La ricerca genealogica sul ramo paterno della mia famiglia è partita circa un anno e mezzo fa da mio nonno paterno, Pasquale De Rosa, nato a Napoli nel 1896 e trasferitosi poi ad Atripalda, provincia di Avellino (in altri termini nella montagna Irpina), dopo essere tornato dal fronte della I Guerra Mondiale ed essere stato assunto nelle Regie Ferrovie dello Stato. Ad Atripalda il 1 aprile 1921 ha sposato Giuseppa Carino, nata a Cimitile (NA) e proveniente da una famiglia di commercianti locali.
La coppia ha avuto tre figli: mio padre Gennaro nel 1923, mio zio Ugo nel 1925 e mia zia Nina nel 1928.
Qui il portale di Antenati mi è già venuto in aiuto una prima volta, dato che nei registri dello Stato Civile Italiano conservati presso l’Archivio di Stato di Avellino ho rintracciato, devo dire con una certa emozione oltre che soddisfazione, il loro atto di matrimonio dal quale ho finalmente conosciuto i nomi dei miei bisnonni: Gennaro De Rosa e Anna Gargiulo, Aniello Carino e Farnese Elisabetta.
Ho contattato allora l’Archivio di Stato di Avellino ed ho così ottenuto i fogli matricolari di mio padre, volontario allievo ufficiale nella Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, un corpo di gendarmeria a ordinamento militare che dal 1924 si trasforma per decreto di Mussolini in forza armata dell’Italia fascista, una sorta di milizia di partito, cui mio padre aveva aderito per non andare al fronte, mentre il fratello, dopo l’occupazione alleata di Napoli nell’ottobre 1943, prestò servizio al Deposito Militare di Napoli città come furiere.
Questa mia ricerca è cominciata per caso, quasi uno scherzo e devo dire grazie a mia moglie, Maria Rosaria, che un giorno – ci eravamo presi alcuni giorni di ferie proprio a Napoli – mi ha proposto di andare all’Archivio Storico Diocesano, in Largo Donnaregina, vicino al Museo Storico Diocesano, per chi conosce bene la città come lei.
Qui, la sorpresa: pur essendo uno storico professionale, lo confesso, a volte ho un po’ di difficoltà quando si tratta di “ingranare la marcia” e cominciare con pazienza a cercare, tra migliaia di nomi, il giusto Pasquale De Rosa e Anna Gargiulo. In questo però mi viene sempre in soccorso Maria Rosaria, che con certosina pazienza ha iniziato a scorrere gli elenchi dei processetti dei matrimoni ecclesiastici della città di Napoli, facendo leva sui pochi dati a nostra disposizione, cioè l’anno di nascita di mio nonno e la tradizione familiare secondo la quale era il primo figlio della coppia.
Trovata l’indicazione dell’anno e della parrocchia del matrimonio, la ricerca ha iniziato a scorrere più facilmente, grazie anche alla cortesia del personale di sala dell’Archivio Diocesano, che qui colgo l’occasione per ringraziare del valido aiuto che ci ha dato.
Della famiglia d’origine di mio nonno abbiamo poi trovato traccia sui registri di una delle parrocchie cittadine soppresse, i cui registri sono conservati in Archivio Diocesano, e dove abbiamo scoperto che oltre al fratello, Ciro, a me noto attraverso i racconti di mio padre, Pasquale ha avuto anche due sorelle, entrambe emigrate negli Stati Uniti. Sempre attraverso i registri parrocchiali abbiamo saputo che entrambe si erano sposate negli Stati Uniti, ma nonostante avessimo molti dati, non è stato possibile avere loro notizie su vari databasesonline: d’altra parte il cognome De Rosa è alquanto diffuso e non solo in Campania, è comunque sempre meglio procedere con circospezione ed estrema prudenza anche nel caso di cognomi rari, dato che si può sempre incappare in omonimie.
Di una certa importanza devo dire che si è rivelata la tradizione orale familiare, in questo caso rappresentata da mio padre, Gennaro, dal quale in una sorta di intervista dal vivo fattagli da me e mia moglie nella lontana estate del 2009 ho avuto delle preziose notizie inerenti la nostra famiglia che ho usato come base per avviare la mia ricerca sulla piattaforma del MiBACT Antenati che si è rivelata di importanza decisiva. Infatti con molta pazienza e sempre guidato dalle mie capacità di storico e da quelle di genealogista di mia moglie ho avuto modo di poter risalire sino ad un Lorenzo De Rosa, nato all’incirca nel 1762, figlio di Vincenzo, e a sua moglie Caterina Rocco, nata all’incirca 1755, risalendo così alla prima metà del 1700 e andando indietro di ben 6 generazioni.
Ciò grazie non solo alla stringa di ricerca “cerca i nomi”, ma anche ad una consultazione dei dati contenuti nella sezione Archivio di Stato di Napoli inerente battesimi, matrimoni e morti – cioè l’anagrafica tradizionale – ma anche i processetti matrimoniali, che hanno lo stesso nome di quelli in vigore per la Chiesa Cattolica da un breve di Papa Paolo V del 1605, ma che ne sono la versione “laica”; ricchissimi per mia fortuna di notizie e di spunti di ogni genere, dai nomi delle parrocchie, a quello dei parroci, dei genitori degli sposi, all’indirizzo esatto della casa da loro abitata, al tipo di lavoro (nel mio caso la dizione generica è quella di commerciante, che restringe parecchio il campo di ricerca anche se, mancando a Napoli la possibilità di accedere ai dati dell’Archivio Storico della Camera di Commercio, non è possibile per il momento poterne sapere di più).
Per ora mi sono fermato a metà del XVIII secolo, ma senza i dati di Antenati, questa ricerca non sarebbe stata veramente possibile.
Che aggiungere? Mi auguro per il prossimo futuro di poter ritornare a Napoli per completare la mia indagine e scoprire ancora tanto di una città che ho imparato a sentire mia.
Auguro a Voi tutti molta fortuna con le Vostre ricerche sul Portale Antenati.
Fin da bambina ho sentito mia madre raccontare con molta nostalgia storie e fatti accaduti alla sua famiglia, storie a volte tristi, spesso con il rimpianto per le persone scomparse e con i ricordi appannati dal trascorrere del tempo. È forse per questo che anni fa decisi di mettere ordine nella memoria per tentare di ricostruire parte delle vicende di famiglia, unendo i ricordi ai documenti, e dare voce e storia ai miei antenati materni, per farli uscire dall’oblio del tempo trascorso perché, come scrisse Jules Renard “…l’acqua limacciosa della memoria dove tutto ciò che cade si nasconde. Se la si muove, qualcosa torna a galla.”
Decisi così di far tornare a galla qualcosa del mio bisnonno materno, Urbano D’Antoni nato a Roma nel 1845, giardiniere per una famosa famiglia romana del tempo. Conoscevo solo vagamente la data della sua morte, per cui mi recai al cimitero monumentale del Verano, dove un impiegato verificò negli archivi la data del seppellimento nel 1909, la provenienza dal Policlinico Umberto I e la paternità Sante D’Antoni. Sapevo che la famiglia D’Antoni era sempre vissuta a Roma nella zona di San Lorenzo fuori le Mura, dove aveva avuto delle proprietà, quindi perché non tentare e cercare all’Archivio di Stato negli atti notarili? A volte penso che i nostri antenati vogliano essere “trovati” nelle carte ingiallite degli archivi, perché con incredibile fortuna trovai un primo riferimento a Sante D’Antoni, nato circa nel 1817 da Vincenzo e morto nel 1869 senza testamento. Il figlio Urbano già maggiorenne e la vedova, seconda moglie di Sante, procedevano all’inventario delle poche suppellettili lasciate e dei debiti, per tutelare anche i cinque figli ancora minorenni. Continuando la ricerca negli atti dei Notai Capitolini riuscivo a ricostruire moltissime vicende dei D’Antoni, arrivando alla prima metà del 1700. Atto dopo atto, è venuto fuori che spesso le storie raccontate non erano esatte: ad esempio, Urbano non era stato privato dei beni paterni dalla matrigna, perchè in realtà Sante aveva già ceduto tutto ad un fratello, probabilmente per debiti.
