cappella di Santa Lucia, oratorio privato della famiglia Patrizi, associandolo alla Pia Unione Primaria del Ss.mo Crocifisso di San Marcello al Corso. Restaurò le cappelle dei Santi Francesco e Tommaso da Cori e coadiuvò, nell’agosto 1929, i festeggiamenti per il bicentenario della morte di Tommaso da Cori, presso il convento di S. Francesco, cui dedicò la lirica Sacro Ritiro Francescano. Nel 1933 partecipò come giudice (testis rogatus) al Sinodo Diocesano. Pio XII lo elevò al rango di cameriere segreto nel 1939 e di prelato domestico nel 1941.

Costanzo Patrizi, Fiume 7 novembre 1919

Nel 1951, Mons. Nazareno Patrizi diede alle stampe la sua ultima pubblicazione: Il mese di giugno ad onore del Sacro Cuore. Il suo animo poetico si concluse, invece, con il componimento Vecchie memorie, pubblicato postumo.
Oltre agli ecclesiastici, nei primi anni del Novecento un ramo della famiglia, con a capo Vincenzo Patrizi, si stabilì a Roma, per motivi lavorativi. Vincenzo Patrizi (Civitella 1871 – Roma 1918) morì a causa dell’epidemia di “spagnola”. Suo figlio, Costanzo Patrizi (Bellegra 1898 – Roma 1971), era soldato di leva di prima categoria (matr. 23716) dal 16 marzo 1917, nel Primo Reggimento Artiglieria da Montagna; disertò dal Regio Esercito il 17 settembre 1919, perché arruolatosi nelle Legioni Fiumane. Riportò la medaglia di cavaliere dell’Ordine di Vittorio Veneto e la medaglia commemorativa della marcia di Ronchi. Successivamente fu impiegato dell’INA e fondò la Cassa Rurale e Artigiana di Bellegra. Suo figlio primogenito, Sergio Patrizi (Bellegra 1924 – Roma 1999), commendatore al merito della Repubblica Italiana, era segretario superiore di prima classe, impiegato presso il Ministero dei Trasporti italiano. Lo stesso Sergio si era formato al seminario minore di Subiaco, ma decise di non proseguire verso il presbiterato.

Il risultato della ricerca si è dimostrato ricco di materiale storicamente sì interessante quanto, finora, inesplorato ed ha condotto alle seguenti pubblicazioni:

D. Bracale, Mons. Nazareno Patrizi. Da Bellegra alla Corte Pontificia. Con Excursus: Araldica di Bellegra e pubblicazione dei componimenti di Mons. Nazareno Patrizi A Benedetto XV nella sua festa onomastica del 25 luglio 1919 e Sacro Ritiro Francescano, Roma 2020, isbn 979-12-200-6224-4.

D. Bracale, Patrizi di Bellegra. Presbiteri al servizio della Curia Romana dal XVIII al XX secolo, seconda edizione, Roma 2020, isbn 979-12-200-6279-4.

D. Bracale, Vecchie memorie. Album di figure e luoghi di Bellegra. Con pubblicazione del componimento inedito di Mons. Nazareno Patrizi: Vecchie memorie, Roma 2020, isbn 979-12-200-6611-2.

Ricostruzione dettagliata, realizzata dal mons. Corrado, dell’albero genealogico dei discendenti della famiglia Pizziolo

Non solo ritrovarsi in tanti, ma anche vivere in un castello per tre giorni un’esperienza assolutamente unica e bella di cui conservare con amore e stupore il ricordo e che è stata possibile grazie alle ricerche genealogiche iniziate sul sito degli Antenati e proseguite nelle parrocchie

“Mi posso accontentare?
Non so, vorrei vedere gli archivi di Scandolara del 1700, magari c’è qualche altra sorpresa!”

Avevo finito così il mio racconto precedente.
In attesa di nuove scoperte, nel frattempo a settembre 2018, abbiamo organizzato un piccolo incontro tra cugini conosciuti e cugini nuovi. Non eravamo molti, una quindicina, ma credo che ci sia stata emozione da parte di tutti! Qualcuno lo conoscevo già, qualcuno erano più di 50 anni che non lo vedevo, altri, anche se vicini, non li avevo mai visti, ma l’emozione più forte è stata conoscere i due nuovi cugini veneti, nipoti del fratello del trisnonno: è stato amore a prima vista, come se ci fossimo sempre conosciuti! Noi tutti durante l’incontro abbiamo deciso di non “accontentarci” e di andare avanti.
Così ho cercato di approfondire a Scandolara e con l’aiuto del sito consigliato dal portale (familysearch) ho trovato una persona, Andrea Sartorato, che aveva avuto una nonna di nome Bianca Pizziolo e abitava vicino alla zona interessata.
Fortunatamente, Andrea, curioso quanto me, aveva già fatto ricerche per conto suo, anzi era andato anche alla parrocchia di Scandolara ed era riuscito a trovare notizie a partire da circa la metà del ‘700, anche se non sapeva assolutamente se c’erano legami fra di noi.
Ci siamo studiati gli interessanti documenti ed ecco apparire la morte nel 1786 di Giovanni Pizziolo, che dovrebbe essere il bisnonno del mio bisnonno Valentino ed anche la morte di suo padre Sebastiano, nel 1767.

Atto di morte di Giovanni Pizziolo, 1786. Parrocchia di Scandalora

Dico dovrebbe perché non abbiamo documenti per provare la cosa, però abbiamo tante somiglianze a distanza di anni

Riusciamo a capire che, nel 1785 circa, la famiglia si è divisa; una parte dei figli di Giovanni, probabilmente di secondo letto e più piccoli, è rimasta a Scandolara, invece il mio avo Francesco si è trasferito a Mogliano-Carpenedo-Mestre e si è creato la sua famiglia, ma questa è una storia già raccontata. La famiglia rimasta a Scandolara continua con la vita dei campi e col tempo, si divide di nuovo, fino ad arrivare a metà dell’800; qualcuno va in Brasile, qualcuno si trasferisce a Cittadella,

Orazio e Orsola (il primo e la terza, a partire da sinistra) sono i discendenti del ramo di Scandolara. Valentino e Renata (il secondo e la quarta, a partire da sinistra) sono i discendenti del ramo abruzzese. Orsola è vissuta nel corso dell’800, mentre gli altri avi sono vissuti nel corso del ‘900.

qualcuno rimane ancora lì. Fra quelli che rimangono a Scandolara, c’è un altro Giovanni e da lui arriva Bianca, nonna di quell’Andrea che ha trovato i documenti.

