La lingua italiana non ha un termine che possa esprimere il concetto di nostalgia per qualcosa o qualcuno che non si è mai conosciuto, o un luogo che non si è mai visitato. Dobbiamo allora cercare la ricchezza di altre lingue lontane e difficili, come il finlandese kaukokaipuu o il giapponese natsukashii che evoca qualcosa di bello e lontano. Quest’emozione vagamente irrazionale che infrange le barriere dello spazio e del tempo da sempre mi lega a mio nonno Carmelo, lasciando che percepisca come ricordi quei frammenti di vita ormai lontana che ho ricostruito negli anni dai racconti familiari e dalle ricerche genealogiche. Se sono nata in un preciso luogo è proprio grazie a te che tanti anni prima lo avevi scelto per formare la tua famiglia, là dove esigenze di lavoro ti avevano portato, lontano dalla tua famiglia di origine. Un’altra coppia forestiera avrebbe scelto quella stessa cittadina del Lazio subito dopo la guerra ma la tua breve esistenza si era già tragicamente spenta.
Era esattamente il 26 novembre del 1900 quando nascevi tu, centoventi anni fa, a Patti in provincia di Messina, quinto figlio di Antonino (di Giuseppe e Angela Rottino) e Concetta Furnari (di Antonino e Angela di Nardo), in quella via dietro il Castello che oggi ha nome via Magretti e che nella mia visita a Patti di tre anni fa, come attirata da forze invisibili, casualmente mi portò a scegliere il mio albergo proprio in quella via.
Della tua infanzia pattese non so nulla purtroppo, né conosco i motivi che intorno al 1904 spinsero la tua famiglia a trasferirsi nella vicina Sant’Agata di Militello dove nacquero i tuoi fratelli Salvatore e Antonino. Qui avrai frequentato la scuola e da qui giovanissimo hai scelto quale sarebbe stata la tua carriera: a 18 anni ti sei arruolato nei Carabinieri Reali, mi chiedo ancora quale scuola allievi Carabinieri avrai frequentato, ho ancora lacune in questo primo periodo della tua vita ma presto avrò le tue lettere, preziosi documenti che ho studiato riga per riga per ricostruire la carriera, i luoghi in cui hai vissuto, le persone che sono entrate nella tua vita e tanto care sono state per te che avevi una parola affettuosa per tutti. Dal 1929 al 1934 ti ritrovo così già ben avviato nel tuo lavoro, ti stai facendo onore nel grado di appuntato, ormai vivi a Roma ma non so esattamente da quando, provo a immaginare come doveva essere il tuo lavoro nella Roma fascista: eri già lì nel 1924, a indagare sul caso Matteotti? Chissà, me lo sono chiesta tante volte e con un po’ di pazienza lo scoprirò.
Cosa succede dunque in questi cinque anni per farti scrivere quasi una lettera al giorno e descrivere le tue giornate? Semplice, ti sei innamorato di Benedetta, che chiami semplicemente Bettina. Ti ingegni in ogni modo per non farle sentire troppo la nostalgia inevitabile di quel rapporto a distanza, tu a Roma e lei in Sicilia ad aspettarti ad ogni licenza, su di lei concentri le tue attenzioni, la tieni un po’ sulla corda con una vena di gelosia, le scrivi frasi spiritose per farla ridere un po’ ma poi diventi dolce e appassionato. Con quest’altalena di emozioni ma con l’incrollabile fede nell’amore eterno che le giuri e che mai tradirai passeranno gli anni del vostro fidanzamento per arrivare infine a quel 1 dicembre 1934 in cui pronuncerete il fatidico sì nella vostra Sant’Agata di Militello e dal giorno successivo sarete nella vostra nuova casa a Civita Castellana: per mettere su famiglia ci voleva più tranquillità ed il delicato incarico che svolgevi a Roma era poco compatibile con questo desiderio.
Saranno i vostri anni più belli, quelli che vedranno la nascita dei vostri figli, Antonio (mio padre) che nella migliore tradizione siciliana porta il nome di entrambi i suoi nonni, e Franco. Ma sui giorni belli, tanto sospirati, passerà presto una nuvola nera: l’Italia entra in guerra nel giugno del 1940, hai ormai quasi 40 anni, una famiglia, due figli, il tuo lavoro in provincia, per un soffio avevi scampato la chiamata alle armi in occasione della prima guerra mondiale e forse all’inizio ti culli un po’ nella speranza che magari anche stavolta riesci a evitare la guerra, in fondo non sei più giovanissimo per la vita in trincea.