Le notizie più interessanti le ho trovate nel Portale degli Antenati, dove tra atti di nascita, morte, matrimoni e allegati ho scoperto che il mio bisnonno Urbano aveva avuto una prima moglie, Virginia Tonnini e, rimasto vedovo dopo molti anni, aveva sposato la mia bisnonna Clarice Tilesi di Amatrice, anche lei vedova e con un figlio. Nessuno in famiglia sapeva della prima moglie, nè del figlio di Clarice nato dal primo matrimonio! Quindi questo bisnonno, che veniva ricordato per aver rinunciato a diventar prete perchè conquistato dalla bella Clarice, si era in realtà sposato due volte e, come risultava dagli atti sul Portale, aveva avuto cinque figli dal matrimonio con lei. Vita non facile la sua, perché nel giro di pochi anni morirono tre figli, il primo figlio di Clarice e lei stessa, lasciando Urbano di nuovo vedovo e con due figlie piccole. Una delle figlie, Emma, diventerà mia nonna, sposando Tarquinio Di Rocco di Monte Porzio Catone. Questa notizia ha allargato la ricerca sul Portale degli Antenati, portandomi dai Tilesi di Amatrice ai Di Rocco di Monte Porzio Catone, ai Bozzano di Mondovi e a tanti altri antenati ad essi collegati, consentendomi di smuovere quell’acqua limacciosa della memoria e facendo tornare a galla storie e fatti sconosciuti della mia famiglia.
Nel lontano 1998 trovai un sito Internet che offriva la possibilità di consultare online l’elenco telefonico degli Stati Uniti d’America. Senza pensarci troppo, digitai “Ribacchi” e lanciai la ricerca. Con mia grande sorpresa comparve sullo schermo una lista contenente almeno una dozzina di nominativi a me sconosciuti, che scatenò in me la grande curiosità di sapere chi fossero quegli individui e che relazioni avessero con me.Sempre grazie ai potenti mezzi messi a disposizione da Internet ho cominciato a raccogliere piccoli tasselli, che mi hanno consentito di ricostruire a poco a poco la loro storia.Un traguardo importante l’ho raggiunto nel 2001, quando è stato possibile accedere liberamente e via Internet agli archivi di Ellis Island che mi hanno consentito di rintracciare buona parte dei flussi migratori che hanno portato la famiglia Ribacchi nel Nuovo Continente.
Tutto ebbe inizio dall’Italia, a Fossato di Vico, in Umbria, dove Bernardino Ribacchi, nato nei primi anni dell’800 da Pietro e sua moglie Rosa Vantaggi, figlia di Sante, ebbero 10 figli: Giovanni, Palmira, Matilde, Giuseppe, Filippo, Augusto Sempronio, Augusto, Nazarena, Maria Anna, Luigi e Cecilia.
Cinque dei loro figli – Giovanni, Giuseppe, Augusto, Luigi e Cecilia – decisero di dare una svolta alle loro vite, partendo alla volta degli USA tra il 1892 ed il 1908 e stanziandosi, inizialmente, nella città di Frontenac, contea di Crawford in Kansas, dove i ricchi giacimenti di carbone offrivano grandi opportunità di impiego soprattutto per i numerosi immigrati. Successivamente le loro vite si divisero: Giovanni lavorò in miniera tutta la vita, Giuseppe si trasferì a Detroit, Michigan, trovando impiego presso la Ford, Augusto rimase in Kansas, Luigi e Cecilia si stabilirono in Pennsylvania.
Una delle emozioni più grandi è stata quando Emilio Ribacchi, figlio di Luigi, rispose ad una mia lettera con una calligrafia ordinata, in un italiano imperfetto. Mi spiegò che il padre Luigi aveva sempre preteso che in casa le origini italiane fossero onorate e mantenute vive e pertanto gli aveva insegnato l’italiano. Questa nostra corrispondenza non si è mai interrotta, nonostante Emilio abbia superato i 90 anni.
La dedizione con cui iniziai a raccogliere, analizzare, sistemare le tante informazioni che andavo collezionando si sono ben presto trasformate in una vera passione per la ricerca genealogica.
Curiosità, emozione, passione sono, dunque, gli ingredienti che negli anni hanno fatto di me un dilettante appassionato, a metà strada tra l’uomo ordinario e lo specialista, tra il profano e il virtuoso, l’ignorante e il dotto, l’artigiano e l’esperto. Mentre acquisivo nuove competenze le mettevo subito in pratica trovando nuovi “pretesti”, allargando la ricerca a tutte le famiglie dei mie nonni: quindi non solo Ribacchi, ma anche Battaglia, Laureti e Ferretti.
Già in quegli anni l’offerta di banche dati online in America era straordinariamente ampia e variegata (censimenti nazionali, annuari scolastici, giornali locali, certificati di naturalizzazioni, registri civili, cimiteri, immigrazione, fascicoli militari, ecc.) e molto spesso gratuita, consentendomi di procedere molto velocemente nella ricostruzione delle vicende del ramo americano dei Ribacchi, ma come arrivavo in Italia la ricerca si bloccava bruscamente per le tante difficoltà nell’accedere ai nostri archivi.
Tornando indietro al 2010, decisi di aprire uno nuovo capitolo di ricerca sulla famiglia di mio nonno materno, i Battaglia, originari di Termini Imerese. All’epoca non avevo alcun archivio online a disposizione e abitando a Roma mi era impossibile recarmi sul posto, ma la svolta la ebbi sempre sul web. Rintracciai una comunità di famiglie originarie di Termini Imerese emigrate negli States. Come molti altri americani avevano molto a cuore le loro origini e attraverso l’accesso agli archivi gestiti dalla Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (ovvero la Chiesa mormone), ti inviavano per pochi dollari copie dei registri di stato civile di Termini Imerese. E fu così che, con una incredibile e surreale triangolazione tra le due sponde dell’Atlantico, sono riuscito a metter ordine anche nella famiglia Battaglia.
E poi ci fu l’avvento del Portale degli Antenati, che ha finalmente liberato un patrimonio informativo ricchissimo e che ha rimesso in moto i miei tanti filoni di ricerca, aprendone di nuovi.
L’originario obiettivo di individuare l’anello di congiunzione fra il ramo americano dei Ribacchi e il mio, sebbene con qualche progresso, resta ancora non raggiunto stimolandomi, però, a trovare nuove strade da percorrere e nuovi archivi da esplorare.
E fu così che decisi di varcare la soglia del misterioso mondo degli Archivi di Stato (quelli fisici), in particolare di quello di Roma, che è ospitato presso la magnifica sede di Sant’Ivo alla Sapienza. L’iniziale disagio di sentirsi fuori posto, di porre domande sciocche è stato subito spazzato via dalla professionalità e dalla cortesia del personale, che mi ha saputo rapidamente consigliare e indirizzare.
Sfogliare antiche e consunte carte sotto i maestosi e pregiati soffitti della Biblioteca Alessandrina rappresenta un momento in cui curiosità, emozione e passione continuano a rincorrersi e ad agitarsi dentro di me.
Al Cimitero monumentale del Verano di Roma ho una tomba di famiglia dove sono sepolti mio padre, i suoi genitori e i suoi nonni paterni. Da sempre, ogni volta che sono andato a trovare mio padre e a portargli dei fiori, mi sono interrogato su chi fosse e che vita avesse fatto il mio bisnonno Oreste.
Infatti, ho conosciuto mio padre, così come mia nonna, mentre di mio nonno me ne hanno sempre parlato sia mio padre che i miei altri zii: ma del bisnonno Oreste niente, nessuno sapeva dirmi niente. E la mia curiosità è cresciuta man mano che passavano gli anni.
Ho cercato di sapere in ogni modo qualcosa sul suo conto, e alla fine sono arrivato alla conclusione che l’unico modo per sapere qualcosa su di lui, e magari sui suoi genitori, fosse trovare in qualche modo il suo atto di nascita. Dopo anni di ricerca, casualmente, mi sono imbattuto nel portale degli Antenati, e mi si è aperto un mondo.
Con la falsa speranza di poter trovare un lontanissimo antenato che risultasse essere stato un uomo importante per la storia italiana, ho cominciato la mia ricerca partendo proprio dall’atto di nascita di Oreste Grandi. E qui ho trovato molto più di quanto sperassi.
Viene riportata non solo la data, ma anche la via dove era nato, e naturalmente i nomi dei genitori, i miei trisavoli, e i nomi dei loro genitori, i miei “quadrisavoli”!, la loro professione, e la firma di suo padre, del mio trisavolo: Raffaele Grandi.