Purtroppo agli inizi del ‘900 arriva la tragedia con la prima guerra mondiale: infatti, 4 dei giovani Pizziolo, perdono la vita, chi sulle Dolomiti, chi sull’Isonzo. La vita però continua e generazione dopo generazione arriviamo a dopo la seconda guerra mondiale, quando nel 1949 nasce Corrado.
Perché Corrado è importante per la mia storia e per il raduno? Perché è stato lui che ha voluto questo incontro allargato, prendendo l’occasione delle mie nozze d’oro, e ci ha dato i luoghi dove farlo. Infatti è il vescovo attuale di Vittorio Veneto ed il vescovado ha sede nel Castello di San Martino.

Castello di San Martino, galleria degli stemmi. Vittorio Veneto (Treviso)

Alla luce delle scoperte e con molta titubanza, provo a mettermi in contatto con lui e trovo, sì il vescovo, ma anche soprattutto l’amico e cugino, che dopo la prima sorpresa per questa storia, che ha svelato quasi completamente le vite dei Pizziolo degli ultimi 300 anni circa, si appassiona alla cosa e propone di riunire tutti i rami in Veneto, terra di origine.

Lanciamo l’idea, io con i miei del ramo dell’Italia centrale, lui con i suoi del ramo veneto e, sicuramente, cogliendo l’occasione per rivedersi o per conoscersi, si aggregano in tanti! E mentre l’anno prima eravamo una quindicina, questa volta siamo 10 volte tanto! Pescara, Firenze, Bologna, Roma, Mestre, Udine, Lussemburgo e naturalmente molti dei paesi intorno a Treviso, mezza Italia e non solo, rappresentata! Siamo talmente tanti che mons. Corrado deve spostare la sede dell’incontro nel seminario vescovile! Però noi che veniamo da lontano alloggiamo nella zona del Castello dedicata all’ospitalità.

Che dire? Un luogo con più di 1000 anni alle spalle, mura antiche che hanno visto la storia della regione e che hanno ospitato, per 11 anni, anche papa Luciani.

Giorni passati a conoscersi o a farlo meglio. Conoscere una realtà mai pensata e diversa da quella a cui si è abituati, risate per i vari inconvenienti capitati, come mangiarsi un panino in una fattoria o macchine che non partono o treni saltati e poi nuove amicizie, tanti abbracci e la promessa di rivedersi per conoscersi un po’ di più.

Foto di gruppo dei partecipanti al raduno, 12 ottobre 2019

Promessa che vorremmo mantenere nel prossimo settembre, ma se non sarà quest’anno, sarà sicuramente il prima possibile.

Tutto il frutto delle ricerche sul Portale e di quello che possono aggiungere nella vita di ognuno è riassunto molto bene nelle parole che ci ha regalato, durante l’incontro, mons. Corrado e che chiudono degnamente il cerchio di questi anni:

“Carissimi,

l’evento che stiamo vivendo è stato organizzato un po’ alla garibaldina, pensando a un numero molto ridotto di partecipanti, In realtà ci troviamo molti di più, al punto che facciamo fatica a starci. E se questo è senz’altro un inconveniente, possiamo anche però, vederlo come frutto della voglia di ritrovarsi insieme, incuriositi e desiderosi di vedere la faccia, sentire la voce e conoscere l’esperienza di altre persone nelle cui vene scorre, in una certa misura, un legame di sangue che ci precede e ci unisce.

Sapere che tanti anni fa quelli che ci hanno preceduto abitavano in un’unica casa e costituivano un’unica famiglia, è un pensiero che certamente ci colpisce e ci meraviglia. Conoscere anche solo superficialmente i motivi e i percorsi attraverso i quali gli antenati che ci hanno preceduto si sono sparsi in luoghi diversi, a volte anche molto lontani, non è soltanto una semplice curiosità, ma in un certo senso, entra a far parte della nostra stessa esperienza personale e familiare; è qualcosa che sentiamo nostro, sicuramente in modo assai diverso rispetto a quello che conosciamo leggendolo nei giornali o sentendolo raccontare da altre persone pur vicine a noi.

La vicenda di Valentino che entra nelle ferrovie meridionali e sposa Maddalena Salvarezza, spostando tutta un’asse della famiglia Pizziolo nell’Italia centrale; la vicenda familiare di Sebastiano Francesco che si sposa quattro volte e si sarebbe sposato ancora se i figli, ormai genitori a loro volta, non l’avessero dissuaso; la vicenda di Virginio, Martino, Luigi, Ulderico e ancora di un altro Luigi, sempre Pizziolo, che persero la vita nella grande guerra; la vicenda di Giuseppe, maestro del paese per 40 anni; la vicenda di Mario, calciatore della Fiorentina, stimatissimo da parte del mitico Vittorio Pozzo e campione del mondo nel 1934 a cui fu negata la medaglia d’oro perché non poté giocare la finalissima in quanto gravemente infortunato nella semifinale; la vicenda di Anselmo, Milena, Maria e Angela, nonché di Guido che, più o meno negli stessi anni, consacrarono la vita al Signore, dando testimonianza esemplare della loro vita religiosa…Tutte queste vicende e molte altre che potremmo ricordare, entrano a far parte della storia della nostra famiglia.

È molto bello, se ci pensiamo, magari non le avevamo mai conosciute, ma sentendone parlare, sentiamo che, poco o tanto, ci appartengono: sono la nostra storia!

Grazie quindi di essere venuti e venuti numerosi. Grazie a questa ricerca che ha messo in moto tutto questo e che ci ha permesso di conoscerci anche con quanti neppur sapevamo che esistessero. D’ora in poi, anche se non ci frequenteremo molto, sarà sicuramente di conforto sapere che in qualche parte d’Italia o del mondo, i Pizziolo continuano a portare avanti la loro vita e la loro famiglia. Sapendolo, pensiamo a loro con simpatia e affetto, sperando che la loro vita sia buona, onesta e serena.

Vittorio Veneto 12 ottobre 2019”

 

E io aggiungo… grazie al lavoro di chi inserisce tutti gli archivi storici sul Portale degli antenati e ci ha dato la possibilità di ritrovarci.

Per chi avesse perso il “primo capitolo” di questa storia, segnaliamo di seguito il precedente racconto: Il filo conduttore della mia famiglia, la ferrovia adriatica

Ritratto di Urbano D’Antoni

Fin da bambina ho sentito mia madre raccontare con molta nostalgia storie e fatti accaduti alla sua famiglia, storie a volte tristi, spesso con il rimpianto per le persone scomparse e con i ricordi appannati dal trascorrere del tempo. È forse per questo che anni fa decisi di mettere ordine nella memoria per tentare di ricostruire parte delle vicende di famiglia, unendo i ricordi ai documenti, e  dare voce e storia ai miei antenati materni, per farli uscire dall’oblio del tempo trascorso perché, come scrisse Jules Renard “…l’acqua limacciosa della memoria dove tutto ciò che cade si nasconde. Se la si muove, qualcosa torna a galla.”