La guerra è iniziata ma per il momento sembra lontana, su altri fronti, non ci tocca ancora ma tu comunque non abbassi la guardia: i primi ricordi di bambino di mio padre sono legati ad una grande mappa che sembra tenessi in casa e sulla quale segnavi l’avanzare dei vari fronti e le alterne sorti dei combattenti. Poi la situazione precipita, da una lettera si intuisce che sei stato richiamato e in breve tempo ti ritrovi al fronte a scrivere a casa, è il 1942. Non puoi scrivere dove sei ma chi legge lo sa, in una lettera datata agosto del 1943 sei appena rientrato da una licenza e scrivi che il tuo rientro al fronte si è svolto senza difficoltà, la nostalgia della famiglia si fa sentire fortissima ma il tono è rassicurante. In Italia meno di un mese prima era caduto il fascismo e Mussolini era stato arrestato, quasi sicuramente eri a conoscenza della situazione difficile che stava attraversando il nostro paese e dell’incertezza totale che regnava sui vari fronti nei quali erano impegnate le nostre forze armate. Sarei pronta a scommetterci che nella tua mente sempre attiva tu un piano B magari lo stati già elaborando ma la prontezza di spirito non è bastata, a te come alle migliaia di IMI che nelle prime ore dopo l’annuncio dell’armistizio dell’8 settembre 1943 sono caduti prigionieri dei tedeschi.
Fu l’alba del 9 settembre che ti vide catturato nei pressi di Pristina, nell’allora Albania (oggi Kossovo) ed anche allora, sul treno che ti portava in Germania, su un elegante biglietto da visita con il tuo nome, stilasti una lista di nomi (quasi sicuramente tuoi commilitoni che con te hanno condiviso quel triste viaggio) e con l’incerta grafia di chi non conosce il tedesco tentasti più volte di scrivere Witzendorf, prima destinazione e campo di smistamento verso altri campi più propriamente di lavoro.
Nello Stalag in cui ti mandano continui a scrivere, mentre cerchi di rassicurare la famiglia sul tuo stato di salute domandi apertamente perché le tue lettere non ricevono risposta e temi il peggio per chi è rimasto a casa. Già, ma casa dov’è adesso che l’Italia è invasa dai tedeschi? Dove sono tua moglie ed i tuoi figli, saranno tornati in Sicilia? I dubbi ti torturano.
E’ il giorno di Natale del 1944, alla mensa hanno servito il pranzo che per quel giorno sembra essere appena più commestibile del solito; tornato nella baracca, la nostalgia di casa ti fa prendere in mano la penna ancora una volta e scrivi rivolgendoti direttamente ai tuoi figli.
La tragedia che ti ha strappato per sempre all’affetto dei tuoi cari avviene il 21 febbraio del 1945, nella fabbrica di munizioni vicino Oranienbaum (Munitionsanstalt Kapen), un sito ben nascosto nel folto della Foresta Nera, vicino al fiume Elba. Solo pochi giorni prima Dresda, distante circa 170 chilometri, era stata quasi rasa al suolo in uno dei più devastanti bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, il fronte orientale stava per cedere definitivamente sotto i colpi inferti dall’avanzata sovietica, i primi campi di concentramento in quell’area furono liberati già nel mese di aprile e fa rabbia, proprio tanta rabbia, che per poco più di due mesi non si sia potuto scrivere un lieto fine per questa storia.
Nel dopoguerra la Germania orientale, come noto, cadde sotto l’influenza sovietica; l’ex- fabbrica di munizioni per l’esercito, come molte aziende compromesse con il regime nazista e lo sforzo bellico, fu riconvertita in un’industria chimica, la Chemiewerk. Con la caduta del muro e la riunificazione delle due Germanie il sito fu abbandonato e solo in anni recenti bonificato per essere poi inglobato nel più ampio progetto della Riserva Naturale denominata Biosphärenreservat Mittlere Elbe.
Si invita a leggere anche l’approfondimento sulle ricerche della storia di famiglia di Roberta Monteleone.