Non nascondo l’emozione che ho provato mentre leggevo l’atto di nascita del mio bisnonno, con non poche difficoltà iniziali vista la scrittura con cui era stato redatto, e le lacrime che mi sono affiorate agli occhi quando ho letto la firma di Raffaele. E’ stato come rivivere, anche solo per un istante, la scena della sua mano che in maniera insicura scriveva il suo nome. Insicura, sì, perché continuando a scavare in un passato che fino a quel momento mi era sconosciuto, ho scoperto che in effetti Raffaele doveva essere analfabeta, come molte persone all’epoca: era nato intorno al 1830 a Bologna, purtroppo da genitori ignoti, e si era sposato, probabilmente intorno al 1865 (purtroppo non so ancora dove), con Maria Liberata Castiglia, originaria di Goriano Sicoli, in provincia de L’Aquila.
Ho inoltre scoperto che il mio bisnonno non era figlio unico, come avevo pensato fino ad oggi: ha avuto altri fratelli e sorelle, non tutti purtroppo sopravvissuti alla nascita, ma un paio si sono sposati a Roma e quindi potrei avere dei cugini “alla lontana” che non sapevo di avere.
E anche mio nonno, che da sempre sapevo fosse stato figlio unico, in realtà lo è stato per motivi di forza maggiore, in quanto ultimo di una lunga serie di nascite finite male, perché tutti i suoi fratelli e sorelle sono praticamente morti alla nascita.
Che i Grandi fossero originari dell’Emilia lo avevo già capito: è lì che si concentra il maggior numero delle famiglie che portano questo cognome. Purtroppo leggere che fosse figlio di ignoti non mi dà molte speranze di trovare altri antenati dalla sua parte. Oltre al fatto che, al momento, nel Portale degli Antenati non sono stati ancora resi consultabili gli atti di nascita di Bologna. E da quello che ho capito, tra quelli che verranno pubblicati non sono presenti gli atti che riguardano gli anni che a me interessano, quelli appunto tra il 1828 e il 1830, quando dovrebbe essere nato Raffaele.
Di contro, però, sono riuscito a risalire indietro nel tempo dall’altra parte dell’albero genealogico, cioè dalla parte della mia trisavola Maria Liberata Castiglia, il cui cognome viene stravolta nei vari atti di nascita e morte dei suoi figli: prima Castigli, poi Castiglio, infine addirittura Castelli. Non è stato facile ricostruire la sua storia ma sicuramente è stato affascinante.
Così come è stato emozionante trovare la sua tomba al Cimitero del Verano di Roma: mi sono presentato agli uffici relazioni con il pubblico con il nome e la data di morte, nella speranza di trovare lei insieme al marito.
La tomba c’era, il difficile è stato cercarla all’interno del cimitero nonostante avessi ricevuto indicazioni corrette. Era completamente abbandonata, ricoperta di piante e con la lapide quasi del tutta divelta. Ma era lì, con la foto della mia trisavola e di un uomo, che non era come speravo il mio trisavolo, bensì il suo secondo marito, sposato quando Raffaele Grandi era già morto, tale Francesco Narduzzi.
Un’emozione dopo l’altra, così come è stato emozionante tornare indietro nel tempo, fin quasi all’inizio del 1700 e rivivere in un certo senso la vita di campagna e di pascoli che si viveva sulle montagne intorno L’Aquila. La famiglia Castiglia dal 1800 (e forse anche prima), ha praticamente colonizzato l’intero paese di Goriano Sicoli, intrecciando matrimoni con altre 3-4 famiglie, tanto che per anni non nascevano altro che figli di “Castiglia” nel paese. Contadini, bifolchi, allevatori: tutti lavori umili, ma estremamente importanti.
L’atto originale più antico che ho trovato è un atto di morte del 1815 di un lontanissimo parente, tale Germano Castiglia, morto appunto nel 1815 all’età di 67 anni (per cui era nato nel 1748) figlio di Onofrio Castiglia, che verosimilmente, alla nascita del figlio, avrà avuto tra i 20 e i 30 anni ed era nato, quindi, tra il 1718 e il 1728.
Includendo anche i miei figli, sono riuscito a disegnare un albero genealogico, con tanti rami ancora da esplorare e ricostruire, di ben 10 generazioni, dal 1720 circa al 2017: 300 anni di storia, storia di una famiglia, la mia, la famiglia Grandi. Che nel suo percorso si è intrecciata con molte altre.
Da sempre ho avuto un interesse quasi morboso per tutto quello che riguardava i miei antenati, soprattutto per quelli che non ho mai conosciuto. Infatti, fin da piccolo, chiedevo con insistenza di parlarmi dei nonni e stavo ad ascoltare estasiato come i bambini ascoltano i racconti dei grandi o le fiabe.
Poi da grande, ho deciso di ordinare tutte le informazioni che avevo sentito scoprendo che non sempre le persone ricordano nello stesso modo. Da subito ho intuito che tra i miei avi non avrei trovato regnanti, cavalieri o chissà quali personaggi storici e certamente non era e non è questo il motivo che alimenta il mio interesse. Mi interessa sapere chi sono stati i miei ascendenti, conoscere di ognuno di loro chi è stato il padre, la madre, la moglie e gli eventuali figli.
Provo molto piacere a scorrere i loro nomi e mentre cerco di trovare un nuovo ascendente sento un affetto semplice e dolce come quello che provo nel ricordare i nonni materni che ho conosciuto.
Se é vero che il futuro nasce dal passato, vuol dire che nel passato ci sono le radici della nostra esistenza ed è quindi fondamentale che io trovi, oggi, quello che i più vecchi ricordano o quello che contengono i documenti ancora reperibili visto che già molto del passato non è più reperibile.
Dopo la nascita dei miei nipoti, desidero lasciare primariamente a loro tutte queste notizie e secondariamente a tutti i componenti della discendenza di SantoMiuccio da Limina (c. 1722).
Le fonti che ho utilizzato, oltre l’archivio storico del Comune di nascita di mio padre, sono alcuni portali presenti su internet; ho consultato molte banche dati, tra cui il portale Antenati, centri specializzati di araldica e banche dati gestite da credenti di religioni di oltre oceano come i Mormoni.
Per diversi mesi, ho consultato gli atti di stato civile del Comune di Limina, dal 1820 al 1865 ed anche gli indici decennali che si possono trovare per gli anni fino al 1910. Ho cercato e trascritto i dati dei documenti che si riferivano a persone con il cognome Miuccio. Dopo un po’ si familiarizza con la metodologia di ricerca e io ritengo molto utile andare sempre alla fine dei documenti di un anno, perché in fondo e se esiste, si trova l’indice degli atti ed è quindi molto più veloce consultare l’indice per poi eventualmente risalire random all’atto del proprio antenato.
In un secondo tempo, navigando nel sito di Familysearch ho scoperto che in America, presso la Genealogical Society of Utah, si possono trovare le riproduzioni in microfilm di altri registri storici di Limina chiamati riveli relativi agli anni 1584-1816. Questi registri sono documenti tipici siciliani utilizzati tra il XVI e il XVIII secolo per determinare la contribuzione finanziaria delle famiglie sulla base dello stato patrimoniale del nucleo famigliare.
I riveli di beni ed anime sono documenti di primaria importanza nella ricostruzione dell’albero genealogico di una famiglia in quanto rappresentano una preziosa fonte di informazioni non solo sul suo status economico ma anche sulla sua composizione nel momento specifico della loro compilazione. Vengono infatti riportati il nome e cognome del capofamiglia, l’età e la provenienza, a volte l’indicazione della paternità e della maternità; inoltre nome della moglie, nomi ed età dei figli maschi, nomi delle figlie femmine ed eventuali conviventi consanguinei, affini e non consanguinei (servitori e personale vario).
Per il Comune di Limina si conservano i riveli redatti negli anni 1548, 1569, 1584, 1593, 1607, 1616, 1623, 1636, 1651, 1682, 1714, 1748 e 1811.
Poiché i riveli non sono consultabili on-line ma è possibile avere a disposizione i relativi microfilm per 90 giorni presso un centro Familysearch, ho ordinato la copia dei 13 microfilm alla sede centrale negli Stati Uniti e dopo un mese li ho avuti a disposizione nel centro per me più vicino, a Lampugnano (San Siro).
L’analisi dei registri mi ha permesso di rintracciare cinque documenti relativi a membri della famiglia Miuccio, tutti del sec. XIX, mentre dal 1584 al 1747 non ho trovato niente. In particolare, i cinque riveli trovati riguardano: Giuseppe Miuccio (1811, 1816), Rosario Miuccio (1811), Carmela Galifi in Miuccio (1811), Francesco Miuccio (1811).