Decisi così di far tornare a galla qualcosa del mio bisnonno materno, Urbano D’Antoni nato a Roma nel 1845, giardiniere per una famosa famiglia romana del tempo. Conoscevo solo vagamente la data della sua morte, per cui mi recai al cimitero monumentale del Verano, dove un impiegato verificò negli archivi la data del seppellimento nel 1909, la provenienza dal Policlinico Umberto I e la paternità Sante D’Antoni. Sapevo che la famiglia D’Antoni era sempre vissuta a Roma nella zona di San Lorenzo fuori le Mura, dove aveva avuto delle proprietà, quindi perché non tentare e cercare all’Archivio di Stato negli atti notarili? A volte penso che i nostri antenati vogliano essere “trovati” nelle carte ingiallite degli archivi, perché con incredibile fortuna trovai un primo riferimento a Sante D’Antoni, nato circa nel 1817 da Vincenzo e morto nel 1869 senza testamento. Il figlio Urbano già maggiorenne e la vedova, seconda moglie di Sante, procedevano all’inventario delle poche suppellettili lasciate e dei debiti, per tutelare anche i cinque figli ancora minorenni. Continuando la ricerca negli atti dei Notai Capitolini riuscivo a ricostruire moltissime vicende dei D’Antoni, arrivando alla prima metà del 1700. Atto dopo atto, è venuto fuori che spesso le storie raccontate non erano esatte: ad esempio, Urbano non era stato privato dei beni paterni dalla matrigna, perchè in realtà Sante aveva già ceduto tutto ad un fratello, probabilmente per debiti.

Le notizie più interessanti le ho trovate nel Portale degli Antenati, dove tra atti di nascita, morte, matrimoni e allegati ho scoperto che il mio bisnonno Urbano aveva avuto una prima moglie, Virginia Tonnini e, rimasto vedovo dopo molti anni, aveva sposato la mia bisnonna Clarice Tilesi di Amatrice, anche lei vedova e con un figlio. Nessuno in famiglia sapeva della prima moglie, nè del figlio di Clarice nato dal primo matrimonio! Quindi questo bisnonno, che veniva ricordato per aver rinunciato a diventar prete perchè conquistato dalla bella Clarice, si era in realtà sposato due volte e, come risultava dagli atti sul Portale, aveva avuto cinque figli dal matrimonio con lei. Vita non facile la sua, perché nel giro di pochi anni morirono tre figli, il primo figlio di Clarice e lei stessa, lasciando Urbano di nuovo vedovo e con due figlie piccole. Una delle figlie, Emma, diventerà mia nonna, sposando Tarquinio Di Rocco di Monte Porzio Catone. Questa notizia ha allargato la ricerca sul Portale degli Antenati, portandomi dai Tilesi di Amatrice ai Di Rocco di Monte Porzio Catone, ai Bozzano di Mondovi e a tanti altri antenati ad essi collegati, consentendomi di smuovere quell’acqua limacciosa della memoria e facendo tornare a galla storie e fatti sconosciuti della mia famiglia.

Famiglia Ribacchi – Walsenburg 1940

Nel lontano 1998 trovai un sito Internet che offriva la possibilità di consultare online l’elenco telefonico degli Stati Uniti d’America. Senza pensarci troppo, digitai “Ribacchi” e lanciai la ricerca. Con mia grande sorpresa comparve sullo schermo una lista contenente almeno una dozzina di nominativi a me sconosciuti, che scatenò in me la grande curiosità di sapere chi fossero quegli individui e che relazioni avessero con me.Sempre grazie ai potenti mezzi messi a disposizione da Internet ho cominciato a raccogliere piccoli tasselli, che mi hanno consentito di ricostruire a poco a poco la loro storia.Un traguardo importante l’ho raggiunto nel 2001, quando è stato possibile accedere liberamente e via Internet agli archivi di Ellis Island che mi hanno consentito di rintracciare buona parte dei flussi migratori che hanno portato la famiglia Ribacchi nel Nuovo Continente.

Tutto ebbe inizio dall’Italia, a Fossato di Vico, in Umbria, dove Bernardino Ribacchi, nato nei primi anni dell’800 da Pietro e sua moglie Rosa Vantaggi, figlia di Sante, ebbero 10 figli: Giovanni, Palmira, Matilde, Giuseppe, Filippo, Augusto Sempronio, Augusto, Nazarena, Maria Anna, Luigi e Cecilia.
Cinque dei loro figli – Giovanni, Giuseppe, Augusto, Luigi e Cecilia – decisero di dare una svolta alle loro vite, partendo alla volta degli USA tra il 1892 ed il 1908 e stanziandosi, inizialmente, nella città di Frontenac, contea di Crawford in Kansas, dove i ricchi giacimenti di carbone offrivano grandi opportunità di impiego soprattutto per i numerosi immigrati. Successivamente le loro vite si divisero: Giovanni lavorò in miniera tutta la vita, Giuseppe si trasferì a Detroit, Michigan, trovando impiego presso la Ford, Augusto rimase in Kansas, Luigi e Cecilia si stabilirono in Pennsylvania.

Naturalizzazione di Luigi Ribacchi – 1922

Una delle emozioni più grandi è stata quando Emilio Ribacchi, figlio di Luigi, rispose ad una mia lettera con una calligrafia ordinata, in un italiano imperfetto. Mi spiegò che il padre Luigi aveva sempre preteso che in casa le origini italiane fossero onorate e mantenute vive e pertanto gli aveva insegnato l’italiano. Questa nostra corrispondenza non si è mai interrotta, nonostante Emilio abbia superato i 90 anni.
La dedizione con cui iniziai a raccogliere, analizzare, sistemare le tante informazioni che andavo collezionando si sono ben presto trasformate in una vera passione per la ricerca genealogica.
Curiosità, emozione, passione sono, dunque, gli ingredienti che negli anni hanno fatto di me un dilettante appassionato, a metà strada tra l’uomo ordinario e lo specialista, tra il profano e il virtuoso, l’ignorante e il dotto, l’artigiano e l’esperto. Mentre acquisivo nuove competenze le mettevo subito in pratica trovando nuovi “pretesti”, allargando la ricerca a tutte le famiglie dei mie nonni: quindi non solo Ribacchi, ma anche Battaglia, Laureti e Ferretti.
Già in quegli anni l’offerta di banche dati online in America era straordinariamente ampia e variegata (censimenti nazionali, annuari scolastici, giornali locali, certificati di naturalizzazioni, registri civili, cimiteri, immigrazione, fascicoli militari, ecc.) e molto spesso gratuita, consentendomi di procedere molto velocemente nella ricostruzione delle vicende del ramo americano dei Ribacchi, ma come arrivavo in Italia la ricerca si bloccava bruscamente per le tante difficoltà nell’accedere ai nostri archivi.
Tornando indietro al 2010, decisi di aprire uno nuovo capitolo di ricerca sulla famiglia di mio nonno materno, i Battaglia, originari di Termini Imerese. All’epoca non avevo alcun archivio online a disposizione e abitando a Roma mi era impossibile recarmi sul posto, ma la svolta la ebbi sempre sul web. Rintracciai una comunità di famiglie originarie di Termini Imerese emigrate negli States. Come molti altri americani avevano molto a cuore le loro origini e attraverso l’accesso agli archivi gestiti dalla Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (ovvero la Chiesa mormone), ti inviavano per pochi dollari copie dei registri di stato civile di Termini Imerese. E fu così che, con una incredibile e surreale triangolazione tra le due sponde dell’Atlantico, sono riuscito a metter ordine anche nella famiglia Battaglia.

