La mia ricerca parte da storie di tanti anni fa, storie tramandate e sentite in casa, in famiglia, racconti quasi sussurrati a me e ai miei fratelli dal mio babbo nel corso della sua vita; storie non sempre facili da raccontare, ma intense e vere; storie che hanno segnato profondamente tutta la mia famiglia.
Mi chiamo Saverio Cecconi, sono nato e vivo a Prato e queste sono le storie della mia famiglia, che ho provato a documentare con la ricerca in archivio.
È il 1935. Il regime fascista promuove la campagna nazionale “Oro per la patria”. I Cecconi, contadini di un podere a Casale, frazione della piana pratese, non hanno niente di valore da consegnare all’incaricato locale, tranne un vecchio registro di conti della tenuta, un tempo di proprietà della cittadina comunità domenicana di San Vincenzo. Mio nonno decide di donare questo quaderno, così prezioso per la famiglia, perché al suo interno, si dice, ci sono annotazioni di mano di Caterina de’ Ricci (1522 – 1590), santa mistica domenicana, che ha vissuto tutta la sua esperienza religiosa proprio nel citato monastero e alla quale da sempre i pratesi sono devoti.
Mi metto alla ricerca di una possibile ricevuta che attesti la consegna del documento e sfoglio i sei grossi volumi attestanti le consegne di preziosi della campagna fascista tenuti dall’allora Cassa di Risparmio di Prato e oggi conservati presso l’Archivio Storico Diocesano di Prato: purtroppo, lo spoglio non ha esito positivo. Il territorio di Casale presenta poche ricevute rispetto al numero della popolazione. La fine del registro di Santa Caterina de’ Ricci rimane nebulosa.
Nel frattempo mi appassiono alla ricerca e decido di conoscere meglio le mie radici, i Cecconi. Sono in pensione: ho del tempo da dedicare a questo nuovo interesse. Nello stesso Archivio Diocesano comincio a consultare gli Stati delle anime della parrocchia di Casale, per verificare la presenza della famiglia, nello scorrere delle generazioni, su questo territorio. Senza troppe difficoltà riesco a documentare come i Cecconi siano qui attestati ininterrottamente dal 1683. La prima famiglia rintracciata è quella di Francesco di Domenico Cecconi, grazie allo Stato delle anime della parrocchia di S. Biagio a Casale del 1683. Sempre scorrendo gli Stati delle anime noto anche che i Cecconi hanno lavorato in vari poderi; fra questi ce n’è uno tenuto ininterrottamente dai miei antenati dal 1721 al 1816, all’inizio di proprietà delle monache di San Vincenzo e, conseguentemente alla soppressione degli inizi del XIX secolo, passato in mano ai frati conventuali.
E prima? Decido allora di fare un salto in Archivio di Stato a Prato: qui, quasi per caso, in una filza seicentesca della comunità di Prato mi imbatto in un elenco delle bocche, divise per popolo del 1642.
Trovo quello che cerco e anche di più. Domenico Cecconi, con 18 persone a carico, è lavoratore dei Ceppi.
Questa informazione è fondamentale per proseguire e arricchire la mia ricerca familiare, consentendomi di avere dettagli inaspettati e di superare i limiti cronologici legati ai documenti tradizionalmente usati per la ricerca genealogica. I Ceppi sono un’istituzione territoriale di assistenza, nata dalla fusione cinquecentesca di due enti medievali, il Ceppo Vecchio, fondato da Monte di Turingo Pugliesi nel 1282, e il Ceppo Nuovo, voluto da Francesco di Marco Datini nel 1410. Questa istituzione ha una grande patrimonio fondiario, che dà in locazione.
La documentazione prodotta da quest’ente è ancora oggi custodita proprio a Palazzo Datini, sede dell’Archivio di Stato di Prato. Grazie ai contratti di allogagione ricostruisco il lungo rapporto di fiducia tra i Ceppi e i miei antenati, che gestiscono dagli inizi del Cinquecento loro proprietà, dislocate nella campagna posta a sud-ovest della città: Paperino, Sant’Ippolito in Piazzanese, Galciana, Iolo, Casale, Tavola.
Decido di consultare i registri dei battesimi, matrimoni e morti di queste parrocchie, conservati stavolta in Archivio Diocesano a Pistoia. L’albero genealogico che riesco a tracciare presenta più di 300 nominativi, a partire dal 1483.
Nel completare e consegnare la storia della mia famiglia non voglio, né posso tralasciare un ultimo tassello, grave e doloroso, quasi appena accennato e sempre con pena e pudore ancora una volta dal babbo.
Si tratta di un grave episodio accaduto alla sorella di mio padre nel 1944, a Tobbiana di Prato, in località Goraccia, dove i Cecconi gestiscono un podere. Mia zia Iolanda è una bella ragazza, poco più che ventenne, conosciuta da tutti in paese per il suo impegno costante tra le fila dell’Azione Cattolica in parrocchia. È ben nota anche la sua vocazione religiosa: entrata per probandato tra le benedettine di San Clemente, durante i mesi più drammatici dello svolgersi della guerra, torna a casa, a Tobbiana, ritenuta rifugio più sicuro nei confronti del monastero cittadino. Qui, invece, è vittima di una tentata violenza da parte di militari nazi-fascisti. I soldati tengono sotto la minaccia delle armi tutta la famiglia; la ragazza, da sola, riesce a difendersi, ad impedire lo stupro. Le conseguenze sono drammatiche: picchiata a sangue e quasi ridotta in fin di vita, è costretta a un lungo ricovero. Le cure sono molteplici e costose, sostenute totalmente dai familiari, che spendono tutto il patrimonio messo da parte: una cospicua somma, destinata in prima istanza proprio per comprare il podere da loro lavorato. L’acquisto sarà solo rimandato; Iolanda, ristabilitasi, prende i voti religiosi prima tra le Spigolatrici della Chiesa, poi nella Pro Verbo di monsignor Danilo Aiazzi. Zia Iolanda custodirà per tutta la vita con grande dignità e riservatezza la disgrazia accadutale e le sofferenze sopportate.
Anche su quest’evento ho voluto indagare e provare a rintracciare documentazione storica. Nell’Archivio Diocesano di Prato ho trovato il resoconto dell’episodio di “eroismo e crudeltà” redatto per la curia dall’allora parroco di Tobbiana, come pure, nel fondo Fantaccini, tutta la corrispondenza in merito all’accaduto tra il prelato e il comando tedesco e l’invio di informazioni da parte di monsignor Fantaccini al parroco di Tobbiana.
Ancora, nel fondo Aldo Petri, presso la cittadina Biblioteca Lazzerini, si ricorda come nel primo anniversario della fine della guerra mia zia sia stata insignita, assieme ad altri, di “attestato di eroismo”. Si chiariscono i non detti del babbo, comprendo, ora più che mai, scelte e decisioni familiari e quanto queste decisioni abbiano voluto tutelare me e i miei fratelli; la stima, già grande, per zia Iolanda diventa infinita!
Ora è arrivato il momento di consegnare la storia della famiglia Cecconi a mio figlio, ai miei fratelli e alle loro famiglie, perché solo con la consapevolezza del nostro passato, possiamo comprendere al meglio il presente e guardare fiduciosi al futuro.