Al termine della ricerca, che ha riguardato ben 43 paesi della valle d’Agro o della provincia di Messina, avevo raccolto una gran mole di informazioni certe e documentate che mi hanno costretto a utilizzare il programma gratuito di Myheritage per memorizzare tutti i dati anagrafici e tutte le eventuali annotazioni o informazioni da me conosciute.
Ho analizzato tutti gli atti di stato civile dei 43 paesi e solo in dieci ho trovato miei ascendenti mentre solo in sei ho trovato discendenze dei Miuccio, rintracciando i singoli esponenti della famiglia che si erano spostati dando origine ai nuovi rami.
Inoltre, a Vico del Gargano, unico paese non in Sicilia, nel 1587 sono vissuti dei Miuccio la cui discendenza per un errore di trascrizione ha cambiato cognome da Miuccio in Miucci. Questo errore è documentato dall’atto di nascita di Giovanni Battista Miucci del 12 marzo 1672, nel quale viene indicato che il padre è Valentino, nel cui atto di nascita del 2 aprile 1637 viene riportato il cognome Miuccio. Anche l’atto di morte di Giovanni, nonno di Giovanni Battista indica che è morto il 16/09/1661 a 44 anni e quindi nato nel 1617 facendoci dedurre che il padre Francesco sia nato presumibilmente intorno al 1587.
I risultati del mio lavoro sono confluiti in due pubblicazioni: il volume Gli antenati ritrovati descrive la metodologia delle ricerche e riporta le notizie che ho raccolto su alcuni Miuccio fin dal sec. XVII, elencando le famiglie dal primo antenato rintracciato fino a quelle più recenti. Il secondo Documentazione delle ricerche genealogiche dei Miuccio contiene per sei paesi dove sono vissuti i Miuccio, gli elenchi delle persone, la ricostruzione degli alberi genealogici, gli atti di nascita, di matrimonio e di morte che ho ricevuto dal Comune di Limina o ricavate dai registri di stato civile.
Inoltre, tramite queste ricerche ho conosciuto parenti con i quali non avevo mai avuto rapporti: a Limina, in America, a Torino, a Chivasso, a Catania ed a Messina. Molti di loro mi hanno chiesto copia dei due libri che ho scritto e con piacere ho inviato loro o il testo in formato PDF oppure, per chi non era molto pratico, la copia stampata del primo.
Ora tutti mi considerano l’esperto della discendenza Miuccio e dai parenti sono arrivate altre richieste: mia moglie mi ha chiesto di fare altrettanto con la sua discendenza, un cugino di mia moglie, residente a New York, mi ha chiesto di fare le ricerche e pubblicare il libro in inglese visto che la moglie pur essendo di origine calabrese ed il figlio non leggono e non capiscono bene l’italiano.
Anche per loro ho effettuate le ricerche sia per gli americani discendenti da mia zia Miuccio che per il cugino di mia moglie discendente dai Magnoli.
Anche a Limina alcuni parenti diretti e indiretti parlano di queste ricerche, nel sito “siete di Limina” ho pubblicato dei brani relativi ai primi ascendenti ed ora su FB molti dei residenti sono in contatto con me per parlare di quello che avviene nel paese e gli emigrati che li seguono da lontano possono leggere brani che parlano dei loro antenati.
Sarebbe bellissimo poter consultare delle sintesi on line o meglio digitalizzare tutte queste immagini facendosi aiutare da tutte le scuole di informatica in Italia ed anche dalle università. Dovrebbe far parte del programma di studio, partecipare alla indicizzazione dei dati per acquisire esperienza didattica e per contribuire alla memoria dei ricordi.
La scatola delle fotografie era uno degli oggetti più magici della mia camera. Da bambina, poche volte mi capitava di aprirla, ma era sempre un incanto rivedere quelle foto, alcune color seppia, altre in bianco e nero. Era per me la scatola delle meraviglie. Ogni volta liberavo tutti i racconti che quelle immagini si portavano dietro, e con essi la speranza di poterli far rivivere. Finchè una cosa non si dimentica, non muore mai, e fu proprio il desiderio di tenere in vita queste storie che mi spinse ad avviare le ricerche sulle mie origini materne. Certo era difficile capire da dove iniziare, ma potevo contare intanto sui racconti di famiglia, veri o presunti che fossero. In particolare quello che mi aveva sempre incuriosito più degli altri riguardava la nonna Fanny (Francesca), baronessa Pisani Ciancio, mia trisavola catanese, ma di origini inglesi. Da che parte dell’Inghilterra proveniva?
Come mai dall’Inghilterra alla Sicilia? Che fine aveva fatto il nome inglese dei Medstone, così citato di madre in figlia? Provai dunque molto banalmente a fare alcune ricerche in rete, inserendo semplicemente il suo nome, e qui la fortuna del principiante si rivelò in tutta la sua onnipotenza: non solo trovai citati i baroni Pisani Ciancio, ma il nome di Fanny era contenuto niente meno che nel volume The Plantagenet Roll of the Blood Royal, l’albero genealogico dei Plantageneti. Fu così che in un solo istante mi trovai faccia a faccia con otto secoli di antenati fra i quali potevo annoverare niente meno che il re d’Inghilterra Edoardo III. A questo punto nulla al mondo avrebbe potuto frenare la voglia e la curiosità di scoprire di più. Era ovvio che non mi sarei accontentata di leggere semplicemente il nome della mia trisavola in quelle pagine. Volevo prove certe di tale nobile discendenza. Fu così che, sulla base di quanto scoperto, iniziai a chiedere certificati di nascite, matrimoni e morti sia in Sicilia sia in Inghilterra, dove riuscii a trovare miracolosamente un intero volume sulla famiglia Medhurst, vero cognome della famiglia d’origine, storpiato con gli anni nel citato Medstone (da Medhurst a Medstone effettivamente il passo è breve). Un intero ramo, ma forse più che un ramo, un vero e proprio tronco, della mia famiglia era stato scoperto, mentre le ricerche iniziavano a dare i loro frutti, allargando sempre più l’orizzonte.
Ma la chiave di volta, il trait d’union con la nobiltà inglese, il vero protagonista di questa storia si rivelò essere William Granville Hastings Medhurst, colui che dall’Inghilterra (precisamente dallo Yorkshire), dopo il tremendo omicidio della madre da parte del padre, e dopo essersi arruolato nel 27th Inniskilling Regiment of Foot della British Army, prendendo parte ad alcune delle prime importanti battaglie delle guerre napoleoniche, intorno al 1813 arrivò in Sicilia dove conobbe Fortunata, una ragazza di Messina. Se ne innamorò e la sposò. Fu un matrimonio felice che portò ben nove figli, fra i quali Frances, moglie del barone Enrico Pisani Ciancio e nonna di Fanny. Il cerchio era chiuso e le risposte alle mie domande, esaurite. Era come aver completato una parte di me stessa. Ma quante altre parti restavano e restano tuttora in sospeso? La scatola delle meraviglie è ancora aperta.
Mi chiamo Giovanni Fiesoli, vivo a Legri (Comune di Calenzano, provincia di Firenze) e sono un elettrotecnico in pensione e grande appassionato di briscola. Da queste passioni credo di aver tratto la capacità di intrecciare connessioni e reti complesse, come accade nel mio albero genealogico, che conta oltre il ramo principale, circa un centinaio di famiglie, snodandosi – per ora – dagli inizi del Cinquecento fino a oggi.
Ho cominciato a riflettere sulla storia della mia famiglia quando nel 2009 il mio Comune di residenza nella piana fiorentina, Calenzano, pubblicò un calendario con illustri concittadini ed eventi particolari del territorio. Mi chiesero informazioni su mio bisnonno Achille, bersagliere, presente alla presa di Porta Pia, a Roma. Le notizie in mio possesso erano i racconti familiari, supportate da qualche documento, come il suo congedo militare, la dichiarazione del Comune di Roma con il diritto di «fregiarsi della Medaglia de’ benemeriti della liberazione di Roma», l’altra medaglia accompagnata dalla fascetta relativa alla partecipazione alla Campagna della Terza Guerra d’Indipendenza, conservati con un certo orgoglio in casa.
L’occasione ha innescato la scintilla e mi sono chiesto come poter conoscere in maniera documentata le origini della mia famiglia, dando corpo ai tanti “si dice”, che avevo sentito fin da bambino.
Non ho fatto altro che attraversare la strada davanti casa, abitata da cinque generazioni dalla famiglia Fiesoli, e recarmi alla Pieve di San Severo a Legri, chiedendo informazioni sui documenti riguardanti gli abitanti del paese alla metà dell’Ottocento.