Ritratto di Amerigo Ribacchi e Maria Antzack – 1914

E poi ci fu l’avvento del Portale degli Antenati, che ha finalmente liberato un patrimonio informativo ricchissimo e che ha rimesso in moto i miei tanti filoni di ricerca, aprendone di nuovi.
L’originario obiettivo di individuare l’anello di congiunzione fra il ramo americano dei Ribacchi e il mio, sebbene con qualche progresso, resta ancora non raggiunto stimolandomi, però, a trovare nuove strade da percorrere e nuovi archivi da esplorare.
E fu così che decisi di varcare la soglia del misterioso mondo degli Archivi di Stato (quelli fisici), in particolare di quello di Roma, che è ospitato presso la magnifica sede di Sant’Ivo alla Sapienza. L’iniziale disagio di sentirsi fuori posto, di porre domande sciocche è stato subito spazzato via dalla professionalità e dalla cortesia del personale, che mi ha saputo rapidamente consigliare e indirizzare.
Sfogliare antiche e consunte carte sotto i maestosi e pregiati soffitti della Biblioteca Alessandrina rappresenta un momento in cui curiosità, emozione e passione continuano a rincorrersi e ad agitarsi dentro di me.

Tomba di Maria Liberata Castiglia, vedova Grandi, in Narduzzi

Al Cimitero monumentale del Verano di Roma ho una tomba di famiglia dove sono sepolti mio padre, i suoi genitori e i suoi nonni paterni. Da sempre, ogni volta che sono andato a trovare mio padre e a portargli dei fiori, mi sono interrogato su chi fosse e che vita avesse fatto il mio bisnonno Oreste.
Infatti, ho conosciuto mio padre, così come mia nonna, mentre di mio nonno me ne hanno sempre parlato sia mio padre che i miei altri zii: ma del bisnonno Oreste niente, nessuno sapeva dirmi niente. E la mia curiosità è cresciuta man mano che passavano gli anni.
Ho cercato di sapere in ogni modo qualcosa sul suo conto, e alla fine sono arrivato alla conclusione che l’unico modo per sapere qualcosa su di lui, e magari sui suoi genitori, fosse trovare in qualche modo il suo atto di nascita. Dopo anni di ricerca, casualmente, mi sono imbattuto nel portale degli Antenati, e mi si è aperto un mondo.
Con la falsa speranza di poter trovare un lontanissimo antenato che risultasse essere stato un uomo importante per la storia italiana, ho cominciato la mia ricerca partendo proprio dall’atto di nascita di Oreste Grandi. E qui ho trovato molto più di quanto sperassi.
Viene riportata non solo la data, ma anche la via dove era nato, e naturalmente i nomi dei genitori, i miei trisavoli, e i nomi dei loro genitori, i miei “quadrisavoli”!, la loro professione, e la firma di suo padre, del mio trisavolo: Raffaele Grandi.
Non nascondo l’emozione che ho provato mentre leggevo l’atto di nascita del mio bisnonno, con non poche difficoltà iniziali vista la scrittura con cui era stato redatto, e le lacrime che mi sono affiorate agli occhi quando ho letto la firma di Raffaele. E’ stato come rivivere, anche solo per un istante, la scena della sua mano che in maniera insicura scriveva il suo nome. Insicura, sì, perché continuando a scavare in un passato che fino a quel momento mi era sconosciuto, ho scoperto che in effetti Raffaele doveva essere analfabeta, come molte persone all’epoca: era nato intorno al 1830 a Bologna, purtroppo da genitori ignoti, e si era sposato, probabilmente intorno al 1865 (purtroppo non so ancora dove), con Maria Liberata Castiglia, originaria di Goriano Sicoli, in provincia de L’Aquila.
Ho inoltre scoperto che il mio bisnonno non era figlio unico, come avevo pensato fino ad oggi: ha avuto altri fratelli e sorelle, non tutti purtroppo sopravvissuti alla nascita, ma un paio si sono sposati a Roma e quindi potrei avere dei cugini “alla lontana” che non sapevo di avere.
E anche mio nonno, che da sempre sapevo fosse stato figlio unico, in realtà lo è stato per motivi di forza maggiore, in quanto ultimo di una lunga serie di nascite finite male, perché tutti i suoi fratelli e sorelle sono praticamente morti alla nascita.
Che i Grandi fossero originari dell’Emilia lo avevo già capito: è lì che si concentra il maggior numero delle famiglie che portano questo cognome. Purtroppo leggere che fosse figlio di ignoti non mi dà molte speranze di trovare altri antenati dalla sua parte. Oltre al fatto che, al momento, nel Portale degli Antenati non sono stati ancora resi consultabili gli atti di nascita di Bologna. E da quello che ho capito, tra quelli che verranno pubblicati non sono presenti gli atti che riguardano gli anni che a me interessano, quelli appunto tra il 1828 e il 1830, quando dovrebbe essere nato Raffaele.
Di contro, però, sono riuscito a risalire indietro nel tempo dall’altra parte dell’albero genealogico, cioè dalla parte della mia trisavola Maria Liberata Castiglia, il cui cognome viene stravolta nei vari atti di nascita e morte dei suoi figli: prima Castigli, poi Castiglio, infine addirittura Castelli. Non è stato facile ricostruire la sua storia ma sicuramente è stato affascinante.
Così come è stato emozionante trovare la sua tomba al Cimitero del Verano di Roma: mi sono presentato agli uffici relazioni con il pubblico con il nome e la data di morte, nella speranza di trovare lei insieme al marito.
La tomba c’era, il difficile è stato cercarla all’interno del cimitero nonostante avessi ricevuto indicazioni corrette. Era completamente abbandonata, ricoperta di piante e con la lapide quasi del tutta divelta. Ma era lì, con la foto della mia trisavola e di un uomo, che non era come speravo il mio trisavolo, bensì il suo secondo marito, sposato quando Raffaele Grandi era già morto, tale Francesco Narduzzi.
Un’emozione dopo l’altra, così come è stato emozionante tornare indietro nel tempo, fin quasi all’inizio del 1700 e rivivere in un certo senso la vita di campagna e di pascoli che si viveva sulle montagne intorno L’Aquila. La famiglia Castiglia dal 1800 (e forse anche prima), ha praticamente colonizzato l’intero paese di Goriano Sicoli, intrecciando matrimoni con altre 3-4 famiglie, tanto che per anni non nascevano altro che figli di “Castiglia” nel paese. Contadini, bifolchi, allevatori: tutti lavori umili, ma estremamente importanti.
L’atto originale più antico che ho trovato è un atto di morte del 1815 di un lontanissimo parente, tale Germano Castiglia, morto appunto nel 1815 all’età di 67 anni (per cui era nato nel 1748) figlio di Onofrio Castiglia, che verosimilmente, alla nascita del figlio, avrà avuto tra i 20 e i 30 anni ed era nato, quindi, tra il 1718 e il 1728.
Includendo anche i miei figli, sono riuscito a disegnare un albero genealogico, con tanti rami ancora da esplorare e ricostruire, di ben 10 generazioni, dal 1720 circa al 2017: 300 anni di storia, storia di una famiglia, la mia, la famiglia Grandi. Che nel suo percorso si è intrecciata con molte altre.