Sono stato abbastanza fortunato, perché, sebbene al momento della mia ricerca l’archivio parrocchiale fosse temporaneamente in deposito presso il fiorentino Archivio arcivescovile, erano, però, ancora presenti a Legri i registri degli atti di morte. Sono così arrivato al documento di morte del padre di Achille, Paolo. A questo punto il passaggio verso l’Archivio arcivescovile è stato naturale e ho cominciato a frequentare questo Istituto e a sfogliare i documenti lì conservati. Proprio questi stessi documenti mi hanno guidato verso altri Archivi: l’Archivio diocesano di Prato e l’Archivio di Stato di Prato, ai quali si sono aggiunti l’Archivio storico del Comune di Calenzano, l’Archivio della parrocchia di S. Silvestro a Barberino di Mugello e infine l’Archivio diocesano di Pistoia. Ogni Archivio ha portato nuove informazioni, tratte chiaramente dai documenti, ma non solo… Anche le persone con cui mi sono interfacciato, utenti e personale degli Istituti, sono state fonti preziose per i suggerimenti di ricerca. Grazie a una di queste indicazioni, ho scoperto il Portale Antenati e le possibilità di indagine che esso offre: è stato anche un modo per cominciare a prendere confidenza con il mondo della tecnologia informatica e con il web, un mondo che fino ad allora avevo guardato solo da lontano.
Non mi sono più fermato: la curiosità e la passione, unite a una buona dose di perseveranza, mi hanno portato a inforcare la strada della ricerca genealogica. Seguendo le tracce della mia famiglia, in tutte le sue varie ramificazioni, partendo dai “si dice” incamerati negli anni, ho costruito una mappa mentale dell’area geografica nella quale essa ha vissuto: si tratta di un territorio circoscritto a una cinquantina di chilometri a nord-ovest rispetto a Legri, su cui i miei antenati sono attestasti con caratteristiche di stanzialità. Conseguentemente ho imparato a conoscere l’impianto delle parrocchie e delle pievi sparse sul territorio di mio interesse.
Questa ricostruzione accurata è stata possibile non solo con la ricerca documentaria, ma anche con vere e proprie spedizioni sul campo, attraverso numerose escursioni a piedi e in bicicletta, per le colline che vanno da Calenzano alla Val Marina, e da qui alla Val di Bisenzio fino all’Alto Mugello. Dietro con me ho sempre portato una macchina fotografica, con cui ho immortalato chiesette, cimiteri, viottoli, casolari, destando la curiosità dei pochi abitanti rimasti in queste sperdute località: ho posto loro domande, una sorta di interviste, che hanno costituito le preziose fonti orali utili ad arricchire il bagaglio di informazioni che stavo ricostruendo.
Contemporaneamente battevo a tappeto la documentazione, sfogliando interi registri di atti di battesimo, matrimonio e morte, stati delle anime e annotando non solo i nomi dei Fiesoli, ma anche le numerose famiglie in rapporto di parentela con loro. In un turbinio di informazioni non tutte completamente strutturate, ho imparato a leggere le diverse grafie dei documenti e la forma di questi. Al tempo speso nei diversi Archivi va aggiunto il tempo dell’elaborazione dei dati, per dare ordine alla complessità di informazioni e sintetizzarle con una rappresentazione grafica efficace e di immediata lettura, grazie anche al ricorso a colori diversi per individuare le diverse linee familiari: un semplice stratagemma per la mia memoria visiva! In questo lavoro ho sperimentato la pazienza e quanto sia gratificante scoprire il più piccolo indizio, appiglio per aprire nuove vie … Non sono mancati errori, miei e dei documenti, che spesso mi hanno fatto individuare con certezza una persona solo dopo non poche difficoltà: prezioso si è rivelato allora il bagaglio di quest’esperienza, per sciogliere con maggior velocità altri nodi, evitando fuorvianti fuoripista.
Una delle mie maggiori tribolazioni è sorta, ad esempio, nell’identificazione della madre del bersagliere Achille, Anna Nuti. Sul suo atto di morte, registrato nel Comune di Calenzano nel 1901, la si dichiara nata a Prato, figlia di Vincenzo e di N.N.. La mancanza di informazioni sulla madre della donna mi ha condotto ad imboccare numerose piste, rivelatesi poi errate, nell’individuazione di questa figura, anche perché di Anna Nuti, alla metà dell’Ottocento sul territorio pratese, ve ne sono diverse. Oltretutto, mi domandavo con insistenza, perché mai questa donna, le cui prime informazioni sembrerebbero legarla a Prato, si sposò nel 1841 a Santo Stefano a Secciano, in Val di Marina, con Paolo Fiesoli? Fu proprio la registrazione di questo matrimonio trovata nell’archivio parrocchiale a suggerirmi la giusta via. Il documento annota che la donna era figlia di Vincenzo Nuti di Legri e Teresa Bonaiuti, residente a Canneto, località pedemontana all’inizio della Val di Bisenzio. Cercai, allora il loro matrimonio presso l’Archivio di Stato di Prato: nella ricerca non trovai alcun documento in merito.
A questo punto mi concentrai sulla nascita di Anna Nuti, approssimativamente attorno al 1820, figlia di Vincenzo e di una certa Teresa. Dopo estenuanti ricerche la trovai: da qui risulta figlia di Teresa Fiesoli.
Con ulteriori approfondimenti riuscii a precisare ulteriormente l’identità di Teresa Fiesoli e di Vincenzo Nuti, scoprendo che Vincenzo, storpio a un braccio, sposò Teresa, vedova con un figlio di primo letto. Vista la sua condizione fisica, che gli impediva di lavorare, e l’arrivo di cinque figlie, Vincenzo decise di affidare la figlia Anna a sua sorella Stella, coniugata con Angiolo Berretti e senza figli, residenti nella piccola località di Cupo, posta a nord di Legri, sull’antica strada che collegava Latera a Legri. Quando Paolo Fiesoli sposò Anna – annota l’atto (Fig. 6) – non era in grado di “accoglierla in casa”, forse perché anch’egli si trovava in ristrettezze economiche: decise, comunque di sposare la ragazza anche perché era incinta del piccolo Giuseppe, nato di lì a due mesi di distanza. L’identificazione di Anna è risultata complessa fin dall’inizio a causa delle prime informazioni presenti sul congedo proprio del figlio Achille, dove era indicata come Anna Rutti.
Cosa raccontarvi ancora … La ricerca è in corso, non ho alcuna intenzione di fermarmi, il traguardo non è raggiunto, anzi … Ho testa, fiato e gambe per correre ancora un po’. Con l’aiuto di mio figlio Francesco sto progettando di informatizzare i numerosi dati raccolti dal 2015.
Anni fa raccontavo a mio figlio episodi di famiglia riguardanti persone che non aveva mai conosciuto, così lui mi chiese di scrivere appunti su di loro e sul legame che ci univa.
Mi aspettava un grande impegno: avrei dovuto ricordare, catalogare, riordinare e soprattutto rendere comprensibili i dati prodotti a chi (ai posteri?) avesse voluto rileggerli.
Cominciai timidamente con un editore di testi capace di inserire organigrammi che potessero somigliare ad un albero genealogico; ma intanto perché non servirsi dei social e dei motori di ricerca per trovare qualcosa sulla rete che potesse rendermi il lavoro più veloce?
Un software online mi consentì di individuare e memorizzare circa 1500 profili di persone della famiglia, di cui almeno la metà non più in vita. Le notizie su ciascuno di loro non erano sempre certe o complete, ma comprendevano almeno sei generazioni passate e presenti.
Le conseguenze di questo approccio furono emozionanti: il motore di ricerca, insieme ai contatti individuati e successivamente confermati sui social network, alimentavano la mia adrenalina al pari di un gioco, di una scommessa, in cui vincevo la conferma delle mie congetture con alta probabilità: la ricerca era diventata una dipendenza necessaria alle mie conoscenze, soprattutto quelle del passato.
Allo stesso tempo, continuavo ad alimentare il mio bisogno di sapere anche con altri mezzi: un cugino aveva una raccolta di documenti relativi ai nostri nonni e agli zii scomparsi; nel cassetto personale di mia madre avevo ritrovato un numero imprecisato di “preci funebri” con i dati anagrafici e la foto di defunti, conoscenti, amici e parenti, che mi avrebbero aiutato nelle connessioni storiche; cominciai a far visita agli archivi anagrafici dei Comuni di nascita dei miei antenati; scoprii che alcuni erano andati distrutti a causa di incendi, che ad altri mancavano i dati anteriori al 1850.