Giuseppe Pavone all’età di 9 anni con la sciabola del bisnonno

Colgo l’opportunità, che il Portale Antenati offre, di delineare la propria ricerca genealogica, condividendo come richiesto i tre punti cardini della ricerca stessa: motivazioni, fonti consultate, risultati. Preciso però che questi tre punti, almeno per me, vanno intesi in senso dinamico perché nel procedere della ricerca hanno assunto contenuti via via più ampi per divenire le componenti di un percorso volto a rintracciare e posizionare le tessere di quel mosaico mio personale che ha per nome Identità.

Motivazioni
La motivazione iniziale alla mia ricerca genealogica è stata certamente quella, comune a tutti, di rintracciare le mie radici. Ma appena appresa l’esistenza dei vari consanguinei, dei loro dati anagrafici, degli eventi cui parteciparono o in cui furono coinvolti, dei luoghi in cui vissero o agirono, delle altre persone che poterono incontrare nel loro percorso di vita, quella iniziale motivazione si è specializzata in brama di conoscenza storica, politica, geografica, urbanistica, sociale, psicologica.

Fonti consultate
Le fonti consultate sono state ovviamente quelle note e che si riassumono nella tradizione orale, nei documenti e fotografie personali o conservati negli Archivi pubblici (di Stato e comunali) e privati innanzitutto ecclesiastici, nei materiali reperiti nel web.
Per quanto riguarda la tradizione orale, essa ha l’indubbio fascino di “mantenere in vita” persone e fatti spesso però confusi e intrecciati tra di loro nel tempo e nello spazio. Infatti, nella mia famiglia si favoleggiava che fosse stata conferita una specifica onorificenza al mio trisnonno paterno in Palermo mentre avrei poi scoperto che gli era stata sì assegnata una onorificenza ma diversa e a Napoli, mentre quella specifica fu assegnata in Gaeta a suo figlio e mio bisnonno, nato a Palermo: insomma la tradizione orale aveva col tempo “fuso e confuso” persone, luoghi e onorificenze in un “mescolanza” che dovetti “decodificare”. L’abilità del ricercatore deve essere quindi identica a quella dell’investigatore il quale, avendo a disposizione un insieme di dati sparsi e talvolta anche contraddittori o errati, è capace di seguire una traccia che lo porterà alla verità dei fatti. E grazie a tale abilità (che ho scoperto di possedere navigando negli archivi cartacei e informatici) potei rintracciare presso la Sezione Militare dell’Archivio di Stato di Napoli un importantissimo faldone riguardante mio trisnonno Filippo Pavone deceduto nel 1848, che all’epoca era stato registrato erroneamente con l’intestazione “Pavone Giuseppe – pensione di grazia alla vedova – anno 1843”. L’intestazione lasciava intendere che si trattasse di un’altra persona deceduta 5 anni prima, però mi aveva incuriosito il fatto che ci fossero alcuni dati che potevano in qualche modo rimandare al mio trisnonno e cioè il cognome, il fatto che la pratica riguardasse un trattamento pensionistico, il nome Giuseppe che poteva essere un’alterazione di Giuseppa, la figlia maggiore del mio trisnonno, e l’anno 1843, la cui ultima cifra poteva essere stata l’erronea trascrizione di un 8 e che poteva quindi coincidere con quello della morte del mio trisnonno. Il mio intuito non si era sbagliato, il faldone contiene infatti un’articolata pratica di concessione della pensione di giustizia, integrata per meriti di servizio da quella di grazia sovrana concessa di sua mano da re Ferdinando II alle tre figli nubili di mio trisnonno Filippo, la cui maggiore era appunto Giuseppa.

4 settembre 1848, Atto di morte di Filippo Pavone

Circa gli Archivi, che ho consultato in molteplici città d’Italia e presso diversi enti pubblici, privati, ecclesiastici, militari, devo purtroppo registrare una diversità di regole e comportamenti dei preposti il che in qualche caso ha rallentato notevolissimamente il procedere della ricerca se non addirittura averla fermata impedendomi, per il momento, di risalire ad epoche precedenti alla fine ‘700. Il Portale Antenati ha reso invece alquanto più facile e veloce la ricerca, grazie al fatto che alcuni nominativi di mio interesse sono stati già indicizzati. Altre importantissime fonti sono state poi i testi specifici di storia che ho consultato volendo ricondurre la mia storia familiare nel contesto delle varie epoche. Infine l’essermi recato nei luoghi dove i miei antenati furono mi ha consentito di immergermi psicologicamente ad occhi chiusi nelle loro realtà, compresi i cimiteri che hanno dato il loro contributo alla ricerca.
Particolare menzione devo comunque dare al gigantesco archivio microfotografico dei Mormoni (correttamente Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni), disponibile anche gradatamente nel Web, di cui mi sono utilmente servito fin dall’inizio della ricerca recandomi presso una loro sede romana e rintracciando basilari registrazioni di atti di mio interesse.