Contattai online l’Archivio di Stato di Salerno, provincia d’origine della famiglia, che aveva indicizzato le liste di leva in un periodo storico limitato, ma forniva informazioni solo sul genere maschile con riferimento ai genitori dell’iscritto.
Rintracciai i discendenti degli avi che attraversarono l’Oceano tra l’Ottocento e il Novecento: li contattai, li abbracciai in Italia, li accolsi nel calore della mia casa, mostrai loro i luoghi degli antenati, raccontai e lasciai che si raccontassero…
All’Archivio di Stato, accompagnata da mia sorella, cercai con successo un dossier sulla vita militare di nostro padre Lucio: a cento anni dalla sua nascita e a trenta dalla morte mi chiedevo perché non gli avessi mai rivolto le domande di cui oggi avevo necessità di risposte.
Da quel momento mi resi conto di aver coinvolto nel gioco anche lei: insieme avremmo potuto ricostruire le nostre radici e regalare a figli e nipoti il prodotto della nostra fame di conoscenza.
Le risposte a tante domande, e purtroppo non a tutte, sono contenute in un volume, Romanzo dei miei spiriti, pubblicato appena un mese fa, che mi piace considerare un dar conto della mia esistenza …
Colgo l’opportunità, che il Portale Antenati offre, di delineare la propria ricerca genealogica, condividendo come richiesto i tre punti cardini della ricerca stessa: motivazioni, fonti consultate, risultati. Preciso però che questi tre punti, almeno per me, vanno intesi in senso dinamico perché nel procedere della ricerca hanno assunto contenuti via via più ampi per divenire le componenti di un percorso volto a rintracciare e posizionare le tessere di quel mosaico mio personale che ha per nome Identità.
Motivazioni
La motivazione iniziale alla mia ricerca genealogica è stata certamente quella, comune a tutti, di rintracciare le mie radici. Ma appena appresa l’esistenza dei vari consanguinei, dei loro dati anagrafici, degli eventi cui parteciparono o in cui furono coinvolti, dei luoghi in cui vissero o agirono, delle altre persone che poterono incontrare nel loro percorso di vita, quella iniziale motivazione si è specializzata in brama di conoscenza storica, politica, geografica, urbanistica, sociale, psicologica.
Fonti consultate
Le fonti consultate sono state ovviamente quelle note e che si riassumono nella tradizione orale, nei documenti e fotografie personali o conservati negli Archivi pubblici (di Stato e comunali) e privati innanzitutto ecclesiastici, nei materiali reperiti nel web.
Per quanto riguarda la tradizione orale, essa ha l’indubbio fascino di “mantenere in vita” persone e fatti spesso però confusi e intrecciati tra di loro nel tempo e nello spazio. Infatti, nella mia famiglia si favoleggiava che fosse stata conferita una specifica onorificenza al mio trisnonno paterno in Palermo mentre avrei poi scoperto che gli era stata sì assegnata una onorificenza ma diversa e a Napoli, mentre quella specifica fu assegnata in Gaeta a suo figlio e mio bisnonno, nato a Palermo: insomma la tradizione orale aveva col tempo “fuso e confuso” persone, luoghi e onorificenze in un “mescolanza” che dovetti “decodificare”. L’abilità del ricercatore deve essere quindi identica a quella dell’investigatore il quale, avendo a disposizione un insieme di dati sparsi e talvolta anche contraddittori o errati, è capace di seguire una traccia che lo porterà alla verità dei fatti. E grazie a tale abilità (che ho scoperto di possedere navigando negli archivi cartacei e informatici) potei rintracciare presso la Sezione Militare dell’Archivio di Stato di Napoli un importantissimo faldone riguardante mio trisnonno Filippo Pavone deceduto nel 1848, che all’epoca era stato registrato erroneamente con l’intestazione “Pavone Giuseppe – pensione di grazia alla vedova – anno 1843”. L’intestazione lasciava intendere che si trattasse di un’altra persona deceduta 5 anni prima, però mi aveva incuriosito il fatto che ci fossero alcuni dati che potevano in qualche modo rimandare al mio trisnonno e cioè il cognome, il fatto che la pratica riguardasse un trattamento pensionistico, il nome Giuseppe che poteva essere un’alterazione di Giuseppa, la figlia maggiore del mio trisnonno, e l’anno 1843, la cui ultima cifra poteva essere stata l’erronea trascrizione di un 8 e che poteva quindi coincidere con quello della morte del mio trisnonno. Il mio intuito non si era sbagliato, il faldone contiene infatti un’articolata pratica di concessione della pensione di giustizia, integrata per meriti di servizio da quella di grazia sovrana concessa di sua mano da re Ferdinando II alle tre figli nubili di mio trisnonno Filippo, la cui maggiore era appunto Giuseppa.
Circa gli Archivi, che ho consultato in molteplici città d’Italia e presso diversi enti pubblici, privati, ecclesiastici, militari, devo purtroppo registrare una diversità di regole e comportamenti dei preposti il che in qualche caso ha rallentato notevolissimamente il procedere della ricerca se non addirittura averla fermata impedendomi, per il momento, di risalire ad epoche precedenti alla fine ‘700. Il Portale Antenati ha reso invece alquanto più facile e veloce la ricerca, grazie al fatto che alcuni nominativi di mio interesse sono stati già indicizzati. Altre importantissime fonti sono state poi i testi specifici di storia che ho consultato volendo ricondurre la mia storia familiare nel contesto delle varie epoche. Infine l’essermi recato nei luoghi dove i miei antenati furono mi ha consentito di immergermi psicologicamente ad occhi chiusi nelle loro realtà, compresi i cimiteri che hanno dato il loro contributo alla ricerca.
Particolare menzione devo comunque dare al gigantesco archivio microfotografico dei Mormoni (correttamente Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni), disponibile anche gradatamente nel Web, di cui mi sono utilmente servito fin dall’inizio della ricerca recandomi presso una loro sede romana e rintracciando basilari registrazioni di atti di mio interesse.
Risultati
Per quanto riguarda il risultato delle ricerche, come ho già detto si tratta in realtà di un percorso conoscitivo, pertanto l’albero genealogico, che per molti costituisce certamente un valido risultato della propria ricerca magari con abbondanza eccessiva di nomi e date, per me rappresenta soltanto uno schema grafico riassuntivo, e in divenire, atto a rappresentare le discendenze e non altro.
Durante questo mio percorso ho vissuto diverse esperienze particolari, descritte nel Diario, e tra queste ne cito di seguito due. Presso la biblioteca del Museo centrale del Risorgimento in Roma sono conservati nel medesimo faldone gli unici memoriali esistenti sulle gesta di unità borboniche durante la campagna di difesa militare del settembre-novembre 1860 contro le truppe d’invasione garibaldine e sabaude. Si tratta dei memoriali relativi al 14° Battaglione Cacciatori e al 1° Reggimento Granatieri della Guardia; ebbene nel primo era tenente poi capitano mio bisnonno Benedetto Pavone e nel secondo suo fratello, il sergente maggiore Carlo Pavone, poi attendente di Benedetto.… immaginate cosa possa aver io provato al cospetto di tali memoriali i quali, mentre per qualsivoglia studioso sono semplicemente i manoscritti di due unità borboniche, per me costituiscono una assoluta particolarità essendo io l’unica persona ad entrambi collegato per motivi di sangue, insomma è come se i due memoriali mi avessero aspettato per oltre un secolo silenziosamente in un faldone d’archivio per consegnare a me solo l’eredità storica di due fratelli miei consanguinei. Inoltre, l’aver trascritto, pubblicato e fatto catalogare nelle principali Biblioteche nazionali i due memoriali, ha risposto al desiderio dei loro estensori di trasmettere ai posteri una testimonianza di veridicità storica che a loro non fu permesso di rendere nota e in tal senso ho percepito di aver svolto una missione che ha travalicato la ricerca genealogica strettamente personale. Una seconda particolarità è quella che nel diario di guerra di mio padre egli vi annotò l’inedita fucilazione di 9 militari italiani a Napoli, da parte dei militari tedeschi, dove egli fortunosamente ebbe salva la vita per non essere stato “scelto” per essere fucilato… la particolarità sta nel fatto che la fucilazione ebbe luogo a ridosso della parete di un edificio in via Cesario Console dove in epoca borbonica esisteva l’alloggiamento militare di mio trisnonno; insomma mio padre che non conosceva alcunché di mio trisnonno e della sua abitazione ebbe salva la vita a ridosso di quella preesistente abitazione… Voglio pensare che sia stata una semplice quanto improbabilissima casualità o una “protezione a distanza di quasi un secolo?
Dal punto di vista storico la ricerca genealogica mi ha permesso di approfondire delle vicissitudini relative all’intero periodo del Regno delle Due Sicilie, grazie all’appartenenza dei miei antenati all’esercito borbonico sia come militari sia come funzionari ministeriali ed avendo essi partecipato ad eventi ben particolari. Sintetizzando, mio trisnonno Filippo, nativo di Gaeta, dopo l’arruolamento in un corpo di élite nell’esercito borbonico quando il Re era esiliato in Sicilia, fu attivo nella difesa delle istituzioni durante i moti del 1848 prima a Palermo, dove scampò dalla morte in un assalto a postazioni di rivoltosi, poi a Napoli dove il 15 maggio, al comando di una Compagnia di granatieri della guardia, si distinse tanto da ricevere la decorazione di cavaliere di diritto dell’Ordine di San Giorgio della Riunione (questi fatti e anche il suo nome sono riportati in vari testi storici). Mio bisnonno Benedetto, invece, al comando di una Compagnia del 14° Battaglione Cacciatori partecipò alla campagna d’autunno del 1860 contro Garibaldini prima e i Sabaudi dopo, sino all’ultimo combattimento di fanteria del 12 novembre dove si distinse venendo decorato con l’onorificenza di cavaliere dell’Ordine di Francesco I. Questi ed altri eventi mi hanno suggerito e permesso di specializzarmi nello studio dell’esercito borbonico e di acquisire diversi volumi di approfondimento delle vicende storiche incontrate nelle mie ricerche d’archivio e familiari. In particolare, le carriere di mio bisnonno e dei suoi tre fratelli, uno sottufficiale dei Granatieri della Guardia e due funzionari dei Ministeri di Guerra e di Marina, e i fatti cui parteciparono, mi hanno permesso di approfondire l’organizzazione generale delle forze armate borboniche nel corso di oltre cento anni.
Un aspetto particolare ha assunto poi l’aver seguito, finché possibile, le sorti di mio trisnonno Filippo e del suo fratello maggiore primogenito Gregorio, appartenenti ad una famiglia molto agiata di Gaeta e di “nobiltà civile”. Pur non essendo più in vigore il maggiorasco, che assicurava ai primogeniti la successione dei beni, il patrimonio rimase a Gregorio, mentre Filippo fu avviato alla carriera militare, sebbene in un corpo di élite come si addiceva ad un rampollo di agiatissima famiglia. Filippo iniziò quindi a Palermo una carriera alquanto pericolosa, perché già si era in tempo di guerra contro la Francia di Napoleone e Gaeta diveniva possedimento napoleonico (da qui si comprende la fedeltà della mia famiglia ai legittimi Borbone). Gregorio rimase a Gaeta a gestire i beni familiari e si sposò ma morì non molto tempo dopo il matrimonio e sua moglie Angela Liberto e successivamente la figlia Cecilia si ridussero a lavori umili, presumibilmente per sopravvenute difficoltà economiche. Invece Filippo, per il quale era stata scelta una vita alquanto difficoltosa, risaliva la scala sociale sposando una agiata giovane appartenente a una altolocata famiglia palermitana e i suoi vari figli maschi ne seguirono l’esempio. Tutto fu poi “rimescolato” con l’Unità d’Italia allorquando i legami tra famiglie di militari borbonici, creati da Benedetto e i suoi fratelli, persero qualunque efficacia e il mio casato entrò nella “normalità”.
Per parte di madre la famiglia d’origine era concentrata nella cittadina tosco-emiliana di Sambuca Pistoiese e in particolare nella frazione di Stabiazzioni che, con altre frazioni, fa ancora capo alla parrocchia di San Pellegrino al Cassero. La famiglia era composta di piccoli proprietari terrieri con gli uomini che integravano le entrate economiche facendo i braccianti mentre mio nonno, come dalle ricerche effettuate, svolgeva anche il mestiere di artigiano nel settore della lavorazione della paglia nella cittadina di Montale dove, per qualche anno, ebbe anche un negozio.
Ma la scoperta più sensazionale è stata aver rintracciato presso l’Archivio centrale dello Stato l’incartamento relativo al conferimento il 4 marzo 1888 a mio nonno Geremia Gherardini della medaglia d’argento al valor civile per aver salvato il 1° agosto 1887 due suoi compaesani dall’annegamento nel fiume Limentra, in località Stabiazzoni del Comune di Sambuca Pistoiese, e questo con manifesto pericolo di perdere lui stesso la vita. Della concessione, da parte di S.M il Re su proposta del Ministero dell’Interno dopo il parere favorevole di apposita commissione e indagine prefettizia di Firenze, venne altresì data menzione nella Gazzetta Ufficiale del Regno del 12 marzo 1888, n. 60.
Messomi quindi in contatto col sindaco di Sambuca Pistoiese, si è deciso di intitolare un sito della cittadina a Geremia Gherardini – Medaglia d’argento al Valor Civile (1856-1915).
Come risultati di sintesi posso accennare ad alcuni miei scritti. La Cronaca familiare in cui descrivo la storia vissuta dei miei antenati sino a mio padre; un Diario in cui annoto giorno dopo giorno, da oltre 25 anni, i singoli passi delle mie ricerche e delle appassionate fantastiche esperienze vissute. Con la Cronaca e il Diario ho potuto quindi dare una dimensione narrativa della ricerca. A questi due scritti associo poi alcune miei testi di storia militare borbonica (catalogati presso le principali Biblioteche di Stato e che riguardano il 14° Battagliane Cacciatori, il 1° Reggimento Granatieri della Guardia, Le truppe estere dell’esercito borbonico dal 1743 alo o1861 ed un prossimo Albo d’onore della Campagna militare 1860) relativi a fatti cui parteciparono i miei diretti ascendenti e collaterali. Aggiungo poi: uno schedario sintetico dei vari componenti l’intero gruppo familiare, diretto e collaterale; una raccolta di fascicoli (quando possibile) per ciascun nominativo contenenti documenti e foto; una raccolta di corrispondenza epistolare (quando non esisteva internet) e di e-mail verso e da enti, familiari e persone; una raccolta di documentazione di supporto; una biblioteca specialistica, soprattutto inerente l’Esercito e la Marina delle Due Sicilie.
Nel comporre ed aggiornare la mia Cronaca familiare ho scoperto e colto un patrimonio umano che mi ha arricchito d’identità; ho potuto così riscontrare in me gli elementi distintivi dei miei antenati. In mio trisnonno Filippo, per la difesa dell’autorità di Stato durante i moti del ’48 a Palermo e Napoli; in suo figlio Antonio, per l’appartenenza tecnica alla Marina Militare; nell’altro suo figlio Michelangelo, per la funzione dirigenziale ministeriale; nel suo terzo figlio, e mio bisnonno, Benedetto, per la fedeltà all’Istituzione di appartenenza ma non oltre il limite umanamente accettabile; e naturalmente nei miei genitori Francesco e Ilda, per la formazione da loro impartitami e che ringrazio d’aver ricevuto.
Ma il vero risultato della mia ricerca genealogica è stata la rivelazione della mia identità di casato e di persona, una identità presente in me da sempre seppur inconsapevolmente, come si può notare nella foto che mi ritrae a 9 anni con la sciabola da ufficiale di mio bisnonno Benedetto in quella residuale abitazione siciliana ottocentesca dove egli morì e dove erano conservate le sue carte.
Concludo questo mio contributo volendo indicare la chiave di accensione che mise in moto la macchina della mia ricerca, ovvero l’aver conosciuto il compianto barone Roberto Maria Selvaggi, all’epoca segretario della Real Casa Borbone Due Sicilie, autore della fondamentale opera Nomi e volti di un Esercito dimenticato. Gli ufficiali dell’Esercito napoletano del 1860-61 (Napoli, Grimaldi & C., 1990), dove è riportato il nome del mio bisnonno quale tenente del 14° Battaglione Cacciatori dell’esercito borbonico. Egli, oltre a farmi speciale dedica al suo volume, mi segnalò all’allora responsabile della Sezione militare dell’Archivio di Stato di Napoli il quale, a sua volta, mi fece “seguire” dall’instancabile e prezioso archivista Achille Di Salle nelle ricerche riguardanti finalmente mio bisnonno e mio trisnonno e in definitiva nel corretto e proficuo percorso della ricerca che da allora ha avuto uno sviluppo corretto e straordinario e che non ha fine.