Risultati
Per quanto riguarda il risultato delle ricerche, come ho già detto si tratta in realtà di un percorso conoscitivo, pertanto l’albero genealogico, che per molti costituisce certamente un valido risultato della propria ricerca magari con abbondanza eccessiva di nomi e date, per me rappresenta soltanto uno schema grafico riassuntivo, e in divenire, atto a rappresentare le discendenze e non altro.
Durante questo mio percorso ho vissuto diverse esperienze particolari, descritte nel Diario, e tra queste ne cito di seguito due. Presso la biblioteca del Museo centrale del Risorgimento in Roma sono conservati nel medesimo faldone gli unici memoriali esistenti sulle gesta di unità borboniche durante la campagna di difesa militare del settembre-novembre 1860 contro le truppe d’invasione garibaldine e sabaude. Si tratta dei memoriali relativi al 14° Battaglione Cacciatori e al 1° Reggimento Granatieri della Guardia; ebbene nel primo era tenente poi capitano mio bisnonno Benedetto Pavone e nel secondo suo fratello, il sergente maggiore Carlo Pavone, poi attendente di Benedetto.… immaginate cosa possa aver io provato al cospetto di tali memoriali i quali, mentre per qualsivoglia studioso sono semplicemente i manoscritti di due unità borboniche, per me costituiscono una assoluta particolarità essendo io l’unica persona ad entrambi collegato per motivi di sangue, insomma è come se i due memoriali mi avessero aspettato per oltre un secolo silenziosamente in un faldone d’archivio per consegnare a me solo l’eredità storica di due fratelli miei consanguinei. Inoltre, l’aver trascritto, pubblicato e fatto catalogare nelle principali Biblioteche nazionali i due memoriali, ha risposto al desiderio dei loro estensori di trasmettere ai posteri una testimonianza di veridicità storica che a loro non fu permesso di rendere nota e in tal senso ho percepito di aver svolto una missione che ha travalicato la ricerca genealogica strettamente personale. Una seconda particolarità è quella che nel diario di guerra di mio padre egli vi annotò l’inedita fucilazione di 9 militari italiani a Napoli, da parte dei militari tedeschi, dove egli fortunosamente ebbe salva la vita per non essere stato “scelto” per essere fucilato… la particolarità sta nel fatto che la fucilazione ebbe luogo a ridosso della parete di un edificio in via Cesario Console dove in epoca borbonica esisteva l’alloggiamento militare di mio trisnonno; insomma mio padre che non conosceva alcunché di mio trisnonno e della sua abitazione ebbe salva la vita a ridosso di quella preesistente abitazione… Voglio pensare che sia stata una semplice quanto improbabilissima casualità o una “protezione a distanza di quasi un secolo?
Dal punto di vista storico la ricerca genealogica mi ha permesso di approfondire delle vicissitudini relative all’intero periodo del Regno delle Due Sicilie, grazie all’appartenenza dei miei antenati all’esercito borbonico sia come militari sia come funzionari ministeriali ed avendo essi partecipato ad eventi ben particolari. Sintetizzando, mio trisnonno Filippo, nativo di Gaeta, dopo l’arruolamento in un corpo di élite nell’esercito borbonico quando il Re era esiliato in Sicilia, fu attivo nella difesa delle istituzioni durante i moti del 1848 prima a Palermo, dove scampò dalla morte in un assalto a postazioni di rivoltosi, poi a Napoli dove il 15 maggio, al comando di una Compagnia di granatieri della guardia, si distinse tanto da ricevere la decorazione di cavaliere di diritto dell’Ordine di San Giorgio della Riunione (questi fatti e anche il suo nome sono riportati in vari testi storici). Mio bisnonno Benedetto, invece, al comando di una Compagnia del 14° Battaglione Cacciatori partecipò alla campagna d’autunno del 1860 contro Garibaldini prima e i Sabaudi dopo, sino all’ultimo combattimento di fanteria del 12 novembre dove si distinse venendo decorato con l’onorificenza di cavaliere dell’Ordine di Francesco I. Questi ed altri eventi mi hanno suggerito e permesso di specializzarmi nello studio dell’esercito borbonico e di acquisire diversi volumi di approfondimento delle vicende storiche incontrate nelle mie ricerche d’archivio e familiari. In particolare, le carriere di mio bisnonno e dei suoi tre fratelli, uno sottufficiale dei Granatieri della Guardia e due funzionari dei Ministeri di Guerra e di Marina, e i fatti cui parteciparono, mi hanno permesso di approfondire l’organizzazione generale delle forze armate borboniche nel corso di oltre cento anni.
Un aspetto particolare ha assunto poi l’aver seguito, finché possibile, le sorti di mio trisnonno Filippo e del suo fratello maggiore primogenito Gregorio, appartenenti ad una famiglia molto agiata di Gaeta e di “nobiltà civile”. Pur non essendo più in vigore il maggiorasco, che assicurava ai primogeniti la successione dei beni, il patrimonio rimase a Gregorio, mentre Filippo fu avviato alla carriera militare, sebbene in un corpo di élite come si addiceva ad un rampollo di agiatissima famiglia. Filippo iniziò quindi a Palermo una carriera alquanto pericolosa, perché già si era in tempo di guerra contro la Francia di Napoleone e Gaeta diveniva possedimento napoleonico (da qui si comprende la fedeltà della mia famiglia ai legittimi Borbone). Gregorio rimase a Gaeta a gestire i beni familiari e si sposò ma morì non molto tempo dopo il matrimonio e sua moglie Angela Liberto e successivamente la figlia Cecilia si ridussero a lavori umili, presumibilmente per sopravvenute difficoltà economiche. Invece Filippo, per il quale era stata scelta una vita alquanto difficoltosa, risaliva la scala sociale sposando una agiata giovane appartenente a una altolocata famiglia palermitana e i suoi vari figli maschi ne seguirono l’esempio. Tutto fu poi “rimescolato” con l’Unità d’Italia allorquando i legami tra famiglie di militari borbonici, creati da Benedetto e i suoi fratelli, persero qualunque efficacia e il mio casato entrò nella “normalità”.