La passione per le ricerche genealogiche sul mio cognome Aldieri è iniziata circa dieci anni fa, stimolata da ricordi di racconti fatti in gioventù da parenti e conoscenti. Spesso pensavo alle mie origini, a chi fossero i miei antenati.
Poiché il web s’ingigantiva di notizie di tutti i generi, storiche e attuali, iniziai la ricerca su Google Libri, per avere notizie sulla storia del mio cognome paterno, Aldieri.
Con sorpresa scoprii che il mio cognome era addirittura esistente nella sua dicitura esatta in un documento pubblicato in Testi dei “Servi della Donna di Cafaggio”: ricordanze di S. Maria di Cafaggio, Firenze (1295-1332), ricordanze di S. Maria del Poggio, Pistoia (1296-1353), Inventario di ex-voto d’argento all’Annunziata di Firenze (1447-1511) della madonna di Cafaggio[1]:
Il documento risaliva alla fine del 1200 e raccontava l’ammissione in convento di una signora di Firenze, tale “Monna Lapa” vedova di Francesco Aldieri.
Con questo, si accese una lampadina che illuminò le mie ricerche: pensavo con eccitazione che il mio “nomen” Aldieri avesse antichissime origini. Pensavo a quel “quondam” Francesco Aldieri, così ricco da lasciare in eredità 300 fiorini piccoli ricavati dalla vendita di un magazzino alla sua vedova, Monna Lapa, che guarda caso era andata in sposa in un periodo che vide anche la nascita di tale Durante de Alagheriis, poi nominato Dante Alighieri. Questo fatto ingigantì il mio desiderio di saperne di più, anche se le origini della mia famiglia Aldieri affondavano tutte nel Regno di Napoli. Di questo venni a conoscenza dal mio primo avo Ernesto Aldieri, al quale venne raccontato da suo padre, secondo avo, Ciro Aldieri di Giovanni, guardia comunale di San Giovanni a Teduccio. Mio nonno Ernesto raccontò anche di essere venuto a conoscenza dell’esistenza di una famiglia Aldieri di origini Toscana, che fondevano cannoni dalla quale provenivano alcuni Aldieri (Ferdinando?) del medesimo comune.
In Google scoprii tantissime notizie su persone con il mio cognome, che rimandavano a derivazioni con origini antichissime. Gli studiosi di onomastica lo farebbero derivare dalla cognomizzazione della professione di un capo tribù barbaro (bravo lanciere) di origine danese o germanica, che si era insediata nell’Italia settentrionale.
Non pago, continuai nelle ricerche su Google Libri e scoprii che un tale Leonardo Aldigerio (Aldieri), originario dell’Italia settentrionale era diventato il capo popolo rivoluzionario della ribellione di Messina del XIII secolo «si trova nella città dello Stretto una famiglia dal cognome inconsueto nell’isola, certamente non indigeno: quello degli Aldigerii o Aldieri. Il rappresentante più illustre di questa famiglia è appunto Leonardo[2]».
Fu in quella occasione, risalente all’anno 2012-13, che scoprii il portale Antenati: non fu solo una lampadina che si accese, ma fu un faro che mi illuminò! Avevo acquisito un tale numero di notizie riguardanti il mio nome, che volevo assolutamente capire da dove venissi: Firenze o Napoli?
Iniziai una lenta ma continua consultazione dei registri dello Stato civile, a cominciare dai registri nell’Archivio di Stato di Firenze, ma non trovai nulla, se non nel registro dei Blasoni delle famiglie toscane descritte nella Raccolta Ceramelli Papiani dell’Archivio di Stato di Firenze, organizzato per la ricerca come database web: lì scoprii uno stemma nobiliare riferito ad una famiglia Aldieri di Firenze, senza nessuna storia allegata .
Una parente mi ricordò di una nobile famiglia fiorentina Aldieri, che era stata nominata più volte da mia nonna paterna, ma la ricerca degli eventuali rami nobiliari non mi interessava. Comunque, in Toscana e in Umbria scoprii numerose persone con questo nome Aldieri, e scoprii pure che diverse famiglie toscane usavano questo nome da aggiungere al loro per darsi una vanitosa discendenza dal sommo poeta Dante Alighieri: come per esempio un tale Giovanni Aldieri della Casa funzionario del Monte Pio di Siena (ora Monte dei Paschi di Siena), che è nominato nel primo prestito della storia fatto da quell’antica banca; oppure un Prelato domestico di due Papi, Aldieri di Carlo Aldighieri Biliotti Tornabelli.
La ricerca del mio ramo originario in Napoli mi attirava maggiormente e scrissi per avere notizie allo Stato civile del Comune di Napoli, il quale mi fornì importanti documenti che mi re-inviarono al mio secondo avo, Ciro Aldieri. Le mie ricerche proseguirono poi sui registri depositati presso l’Archivio di Stato di Napoli, che mi furono utili per avvicinarmi ulteriormente al mondo dei miei antenati: scoprii ad esempio corrispondenze con i racconti di mia nonna paterna riguardo agli Aldieri dei quartieri Chiaia e San Ferdinando e di altri quartieri in Napoli, ma non con quelli di Castellammare di Stabia.
La svolta decisiva avvenne con la scoperta dell’attività di indicizzazione dei registri di Stato civile da parte di Family Search, come mi venne comunicato da un funzionario dell’Archivio di Stato di Napoli.
Mi iscrissi come indicizzatore in quella organizzazione e dapprima imparai a leggere le scritture dei funzionari dell’epoca, poi mi spinsi più in là e cominciai a indicizzare con l’apposito programma. Ero affascinato e proseguivo nell’opera con grande commozione: leggevo e scrivevo di persone che erano esistite e avevano avuto una vita, leggevo della nascita e purtroppo la morte di neonati o persone giovani, e per ognuna di queste mi chiedevo come fossero, e quale fosse la causa per una scomparsa in così tenera età. Talvolta lo capivo dalle scritte sui documenti dello Stato civile: provavo dolore, tenerezza, gioia per una nascita, rivedevo con l’immaginazione quei papà, gli sposi raggianti di felicità, oppure le levatrici o ancora i testimoni dei decessi; cercavo di immaginarli e li vedevo quando si recavano negli uffici dello Stato civile per le dichiarazioni di rito. E’ stata una grande lezione di vita per me, ora settantacinquenne.
Francamente qui si è fermata la mia ricerca perché i documenti fotografati si fermano all’anno 1865, e ho scoperto che il mio secondo e terzo avo, Ciro e Giovanni, abitavano a San Giovanni a Teduccio, un quartiere della periferia orientale di Napoli, fino al 1925 Comune autonomo.
Pare che i registri di quel Comune (ora città di Napoli) verranno pubblicati entro il 2019 assieme a quelli di Napoli successivi al 1865.
Lo spero vivamente! Sono qui in attesa di completare questa mia ricerca del ramo paterno della mia famiglia e nel contempo sto lavorando su quello materno ma i registri della Provincia di Novara o quella di Vigevano ante Unità d’Italia non sono stati ancora pubblicati. Ho in programma di andare in visita al Cimitero di Vigevano, dove sono sepolti il mio secondo e terzo avo materno.
Io leggo, e sono appassionato di storia, di personaggi importantissimi del passato, sui quali avevo letto e riletto le gesta eroiche, immaginato cento battaglie, ma mai mi ero avvicinato così alla storia delle persone. La lettura di questi registri mi ha emozionato, fatto rivedere ogni persona che ho trascritto. Sono entrato nella storia: ognuna di quelle persone mi ha trasmesso un poco della sua vita; inoltre, conoscere come era composta la società dell’epoca è stata una scoperta incredibile!
Vi ringrazio per avere creato questo portale Antenati, per averci dato la possibilità di trovare le nostre origini, di avvicinarci così tangibilmente a chi eravamo.
Grazie
Giancarlo Aldieri
NOTA BIBLIOGRAFICA
[1] E. M. Casalini O.S.M.- I. Dina- P. Ircani Menichini, Testi dei Servi della Donna di Cafaggio : ricordanze di S. Maria di Cafaggio, Firenze (1295-1332), ricordanze di S. Maria del Poggio, Pistoia (1296-1353), inventario di ex-voto d’argento all’Annunziata di Firenze (1447-1511), Firenze, Convento della SS. Annunziata, 1995, p. 11 v e 18 r.