Per parte di madre la famiglia d’origine era concentrata nella cittadina tosco-emiliana di Sambuca Pistoiese e in particolare nella frazione di Stabiazzioni che, con altre frazioni, fa ancora capo alla parrocchia di San Pellegrino al Cassero. La famiglia era composta di piccoli proprietari terrieri con gli uomini che integravano le entrate economiche facendo i braccianti mentre mio nonno, come dalle ricerche effettuate, svolgeva anche il mestiere di artigiano nel settore della lavorazione della paglia nella cittadina di Montale dove, per qualche anno, ebbe anche un negozio.
Ma la scoperta più sensazionale è stata aver rintracciato presso l’Archivio centrale dello Stato l’incartamento relativo al conferimento il 4 marzo 1888 a mio nonno Geremia Gherardini della medaglia d’argento al valor civile per aver salvato il 1° agosto 1887 due suoi compaesani dall’annegamento nel fiume Limentra, in località Stabiazzoni del Comune di Sambuca Pistoiese, e questo con manifesto pericolo di perdere lui stesso la vita. Della concessione, da parte di S.M il Re su proposta del Ministero dell’Interno dopo il parere favorevole di apposita commissione e indagine prefettizia di Firenze, venne altresì data menzione nella Gazzetta Ufficiale del Regno del 12 marzo 1888, n. 60.
Messomi quindi in contatto col sindaco di Sambuca Pistoiese, si è deciso di intitolare un sito della cittadina a Geremia Gherardini – Medaglia d’argento al Valor Civile (1856-1915).

Come risultati di sintesi posso accennare ad alcuni miei scritti. La Cronaca familiare in cui descrivo la storia vissuta dei miei antenati sino a mio padre; un Diario in cui annoto giorno dopo giorno, da oltre 25 anni, i singoli passi delle mie ricerche e delle appassionate fantastiche esperienze vissute. Con la Cronaca e il Diario ho potuto quindi dare una dimensione narrativa della ricerca. A questi due scritti associo poi alcune miei testi di storia militare borbonica (catalogati presso le principali Biblioteche di Stato e che riguardano il 14° Battagliane Cacciatori, il 1° Reggimento Granatieri della Guardia, Le truppe estere dell’esercito borbonico dal 1743 alo o1861 ed un prossimo Albo d’onore della Campagna militare 1860) relativi a fatti cui parteciparono i miei diretti ascendenti e collaterali. Aggiungo poi: uno schedario sintetico dei vari componenti l’intero gruppo familiare, diretto e collaterale; una raccolta di fascicoli (quando possibile) per ciascun nominativo contenenti documenti e foto; una raccolta di corrispondenza epistolare (quando non esisteva internet) e di e-mail verso e da enti, familiari e persone; una raccolta di documentazione di supporto; una biblioteca specialistica, soprattutto inerente l’Esercito e la Marina delle Due Sicilie.
Nel comporre ed aggiornare la mia Cronaca familiare ho scoperto e colto un patrimonio umano che mi ha arricchito d’identità; ho potuto così riscontrare in me gli elementi distintivi dei miei antenati. In mio trisnonno Filippo, per la difesa dell’autorità di Stato durante i moti del ’48 a Palermo e Napoli; in suo figlio Antonio, per l’appartenenza tecnica alla Marina Militare; nell’altro suo figlio Michelangelo, per la funzione dirigenziale ministeriale; nel suo terzo figlio, e mio bisnonno, Benedetto, per la fedeltà all’Istituzione di appartenenza ma non oltre il limite umanamente accettabile; e naturalmente nei miei genitori Francesco e Ilda, per la formazione da loro impartitami e che ringrazio d’aver ricevuto.

Ma il vero risultato della mia ricerca genealogica è stata la rivelazione della mia identità di casato e di persona, una identità presente in me da sempre seppur inconsapevolmente, come si può notare nella foto che mi ritrae a 9 anni con la sciabola da ufficiale di mio bisnonno Benedetto in quella residuale abitazione siciliana ottocentesca dove egli morì e dove erano conservate le sue carte.

Concludo questo mio contributo volendo indicare la chiave di accensione che mise in moto la macchina della mia ricerca, ovvero l’aver conosciuto il compianto barone Roberto Maria Selvaggi, all’epoca segretario della Real Casa Borbone Due Sicilie, autore della fondamentale opera Nomi e volti di un Esercito dimenticato. Gli ufficiali dell’Esercito napoletano del 1860-61 (Napoli, Grimaldi & C., 1990), dove è riportato il nome del mio bisnonno quale tenente del 14° Battaglione Cacciatori dell’esercito borbonico. Egli, oltre a farmi speciale dedica al suo volume, mi segnalò all’allora responsabile della Sezione militare dell’Archivio di Stato di Napoli il quale, a sua volta, mi fece “seguire” dall’instancabile e prezioso archivista Achille Di Salle nelle ricerche riguardanti finalmente mio bisnonno e mio trisnonno e in definitiva nel corretto e proficuo percorso della ricerca che da allora ha avuto uno sviluppo corretto e straordinario e che non ha fine.

Eugenio Luzietti (Orciano di Pesaro, 1842) e Teresa Rossetti (Roma, 1850) insieme ai loro sette figli. In primo piano (a partire da destra) Virginia e Bianca, le sorelle della corrispondenza

È tutto cominciato con una piccola scatola di legno o meglio, la scatola di legno ha svegliato in me un desiderio sopito che ho sempre avuto: quello di conoscere la storia della mia famiglia.

La scatola in questione conteneva delle lettere, una corrispondenza di inizio secolo scorso tra la mia bisnonna materna Virginia e i suoi fratelli Bianca e Agostino, emigrati in America. Leggerle è stato molto commovente: la tenerezza, l’affetto, la nostalgia dell’Italia da parte di chi si trovava oltreoceano e le sofferenze patite a causa della guerra da chi si trovava qui in Italia.

Ho cominciato a chiedere notizie a mia mamma e alle mie zie, ho scritto una lettera all’indirizzo americano indicato nella corrispondenza e mi sono iscritta ad un sito dedicato alla ricostruzione di alberi genealogici, nel quale ho inserito i pochi dati che avevo a disposizione.

La lettera di Bianca alla sorella Virgina (25 aprile 1945)

Purtroppo la lettera mi è tornata indietro poiché il mittente è risultato sconosciuto; e così sono passati alcuni anni. Un giorno da un utente dello stesso sito ho ricevuto un graditissimo messaggio: era un nipote di Bianca che mi scriveva dalla California e mi diceva che forse eravamo imparentati! Da lì è cominciato uno scambio di messaggi e foto e siamo arrivati alla conclusione che siamo realmente parenti. Grazie a lui abbiamo rintracciato anche un’altra nipote di Bianca e un nipote di Agostino ed insieme abbiamo ricostruito la parte del nostro albero genealogico che abbiamo in comune.

Ci siamo anche incontrati e sentiamo profondamente di appartenere alla stessa famiglia, magari un po’ dispersa per il mondo.
La febbre di ricerca ha continuato a divampare in me, e questa volta ho trovato un prezioso aiuto nel Portale Antenati, grazie al quale sono riuscita a ricostruire molti tasselli mancanti per la parte materna. Laddove non arrivavano i documenti del Portale, ho contattato comuni e parrocchie ma, nonostante la gentilezza di impiegati comunali e parroci, la mia ricerca delle origini si è fermata al trisavolo materno, Eugenio.

Invece, per quanto riguarda sua moglie Teresa, la mia trisavola, devo continuare la ricerca presso gli Archivi vaticani (e chissà che non riesca a dimostrare l’appartenenza alle famose “sette generazioni romane”).

Angelo Tiezzi (Sinalunga, 1869) Vetturino

Ho cominciato la ricerca anche da parte paterna: ho appreso della profonda storia d’amore tra la mia bisnonna Fermina e Nicola, ho anche saputo che hanno avuto diversi figli ai quali non hanno potuto dare il loro cognome poiché vivevano more uxorio e, a quei tempi, era impensabile una convivenza fuori dal matrimonio.

Ho appreso le professioni svolte dai miei antenati: vetturino, caffettiere, vignaiolo, calzolaio. Ho cercato anche gli indirizzi dove questi abitavano e, ove possibile, sono andata a vedere gli edifici, immaginandoli abitare lì al loro tempo. Ho scoperto che le mie origini partono da Roma e si dividono tra la Toscana, le Marche e il Lazio da parte materna e, la Puglia e la Basilicata da parte paterna. Sto orientando la mia ricerca in due direzioni: la prima risalire il più possibile indietro nel tempo e la seconda, contattare i discendenti, conoscerli e scambiare con loro informazioni… ho ancora molto lavoro da fare!

Adelaide Pizziolo in Leonelli (Vasto, 1871 – Ortona, 1936)

La ferrovia adriatica o, come si chiamava allora verso la fine dell’800, Strade Ferrate Meridionali, è stata la protagonista per molti anni della mia famiglia. Una protagonista silenziosa ma che ha influito su fidanzamenti, matrimoni, morti di nonni e bisnonni.
Sto vivendo quello che ho scoperto un po’ come una favola. Parlo di favola perchè, non solo ho trovato tutto quello che volevo sapere e sono arrivata fino agli inizi del ‘700, ma ho trovato anche il ramo femminile, così come i vicini di casa che avevano i miei antenati nel 1791!! Inoltre ho trovato diversi cugini che non sapevo di avere: questa ricerca mi ha coinvolta pienamente, diventa un po’ come la storia delle ciliegie, una cosa tira l’altra!
Certamente, ho avuto un po’ d’aiuto fuori dal sito degli antenati, ma se non avessi cominciato da lì…
Con l’aiuto del portale sono riuscita a risalire indietro di 6 generazioni, ho trovato rami collaterali legati, a volte, anche doppiamente. Più di 60 cognomi collegati con noi e i pochi parenti che avevo sono triplicati. Tante regioni coinvolte, rami in Liguria, in Toscana, in Veneto, Abruzzo, Marche persino in Brasile e chissà in quanti altri luoghi …
L’intera storia si può raccontare in due modi…

Luigi Pizziolo (Mestre, 1871 – Mestre, 1953)

Si può iniziare sicuramente con “C’era una volta” nel 1868 circa, un giovanotto di nome Valentino Pizziolo…
In alternativa, possiamo anche cominciare dalla metà del 700, quando a Scandolara, Giovanni e Caterina misero al mondo Francesco (quadrisavolo). Intorno al 1790 Francesco decise di trasferirsi a Carpenedo per fare il sensale e lì si sposò con Caterina detta Moma, una donna di Mogliano. Da lei ebbe almeno 11 figli, tra i quali, nel 1791, Giovanni. Vivevano sulla strada per Mogliano Veneto, vicino al canale Bazzera, anzi proprio il Canale, forse, faceva da confine alla proprietà.
I loro confinanti e vicini di casale erano i Forcellato, anticamente mugnai a Zelarino e poi osti a Carpenedo. Suppongo che, proprio grazie a questa vicinanza, il mio trisnonno, incontrò la moglie.
Giovanni dopo una prima vedovanza, si risposò con Caterina, dalla quale ebbe almeno quattro figli, tra cui Valentino nel 1840. Caterina veniva da un paese sotto al Grappa, Solagna, e si trovava a Carpenedo con gli zii che erano, appunto, i vicini di casale di Giovanni e osti nel paese.
Intorno al 1868, Valentino riuscì ad ottenere un lavoro come montatore di macchine ferroviarie presso le strade ferrate meridionali e fu così mandato sulla linea adriatica verso Foggia.
Laggiù divenne amico di Pasquale Salvarezza, anche lui dipendente delle ferrovie, che gli presentò sua sorella Maddalena e si sposarono.
Le ferrovie, però, lo spostarono subito a Vasto ed è lì che nacquero i primi due figli, un maschio ed una femmina. Dopo qualche tempo, con il progredire della sua posizione, Valentino fu rimandato a Foggia, dove nacquero altri tre figli maschi.

Giuseppe Pizziolo (Foggia, 1877 – Pescara, 1965)

Purtroppo la vita, nel 1886, gli tolse la moglie di solo 44 anni e dopo poco fu mandato a Bologna. Non sapendo come fare, mise i figli in collegio e partì per quella nuova destinazione, ma a Foggia non tornò più, perché appena due mesi dopo la moglie, morì anche lui a 47 anni non ancora compiuti, e fu sotterrato proprio a Bologna.
I cinque figli studiarono in collegio: i maschi, eccetto uno, entrarono in ferrovia e si stabilirono a Castellammare Adriatico. La femmina si sposò con un geometra figlio di un ferroviere ed andò a vivere ad Ortona. I quattro maschi si sposarono tutti con figlie di ferrovieri e restarono a Castellammare, almeno per un po’.
Lo zio Pasquale, nel frattempo aveva sposato una ragazza di San Benedetto del Tronto, figlia di ferroviere. Lei e la sorella Teresa si erano trasferite a Castellammare, dove quest’ultima aveva sposato Achille, un ferroviere originario della zona: questi sono i miei bisnonni da parte femminile.
Alcuni figli di Pasquale, a loro volta sposarono alcuni dei figli di Achille e un ramo di questi adesso si trova in Brasile.
Il primo figlio di Valentino, Giorgio mio nonno, anche lui in ferrovia, conobbe così, attraverso lo zio Pasquale, la sua futura moglie Michelina, figlia proprio di Achille e Teresa. Da lei ebbe nove figli, fra i quali mio padre e, con questo, siamo arrivati ad oggi.

La storia si può raccontare anche in quest’altro modo …

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